N. 19 - 2017 7 maggio 2017
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Laura Nurzia

L’architetta che sogna vite nuove

Ha cambiato lavoro per dare senso al proprio tempo. Vicepresidente di Progetto Arca, dedica le sue energie a chi ha più bisogno

Progetto Arca

«Ho iniziato a lavorare in uno studio di architettura a Milano quando ancora studiavo all’università. Ero contenta, facevamo bei progetti. Mi piaceva il mio lavoro, ma c’era una domanda che mi girava per la testa: mi chiedevo quale fosse il senso del mio operare. Disegnavamo mobili costosi; in qualche modo creavamo “bisogni fittizi” ai clienti che, per sentirsi soddisfatti, dovevano spendere parecchi soldi».

Laura Nurzia, oggi vicepresidente di Progetto Arca, per dieci anni si dedica alla professione di architetta. Poi, nel 1989, il fratello la invita a conoscere fratel Ettore Boschini, il camilliano che, in via Sammartini, sotto le arcate della stazione Centrale di Milano, si prendeva cura dei diseredati. «Tutti i lunedì preparavamo la cena, servivamo ai tavoli e pulivamo i piatti. Gli ospiti erano 350: è stato grazie alla relazione con loro e con gli altri volontari che ho sentito che avrei potuto spendere la mia vita per un bene maggiore».

Nella “Milano da bere” di fine anni Ottanta il popolo dei senza fissa dimora era fatto di chi, per andare controcorrente, aveva eletto la strada a casa e di tanti nordafricani arrivati in Italia sognando fortuna e ricchezza. «Con loro ho scoperto le diverse facce dell’umanità e i desideri che ciascuno porta nel cuore, quelli che quando non si sa dove dormire e cosa mangiare vengono congelati», ricorda Laura, 52 anni. «Le loro storie non erano sempre “lineari”, ma l’educazione cristiana che avevo ricevuto in famiglia mi faceva scorgere in loro innanzitutto le persone, non quello che avevano combinato».

CON I TOSSICODIPENDENTI
Attraverso i poveri di fratel Ettore, Laura conosce Alberto Sinigallia, volontario con una formazione da perito agrario che poi diventerà suo marito, oggi presidente di Progetto Arca. Ed è con lui, e con altri compagni di viaggio, che all’inizio degli anni Novanta risponde all’appello di Ceas (Centro ambrosiano di solidarietà) e Comune di Milano, che avevano individuato nella tossicodipendenza l’emergenza sociale più urgente in cui intervenire. «Le strutture per chi voleva provare a uscire dalla dipendenza erano pochissime. Decidemmo di rispondere noi stessi al grido di chi non aveva nessuno e lasciammo il lavoro». Così, nel 1994, nasce l’associazione Progetto Arca, poi diventata fondazione. «Era il 25 marzo, il giorno dell’Annunciazione: non avevamo le idee chiare ma ci siamo messi a disposizione», riprende Laura.

Il primo appartamento, in una cascina di via Ascanio Sforza lungo il Naviglio pavese, sempre a Milano, aveva otto posti letto. «In 24 anni ci siamo “allargati” e ora il progetto coinvolge 2.500 persone. Ho sempre pensato che se un’opera viene da Dio va avanti, altrimenti si ferma: ebbene, siamo andati avanti».

A guardare cosa è diventato oggi Progetto Arca, sembra un miracolo che tutto sia nato da pochi «matti», come vent’anni fa amici e conoscenti apostrofavano affettuosamente Nurzia, Sinigallia e i loro amici. «Davanti a richieste che sembrano insuperabili, Alberto dice sempre “perché no?”, io invece rispondo “anche sì!”. Mi sento chiamata a spendermi dove c’è bisogno, nell’umiltà del riconoscere quando è necessario farsi aiutare: io, ad esempio, non ero certo pronta a tenere la contabilità dell’organizzazione, ma studiando e chiedendo consigli ce l’abbiamo fatta».

INCONTRI INDELEBILI
Nella grande avventura di Progetto Arca ci sono alcuni momenti che Laura Nurzia non dimenticherà mai. «Ricordo il giorno in cui abbiamo conosciuto il primo ospite. Stavamo imbiancando le stanze di via Ascanio Sforza quando sentimmo bussare. Un uomo chiedeva aiuto: ci scambiammo un’occhiata, non eravamo pronti... ma abbiamo deciso di cominciare! La stessa sera saremmo andati a cena a casa di Beatrice, un’amica volontaria. L’ospite è venuto con noi e ha mangiato quattro piatti di pasta, tanto era forte la mancanza di cibo e di “casa” che sentiva».

Anche il Natale 2005 è ben impresso nella sua mente. «Il 24 dicembre, ricordo che nevicava, ci chiamano dal Comune: in una palazzina occupata avevano trovato riparo 24 richiedenti asilo. Dovevano sgomberare lo stabile e ci chiesero di occuparci di loro. Così abbiamo iniziato a occuparci di migranti. Oggi nel centro di via Zendrini accogliamo anche minori non accompagnati».

Fra le persone che hanno segnato il cammino dei pionieri di Arca, fratel Ettore occupa un posto speciale. «Stava con tutti i bisognosi, per i quali aveva un amore totale: quando incontrava un povero, non vedeva altro che lui, perché nell’uomo o nella donna abbandonati scorgeva Cristo. Conosceva tutti gli ospiti e per ciascuno cercava una via di riscatto».

ALLA SCUOLA DEI POVERI
«Quando ero giovane alcune difficoltà mi sembravano insuperabili, ma da chi ha perso tutto ho imparato che si può sempre ricominciare», confessa ancora Laura. «Ricordo Graziella, aveva avuto due mariti, di cui uno violento, era diventata senza tetto e si prostituiva. A cinquant’anni ha cominciato una vita nuova in un appartamento nelle case popolari, con un compagno stabile. Purtroppo poi è morta, era malata, ma se ne è andata serena. Da lei e dagli altri amici incontrati per strada ho capito che Dio c’è per tutti, me compresa, e questa è una grande consolazione».

Tra i capisaldi di Progetto Arca ci sono il rispetto per gli ospiti e i loro tempi, l’accoglienza oltre ogni frequente ricaduta e la volontà di far riscoprire a ciascuno il proprio valore. «Interveniamo sui bisogni primari per dare a tutti la possibilità di tenere alti i desideri e di rispondere alla vocazione della vita. Mettersi nei panni degli altri è importante: anche chi ha sempre condotto una vita tranquilla può cadere in disgrazia velocemente, basta perdere il lavoro e presto si finisce per perdere la dignità».

Anche ora che Progetto Mirasole, l’impresa sociale nata per prendersi cura del “villaggio solidale” nell’abbazia di Mirasole, sta prendendo corpo, Laura non smette di stupirsi. «Mai avrei pensato di poter far rivivere un luogo d’antica spiritualità. “L’uomo propone, ma Dio dispone!”: quante volte mia nonna me l’ha ripetuto. Aveva ragione! Al centro della vita non ci siamo noi, ma il Padre eterno».

MIRASOLE: ABBAZIA DELLA SOLIDARIETÀ
Spiritualità, accoglienza, cultura e lavoro: sono le parole chiave del Progetto Mirasole impresa sociale che Progetto Arca sta lanciando nell’antica abbazia di Mirasole, alle porte di Milano (www.abbaziamirasole.org). L’idea è far rivivere l’antica struttura degli Umiliati, risalente al XII secolo, offrendo alloggio e assistenza a nuclei mamma-bambino in difficoltà. Mirasole vedrà anche la presenza di una rete di famiglie che accompagneranno le attività sociali. L’abbazia sarà poi sede di progetti di formazione professionale e d’inserimento lavorativo. Il desiderio è anche garantire una presenza religiosa, così da recuperare la funzione spirituale del luogo. Nella foto e nelle pagine successive: studenti del Politecnico di Torino costruiscono panche assieme ad alcuni richiedenti asilo, nella corte di Mirasole.

5 PER MILLE - 80 MILA PERSONE AIUTATE NEL 2016
Per conoscere l’impegno di Progetto Arca consultare il sito web www.progettoarca.org. Per sostenerne le attività è possibile destinare il 5 per mille alla fondazione: Progetto Arca, codice fiscale 11183570156. Nell’ultimo anno Progetto Arca ha aiutato in Italia 80 mila persone offrendo 2 milioni di pasti e 600 mila notti al riparo.

Testo di Laura Bellomi

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