Credere n.20 - 18/08/2013
SILVIO CATTARINA. L’IMPREVISTO CHE TI SALVA, ANCHE DALLA DROGA
A Pesaro ha fondato e guida una comunità per adolescenti in difficoltà , a causa della droga. Il suo metodo? Far capire…
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Storia di copertina
SILVIO CATTARINA. L’IMPREVISTO CHE TI SALVA, ANCHE DALLA DROGA
A Pesaro ha fondato e guida una comunità per adolescenti in difficoltà , a causa della droga. Il suo metodo? Far capire ai ragazzi che si crede in loro e che sono chiamati a cercare qualcosa di più grande
Ho scelto di fare questo lavoro perché mi colpiva il fatto che i nostri ragazzi tossicodipendenti dicono di sé: “Mi faccioâ€. Quanto è drammatica un’espressione così! È come se intendesse dire: “Mi costruisco da me. Siccome non ho avuto, non ho ricevuto da altri, allora ci penso io, mi faccio io con le mie maniâ€. E invece no: la salvezza non viene da te, è un Imprevisto che ti viene incontro e ti cambia la vita». Si presenta così Silvio Cattarina, 59 anni, psicologo e sociologo, fondatore della cooperativa sociale L’Imprevisto di Pesaro, che accoglie minorenni provenienti in larga parte dal mondo della droga. Trentino di origine, da una vita vive e lavora nelle Marche.
Racconta: «Ci siamo ispirati a un verso di Prima del viaggio, una poesia di Eugenio Montale, che recita: “Un imprevisto è la sola speranzaâ€. È qui il cuore del metodo col quale operiamo, rimettendo al centro l’umanità dei ragazzi. L’Imprevisto non è semplicemente di una comunità di vita o di lavoro quanto, piuttosto, un luogo dove si svolge un lavoro con le persone e sulle persone».
Continua: «Ai miei ragazzi lo dico spesso: “So chi sei, giudici e assistenti sociali ci hanno detto quello che hai combinato; affronteremo tutto a tempo debito. Però ci tengo subito a dirti una cosa: desidero che tra te e noi venga fuori qualcosa di grande e bello. Perciò, se non sei convinto di essere la cosa più importante qui dentro, vai pure via». La sede della Cooperativa, in riva al mare di Pesaro, colpisce subito per il senso di ordine e armonia che trasmette.
Il complesso, che ospita oggi 25 ragazzi, comprende una grande villa e un edificio adiacente circondato da un parco e un terreno ben curati. Una volta alla settimana i ragazzi vanno al mare nella spiaggia privata della comunità . Cattarina sorride nel rievocare un episodio di qualche tempo fa: «Ricordo una psicologa che, a un ragazzo in procinto di venire da noi, parlò in questi termini: “Guarda che comunità bellissima, una vecchia colonia estiva! Ti porteranno al mare ogni giornoâ€.
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Ma io quella psicologa lì l’avrei lasciata in comunità a vita! Quale idea della vita avrà mai costei? Che tutti i giorni si debba andare al mare? No di certo. A un ragazzo si deve chiedere tanto, si può chiedere… tutto. È decisivo, infatti, che i ragazzi sentano che su di loro investiamo e che in loro crediamo veramente». Solo così, fa capire, ci può essere un riscatto autentico. Un riscatto che diventa testimonianza: «Prima di Natale facciamo ogni anno la festa delle dimissioni, che è un momento di condivisione con le famiglie, e lì i nostri amici raccontano il loro cambiamento. Ma i ragazzi sono chiamati spesso a dare testimonianze anche fuori di qui.
Quest’anno, per esempio, saranno al Meeting di Rimini». È con queste convinzioni che Cattarina è impegnato dai primi anni Ottanta nella dura battaglia per il recupero di chi cade vittima della droga. Sull’onda di quell’impegno è nata L’Imprevisto, che ha avviato insieme a don Gianfranco Gaudiano (1930-1993), un sacerdote pesarese molto attento agli emarginati il quale, a partire dai primi anni Settanta, fu protagonista nelle Marche dell’apertura di una serie di strutture (case di accoglienza, laboratori) per persone più deboli e indifese.
Spiega Cattarina: «Per noi la persona non è il suo passato, è molto di più. Se non c’è una “chiamata alla vitaâ€, qualcuno o qualcosa che scommette su di te, non si va da nessuna parte. Questa “chiamataâ€, un tempo si chiamava “vocazioneâ€, una parola che ora ci vergogniamo di pronunciare. C’è chi sta male per il passato, per i genitori, perché abbandonato…
Ma si sta male soprattutto se nella realtà non cogliamo la presenza di Dio, come uno sposo che, ce lo ricorda il Vangelo, percorre le vie del mondo dicendo di aver preparato un banchetto nuziale straordinario. E si ferma proprio davanti a me, per dirmi: “Vieni, tu che sei il più piccolo, il più povero: con te farò grandi coseâ€. Altre comunità preferiscono partire dal passato, puntando su uno specifico lavoro psicologico. Noi invece partiamo dal desiderio di incontrare qualcosa di grande che ti ha sempre cercato, atteso, voluto e che ti viene incontro».
Silvio va con la memoria a un episodio di alcuni anni fa, quando l’ex vescovo di Pesaro visitò la comunità . «In quell’occasione – ricorda Cattarina – si rivolse ai ragazzi chiedendo: “Che cos’è la comunità per voi?â€. I ragazzi si sbizzarrirono nel dare risposte. Poi il vescovo spiegò: “La comunità è quel luogo dove il tuo nome risuona con un accento speciale, unicoâ€. Un ragazzo mi disse, sorpreso: “Silvio, hai sentito? Il vescovo ha detto quello che io avevo detto una settimana fa: da quando sono in comunità sono sempre stato chiamato per nome, mi avete sempre chiamato Maurizio, mentre al mio paese sono sempre stato Capuzzo.
Quello che non capisco è: come fa il vescovo a sapere una cosa così bella se non è mai stato in comunità e non si è mai drogato?â€. Ecco, la vera grande questione è essere chiamati per nome. Come diceva una vecchia frase: “I giovani non sono vasi da riempire. Sono fuochi da accendereâ€Â». Continua Cattarina: «Nei primi anni del nostro lavoro, ci aveva colpito una frase molto cruda scritta da una ragazza nei bagni della stazione Termini di Roma. Ne avevano parlato i giornali. Prima di togliersi la vita, aveva scritto con una bomboletta spray: “Ho avuto tutto, il necessario e il superfluo. Non l’indispensabileâ€.
Ecco, questo è il punto: è l’eredità negata, la percezione che i giovani hanno di non aver ricevuto l’essenziale, ossia qualcuno che li aiutasse nel dare risposte alle domande essenziali della vita. Quando un figlio non riceve l’eredità si arrabbia molto, giustamente. Ma non sto parlando dei soldi, quanto di un patrimonio di vita e di coraggio, un patrimonio fatto di esperienza, passione, lavoro, compito della vita. Se uno non “eredita†questo, allora “si fa da sèâ€. Da lì al “farsi†(nel senso della droga) il passo è breve».
Per queste ragioni, L’Imprevisto è una comunità dove il senso religioso, la domanda su Dio, è molto presente. «Molti psicologi sostengono che il problema dei giovani è il superamento della loro aggressività . Io invece – spiega Cattarina – dico ai ragazzi: “Tenete viva la rabbia che c’è nel vostro cuore, ma non sbagliate destinatario. Prendetevela con Dio, così potete misurare il vostro coraggio. Troppo facile prendersela con i genitori o con me, che siamo tutti dei poveretti come voi».
Detto ciò, il fondatore dell’Imprevisto precisa: «Solitamente genera stupore il fatto che non ci siano momenti di preghiera strutturati. Ma abbiamo deciso così perché vogliamo favorire l’incontro tra le persone, perché emerga la domanda religiosa di ognuno». Chiedo a Cattarina quanto la realtà educativa cui ha dato vita sia legata al suo carisma. «Ciò che conta – mi risponde – non è la persona del fondatore, ma il metodo educativo. Io non vivo nella comunità , ma ogni giorno mi chiedo se Dio è presente qui: se vedo che lui c’è, io posso anche non esserci».
Testo di Vito Punzi
Foto di Alberto Dedè
Educatore per vocazione e l’incontro con don Gaudiano
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