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I “Lumineri” della Sacra Costa splendono sul lago
Nel borgo affacciato sul lago Maggiore la sera dell’Epifania si svolge la processione che ricorda il miracolo eucaristico…
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Cannobio (Verbania)
I “Lumineri” della Sacra Costa splendono sul lago
Nel borgo affacciato sul lago Maggiore la sera dell’Epifania si svolge la processione che ricorda il miracolo eucaristico del 1522
Diecimila luci immerse nel buio di un paese incastrato tra la calma delle acque del lago Maggiore e il freddo delle montagne della punta settentrionale del Piemonte, al confine con la Svizzera. La sera del 7 gennaio, i luminéri, palloncini di carta colorata contenenti una lampadina, illuminano il lungolago di Cannobio.
Cinquecento anni fa, erano le candele a fare strada nella notte. Proprio grazie a una di queste Tonina, la sera dell’8 gennaio 1522, si era accorta che un quadretto devozionale appeso a una parete della sua camera si era riempito di sangue. Raffigurava Cristo che emerge dal sepolcro. Accanto a lui, dipinti anch’essi su quella pergamena di trenta centimetri per ventisette, la Madonna e san Giovanni; attorno, gli arma Christi, i simboli della Passione: la lancia, i flagelli, i dadi, il velo della Veronica… «Un concentrato di teologia pasquale», come sottolinea il vescovo di Novara, monsignor Franco Giulio Brambilla. Quel giorno, le ferite del Cristo si erano tutte riaperte, e gocce di sangue cadevano sulla cassapanca sottostante. Su quello stesso mobile, la sera successiva, mentre i numerosi cannobiesi accorsi pregavano e, spaventati, invocavano pietà, era caduto anche un ossicino a forma di costola, materializzatosi alcuni secondi prima in un rigonfiamento del dipinto, proprio all’altezza del costato di Cristo, «con dei frammenti di carne sanguinolenta», come raccontano le testimonianze lasciate presso i notai dell’epoca.
Quella “Sacra Costa” lunga un centimetro è custodita nella cupola della chiesa parrocchiale di Cannobio. È contenuta in un reliquiario donato un centinaio d’anni dopo dal cardinale Federico Borromeo, allora arcivescovo della diocesi di Milano, cui apparteneva anche la pieve di Cannobio. In quel tempo, i lavori di costruzione di un grande santuario dedicato alla Pietà erano già cominciati, grazie all’impulso di san Carlo Borromeo, proprio sul luogo del miracolo, acquistato un paio d’anni dopo l’avvenimento da un gruppo di uomini costituitosi in confraternita e trasformato inizialmente in una piccola cappella.
IN PROCESSIONE
«Oggi il santuario diocesano della Santissima Pietà di Cannobio accoglie pellegrini soprattutto dalla diocesi di Novara, da quella di Milano e dal Canton Ticino. Numerosi sono anche i turisti, che ne apprezzano il barocco lombardo del Seicento». Don Bruno Medina, a Cannobio dal 1988, è rettore del santuario dal 2005. È lui a raccontare i festeggiamenti che ogni anno, in occasione dell’anniversario del miracolo, raccolgono nel piccolo paese migliaia di persone: «Tutto comincia con la Messa solenne celebrata da monsignor Brambilla, alle ore 17 del 7 gennaio, nella chiesa parrocchiale. Al termine, i manovratori salgono nel sottotetto e, attraverso un particolare meccanismo, calano dall’alto il reliquiario mentre, a luci spente, si canta un lucernario. La processione prende avvio dopo il bacio della reliquia che, a causa dell’enorme partecipazione di persone, dura circa un’ora».
Quando la folla si riversa in strada, è già buio. Sono solo le fiaccole tra le mani dei fedeli e i lumini posti lungo il percorso a far luce: anche l’illuminazione pubblica, per l’occasione, viene spenta. «Una marea di fiammelle rosse brillano nella notte dei luminéri, un fiume di luce che costeggia il Verbano, accanto alle barche illuminate che dal lago accompagnano anch’esse la processione». Si esce dalla chiesa di San Vittore alle ore 19 e si arriva al santuario, posto a nemmeno un chilometro di distanza, più di un’ora dopo, per concludere con un momento penitenziale e le litanie dei santi. A metà tragitto, invocando la protezione della Santissima Pietà, avviene la benedizione delle imbarcazioni e del lago. Di fianco al baldacchino con la reliquia, le fiaccole del gruppo degli Zabò. Sono loro, poco prima, a scalare i 1.300 metri del monte Giove, per illuminare la grande croce posta sulla sua cima, proprio sopra il paese. I lumini che segnano il percorso della processione sono invece distribuiti e poi accesi da tanti volontari, tra cui molti ragazzi, mentre un comitato promosso dal Comune gestisce l’ordine pubblico. La festa continua poi il giorno successivo, con la Messa celebrata al mattino e i Vespri e la processione di ritorno verso San Vittore nel pomeriggio.
UNA TRADIZIONE SENTITA
L’interesse nei confronti della festa è cresciuto ultimamente, soprattutto grazie all’impulso di monsignor Germano Zaccheo, sacerdote nativo di Cannobio poi diventato vescovo di Casale Monferrato e scomparso alcuni anni fa. Nel borgo affacciato sul lago Maggiore la sera dell’Epifania si svolge la processione che ricorda il miracolo eucaristico del 1522 Tuttavia, nelle famiglie cannobiesi, da quel lontano 8 gennaio, la devozione alla Santa Pietà non è mai mancata.
Il ruolo dei manovratori, ad esempio, spesso si tramanda di padre in figlio. Racconta don Bruno: «Uno di loro, un paio d’anni fa, quasi novantenne, per devozione si è trascinato in ginocchio per i circa cento gradini in sasso della scala a chiocciola, perché sentiva che sarebbe stata l’ultima volta». Sulla tradizione di Cannobio, Elisa Baccan ha addirittura scritto la tesi di laurea: «La festa coinvolge credenti e no, e ha molteplici sfaccettature. È un’opportunità per ritrovare radici che, anziché costringere, diventano importanti per costruire un’identità». Sua sorella Francesca, animatrice dell’oratorio “Don Gallotti”, è addetta all’accensione dei lumini: «Sarò di parte, ma questo è un miracolo come pochi al mondo, perché riguarda proprio Gesù e la sua Risurrezione». Le fa eco Gabriella Nava, una mamma: «È un pezzo di storia della mia vita. Sapere che Gesù ha lasciato un segno così grande proprio qui mi fa sentire ancora più amata».
L’IMMAGINE DELLA PIETÀ
L’immagine della Santa Pietà di Cannobio rientra nella tipologia dell’Imago pietatis, diffusa fin dal Medioevo. Come spiega don Damiano Pomi, storico della diocesi di Novara, «si tratta di una rappresentazione che sintetizza in un’unica immagine molteplici contenuti teologici relativi all’opera redentiva di Cristo. Le piaghe e le ferite ben visibili sul corpo di Gesù, la croce dipinta sul retro e gli strumenti della Passione rappresentati ai lati ricordano infatti la sofferenza di Cristo. Tuttavia la sua posizione, emergente dal sepolcro, ne anticipa già la Risurrezione. Ai lati di Gesù, le cui mani sono riprodotte secondo la postura della Sindone, Maria porta la mano al costato aperto del Figlio e Giovanni è in atteggiamento di preghiera. La reliquia della “costola” è invece custodita in un reliquiario d’argento offerto nel Seicento dal cardinale Federico Borromeo. Nel 2014, durante la Settimana santa, il reliquiario è stato portato a Novara per l’iniziativa Passio.
ORGANIZZARE LA VISITA
Il santuario della Santissima Pietà sorge a Cannobio (Verbania) in piazza Santuario, 2. Si può raggiungere in auto con l’autostrada A26 (uscita Baveno o Gravellona) proseguendo verso il confine con la Svizzera; in treno con la linea Milano-Domodossola, stazione di Verbania (www.trenitalia.it) e poi bus di linea (www.vcotrasporti.it); in battello da Luino (www.navigazionelaghi.it).
ORARI E CELEBRAZIONI
La chiesa è aperta tutti i giorni dalle 7.30 alle 12 e dalle 14 alle 19. La Messa si celebra nei giorni festivi alle 10 e alle 17. Tel. 0323/71.255. www.santuariosantapieta.it.
IL “BIS” A PENTECOSTE
I festeggiamenti vengono ripetuti ogni anno, in forma più intima e meno folkloristica, anche a Pentecoste. Il clima decisamente più mite di questa giornata, un tempo festiva, permetteva in passato la partecipazione di chi, abitando nelle valli, era impossibilitato a recarsi a Cannobio all’inizio di gennaio.
Testo di Elisa Bertoli · Foto di Claudio Fogli