Credere n.21 - 25/08/2013
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L'affetto del popolo per il suo Martini
Moltissimi continuano a pregare sulla tomba del vescovo nel Duomo di Milano. Monsignor Borgonovo: «Quasi una canonizzazione dal basso». Durante il Conclave i fedeli chiedevano la sua protezione per il futuro della Chiesa.
Pastore della parola. Il cardinale Carlo Maria Martini, scomparso il 31 agosto 2012 (foto Fotogramma).
Sotto le volte del Duomo di Milano, a metà della navata di sinistra, c’è un altare con il crocifisso che san Carlo Borromeo portò in processione per le vie della città durante la peste del 1576. Davanti, ogni giorno, ardono centinaia di candele e tanti fedeli si fermano in preghiera. Da un anno quelle candele si sono moltiplicate. Perché lì, in una tomba scavata nel pavimento, riposa il cardinale Carlo Maria Martini. Sulla semplice lapide qualcuno ha posato un fiore e una corona del rosario. Sul marmo è inciso un brano dei Salmi: «Lampada per i miei passi è la tua Parola, luce sul mio cammino». Versi scelti dallo stesso Martini a suggello di una vita illuminata dalla Bibbia e che con la Scrittura ha rischiarato l’esistenza di molti altri.
«Secondo alcuni il cardinale Martini aveva una personalità fredda, era ammirato più che altro dalle persone dotate di istruzione elevata ma lontano dalla gente semplice. L’anno che è trascorso dalla sua morte, avvenuta il 31 agosto 2012, ha però rivelato il contrario. Vi è stata una sorta di canonizzazione dal basso: un flusso ininterrotto di fedeli in preghiera alla sua sepoltura», racconta l’arciprete del Duomo, monsignor Gianantonio Borgonovo. «Una devozione sobria, tipica della spiritualità del popolo milanese. Senza eccessi e con pochi segni esteriori. Fatta di silenzio e preghiera. Unico indizio materiale: i ceri accesi».
Che l’arcivescovo successore di sant’Ambrogio e san Carlo fosse amato dalla gente, anche oltre i confini della Chiesa, lo si era visto già durante i giorni del commiato. Migliaia di persone erano sfilate davanti alla bara esposta in Duomo. Tanto che la cattedrale è stata lasciata aperta anche la notte per permettere a tutti l’accesso.
Il pellegrinaggio è continuato alla tomba: protagoniste tante persone di provenienze assai diverse. Ma, secondo monsignor Borgonovo, con un comun denominatore: «Sono coloro che si sono nutriti delle sue parole. Egli è stato per tutti un maestro di vita spirituale, in particolare di lettura biblica. Vengono a rendergli omaggio qui in Duomo coloro che hanno meditato i suoi libri, o meglio, coloro hanno ascoltato la sua predicazione, perché la maggior parte delle pubblicazioni a suo nome erano in realtà trascrizioni di interventi orali».
Maestro di vita ma ora anche intercessore per la Chiesa. «Durante i giorni del Conclave che ha portato all’elezione di papa Francesco – spiega monsignor Borgonovo – è aumentata la presenza di fedeli in preghiera alla tomba del cardinale. La gente è andata lì a fare una preghiera per la Chiesa in un momento cruciale. Chiedevano la sua presenza spirituale sul Conclave». Intercessione confermata dall’ascesa al soglio di Bergoglio? «Martini e l’ex arcivescovo di Buenos Aires sono due personalità diverse – afferma l’arciprete – ma, con lo stesso tratto gesuita, hanno senz’altro camminato in sintonia sui temi di riforma della Chiesa».
E pensare che la tomba del cardinale biblista non avrebbe dovuto trovarsi a Milano. Martini aveva espresso il desiderio di essere seppellito a Gerusalemme, dove si era ritirato quando aveva terminato il ministero da vescovo. Lo conferma anche mosignor Borgonovo: «Era stata individuata una tomba di proprietà dei Gesuiti nel cimitero cristiano nella valle di Giosafat, sotto l’orto dei Getsemani. Poi l’aggravarsi della malattia lo aveva costretto a rientrare in Italia ed egli stesso aveva convenuto che la soluzione migliore sarebbe stata la sepoltura in Duomo, scegliendo insieme a monsignor Manganini, allora arciprete della cattedrale, questo posto davanti al crocifisso». Ma il suo desiderio si è potuto comunque, almeno in parte, avverare, per merito della comunità ebraica di Milano che, con l’avallo del cardinale Angelo Scola, ha posto nel sepolcro un pugno di terra di Israele.
Tra i fedeli che Credere ha incontrato in preghiera davanti alla sepoltura di Martini, molti hanno nel cuore un ricordo, un suo gesto, una sua parola.
«L’ho conosciuto nel 1994 quando venne in Africa a predicare gli esercizi spirituali. Era un uomo di cultura ma sapeva parlare in modo semplice, mettendo in evidenza le grandi questioni che sono il cuore della fede», testimonia suor Maria Giancarla, delle Piccole sorelle di Gesù di Charles de Foucauld, missionaria per oltre quarant’anni, ora di ritorno in Italia con destinazione Chiusi. «Per me è stato un vero padre spirituale. Ora nella preghiera gli chiedo di accompagnare il mio cammino nel nuovo incarico».
«È stato un profeta», dice convinta Ivonne, pensionata di Peschiera Borromeo, che confida: «Grazie a lui, dopo tanti anni ho riaperto la Bibbia». Ricorda: «L’ho ascoltato la prima volta qui in Duomo durante la celebrazione di ordinazione sacerdotale di un amico di mio figlio. Poi di nuovo quando venne nella mia parrocchia. Da allora ho letto quasi tutti i suoi libri e l’ho seguito anche alla Cattedra dei non credenti».
«Non sapevo fosse seppellito qui in Duomo, ma quando ho visto la lapide mi sono fermato qualche istante», racconta Giorgio, di Modica, a Milano per turismo con moglie e figlia quasi adolescente. «L’avevo ascoltato durante una catechesi alla Giornata mondiale della gioventù di Parigi nel 1997. Mi aveva colpito una sua riflessione sulla vocazione».
«La sua Scuola della Parola è stata fondamentale per il mio cammino di fede negli anni giovanili», racconta infine Anna Maria, quarantaquattrenne di Gallarate. «Ascoltavamo le sue riflessioni collegandoci con la radio dall’oratorio. Ci faceva scoprire che la parola di Dio ha molto da dire a ciascuno di noi: ci aveva insegnato l’importanza di una regola per la propria vita».
 Testo di Paolo Rappellino