N. 21 -2014 25 maggio 2014
INSIEME di don Antonio Rizzolo

Preghiamo per papa Francesco pellegrino di unità e di pace

Cari amici lettori, in questo numero vogliamo accompagnare con la preghiera il viaggio di papa Francesco in Terra Santa...

Eraldo Affinati

I Promossi e i Bocciati

Lo scrittore e insegnante Eraldo Affinati va controcorrente e propone L’Elogio del ripetente. Sarà al Festival Biblico…

Presto Beata

Madre Speranza una vita donata all’amore di Gesù

Sabato prossimo, 31 maggio, viene beatificata la suora con le stimmate che fondò il santuario di Collevalenza...

Madre Speranza

La suora che mi salvò la vita

Antonio Giuseppe Malafarina, da anni paralizzato completamente, Rischiò di essere trafitto da schegge appuntite...

Ite, Missa est

Da che cosa nasce la dignità delle donne?

Al Salone del libro di Torino sono venute ad ascoltarmi, sul tema «Contro l’ideologia del gender», delle contestatrici…

Per una lettura completa...

Eraldo Affinati

I Promossi e i Bocciati

Lo scrittore e insegnante Eraldo Affinati va controcorrente e propone L’Elogio del ripetente. Sarà al Festival Biblico il 31 maggio.

 

Eraldo Affinati sarà al Festival Biblico (Foto ANSA)

Professori e studenti - Eraldo Affinati sarà al Festival Biblico (Foto ANSA).

Fine maggio, arriva la resa dei conti. Ultime prove, scrutini, infine il giorno del giudizio. I Promossi e i Bocciati. Le infinite, sfiancanti discussioni tra professori: «Come dobbiamo comportarci con questo ragazzo?». Che si assenta senza ragione, torna dai bagni con gli occhi arrossati dalle canne, bestemmia in classe? Ne abbiamo parlato con Eraldo Affinati, scrittore (l’ultima opera è Elogio del ripetente, Mondadori) ma soprattutto docente: negli istituti professionali alla periferia di Roma, alla Città dei ragazzi, alla Scuola Penny Wirton di italiano per stranieri, da lui fondata insieme alla moglie Anna Luce Lenzi. Affinati sarà ospite al Festival Biblico di Vicenza (sabato 31 maggio, ore 16).

È vero che appena laureato avevi giurato di non insegnare? Cosa ti ha fatto cambiare idea fino a farla diventare la missione della tua vita?

«Ho avuto un’infanzia difficile. Ne ho fatto cenno in diversi miei libri, da Campo del sangue a La Città dei ragazzi. A scuola, a parte italiano e storia, non andavo bene. Forse per questo non volevo insegnare. Trovavo conforto soltanto negli scrittori che amavo. Ma quando per la prima volta venni chiamato a fare una supplenza, bastarono uno sguardo ai ragazzi, qualche battuta, un sorriso, per capire che quella sarebbe stata la mia vita. L’insegnante e lo scrittore dividono la medesima responsabilità nei confronti della parola». Da una parte criteri di valutazione, prove Invalsi, voti, programmi. Dall’altra vandalismo, furti, risse, sospensioni. Questi due mondi si possono incontrare?

«Se non si incontrassero, a perdere non sarebbe solo la scuola, ma tutti noi. Ho scritto questo Elogio del ripetente per provare a costruire un ponte fra lui e il sistema che l’ha condannato».

Eraldo, ma tu bocci?

«Io no, in quanto considero i livelli di partenza degli studenti... che non sono i test di ingresso che si fanno a settembre. C’è chi parte dieci metri prima e chi dieci metri dopo. Noi dobbiamo premiare il movimento, prima ancora che il traguardo, anche perché non stiamo parlando di ingegneri e medici, ma di adolescenti in crisi. Vengo spesso messo in minoranza nei consigli di classe. Allora ci sto male. Non sopporto che la decisione di promuovere o bocciare un ragazzo venga presa a maggioranza, per alzata di mano. Ma so che in Italia molti la pensano come me».

Una delle pagine più forti la dedichi ai colloqui con i genitori. Perché sono i genitori di questi ragazzi, i primi a essere cambiati.

«Il peggiore dei miei studenti compie sempre un passo in avanti rispetto alla situazione familiare e sociale da cui proviene. Questo non significa che io voglia giustificare a tutti i costi il ripetente, ma noi dobbiamo sapere che, se lui sbaglia, non lo fa mai da solo. Allora stiamogli vicino, soprattutto quando lo vediamo fragile».

I ripetenti sarebbero oggi i nuovi ragazzi di don Milani?

«La scuola, diceva il priore di Barbiana, non deve essere un ospedale che pretende di curare i sani invece dei malati. Se io entrassi in una classe dove tutti mi ascoltassero, il mio lavoro sarebbe troppo facile. Oggi il mito del giudizio oggettivo, su scala europea, ricavato sui test in stile Invalsi, rischia di farci tornare indietro. Vogliamo farci dettare le regole dai burocrati di Bruxelles? L’Europa è nata nei monasteri benedettini. E poi abbiamo avuto l’Umanesimo e il Rinascimento. Sono gli altri che dovrebbero venire a prendere lezioni da noi».

Cosa pensi del discorso del Papa alla scuola italiana? A me ha colpito la frase: «Non abbiamo diritto ad avere paura della realtà». E a te?

«Proprio il riferimento a don Milani mi è sembrato bellissimo, non solo perché si tratta di uno straordinario riconoscimento, potrei anche dire un risarcimento, alla figura di questo grande sacerdote, educatore e io credo anche scrittore. Don Milani è stato spesso frainteso e contestato, e non solo ai suoi tempi, perché indica a tutti noi, insegnanti, genitori, adulti, la strada da percorrere. Che è quella di Emmaus, però con gli occhi aperti, dalla mattina fino alle luci del tramonto, soprattutto di fronte ai ragazzi».

Nelle ultime pagine racconti anche della Scuola Penny Wirton, fondata con tua moglie Anna Luce. Quanto conta la dimensione di coppia nel vostro essere docenti?

«Abbiamo fondato questa scuola gratuita per insegnare l’italiano agli stranieri, alla quale talvolta collaborano perfino certi ripetenti, pensando a Penny Wirton e sua madre, un grande romanzo per ragazzi di Silvio D’Arzo, il cui protagonista non conobbe mai suo padre. Non facciamo classi, non diamo voti. Siamo centinaia fra docenti e studenti, in un rapporto che si avvicini il più possibile all’uno-a-uno. A Roma ci ospitano i Gesuiti della chiesa di San Saba, ma stiamo attivando molti altri piccoli centri: in Calabria, a Monterotondo, a Padova... I nostri studenti si chiamano Alì, Mohamed, Ivan, Olga, Francisca. Molti di loro sono privi di supporto familiare. Ecco perché ogni tanto mia moglie si sente chiamare “Mama” e io percepisco nello sguardo di alcuni la malinconia o la rabbia del figlio smarrito».

Testo di Paolo Pegoraro

 

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