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Anna Pina Cannavacciuolo
Custodire la speranza fra le macerie
Parla la madre di una delle vittime del terremoto dell’Emilia. «Non è facile alzarsi al mattino, ma papa Francesco mi dà coraggio»
«A volte, la mia fede vacilla. Vorrei essere più forte, vorrei pregare di più. E invece, mi trovo a parlare con Dio e a chiedergli: “Mio Signore, perché?”». Perché Biagio, quel bel ragazzo che oggi avrebbe 29 anni, è morto sotto le macerie del sisma che ha colpito Mirandola e l’Emilia, 4 anni fa? Il più giovane, tra tutti quelli che per quel terremoto hanno perso la vita; l’ultimo a essere estratto dai calcinacci di quella ditta dove finalmente aveva trovato lavoro. «Posto fisso», ricorda amaramente la mamma, «un sogno che si realizzava».
Anna Pina Cannavacciuolo è una donna forte. La voce le si incrina ogni tanto, mentre racconta di Biagio, il suo primo figlio, e di Christian, che ha 4 anni meno del fratello e soffre di una rara malattia neurodegenerativa, che rende i suoi movimenti sempre più difficili.
IL RICORDO FA ANCORA MALE
«Quella tragica mattina del 29 maggio capii subito che era accaduto qualcosa», ricorda. «La terra tremava ormai da giorni, e tutti avevamo paura. Noi, addirittura, dormivamo dalla notte precedente in una tendopoli perché, per precauzione, era stata staccata la corrente all’ascensore del nostro palazzo e, con Christian che fa fatica a muoversi, non potevamo rischiare di rimanere bloccati per le scale… Avevamo paura, ma le autorità ci rassicuravano e quel martedì Biagio, che si occupava del controllo delle macchine in un’azienda biomedicale, avrebbe dovuto smontare alle 9, dopo il turno di notte. Gli avevo detto di non andare al lavoro, molti suoi colleghi si erano dati per malati. E oggi sono vivi».
Nessuno sa con precisione come sia andata. Biagio ormai era a fine turno, sarebbe bastato pochissimo per salvarsi. È probabile che, al primo movimento della terra, una delle macchine fosse “andata in blocco”, e lui sia corso per vedere cosa fosse accaduto. Sotto le travi di cemento dello stabilimento, morirono quattro operai. «Alle 11, poiché mio figlio non tornava, andai a cercarlo: la fabbrica non esisteva più», sussurra Anna, «C’era solo polvere e macerie. Allora, chiesi al Signore: “Perché?”».
LE TANTE PROVE DELLA VITA
La vita di Anna non è mai stata facile. «Sono arrivata a Mirandola con i miei tre figli 22 anni fa. Li ho cresciuti da sola, facendo mille lavori per non far mancare nulla in casa. Biagio si era subito dato da fare per contribuire alle spese della famiglia. Finalmente aveva trovato il posto fisso, si era comprato una macchina e aveva una fidanzata», spiega Anna, una punta di orgoglio nelle sue parole per quel suo figlio «bellissimo e intelligente», che amava leggere («soprattutto fumetti, ho la cantina piena»), scrivere, suonare («faceva parte di un gruppo musicale»), e si occupava del fratello più di un padre. «Ci sono momenti in cui mi sento avvilita, soprattutto perché è da poco morta anche mia madre; ma il mio cuore ha bisogno di pregare. Non so darmi risposte, ma continuo ad affidarmi a Dio. Continuo a parlare con Biagio, e gli chiedo di prendersi cura di noi, soprattutto di Christian».
DAL DOLORE ALL’IMPEGNO
In memoria del figlio Anna ha fondato un’associazione, Le mamme del giorno dopo, che riunisce in tutta Italia persone che hanno vissuto il dolore della perdita prematura di un figlio. «Ci scambiamo le nostre esperienze», racconta. «Ci confortiamo a vicenda e organizziamo iniziative benefiche». «La mia famiglia è sempre stata devota alla Madonna di Lourdes», confida ancora la donna. La scorsa estate, poco prima di morire, mia madre espresse il desiderio di andare nel santuario francese. Portammo con noi anche Christian: la sua è una malattia inguaribile, ma l’ho affidato a Maria, perché vegli su di lui».
Anna ogni giorno va al cimitero per “salutare” il suo ragazzo, e ogni sera gli dà la buonanotte: «Non chiedo nulla alla vita ma mi piacerebbe far sapere a papa Francesco che le sue parole mi danno coraggio: è uno di noi, lo sento. Non è facile alzarsi la mattina», ammette. «Ma vado avanti, anche grazie alle persone che ci stanno vicine. Gli scout della parrocchia, ad esempio, sono sempre disponibili. E poi mi sostiene una certezza: so che Biagio è in cielo, e che da lì ci assiste».
Testo di Agnese Pellegrini