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Lucetta Scaraffia
Ora la chiesa ascolti davvero le donne
Dirige l’inserto femminile dell’Osservatore Romano e ha partecipato al Sinodo come uditrice. Sul diaconato femminile Lucetta Scaraffia dice: «La cosa più importante non è questa, ma dire basta alla servitù delle donne»
Ha appena festeggiato il restyling e l’ampliamento a 40 pagine dell’inserto femminile mensile Donne chiesa mondo, che esce undici volte l’anno con il quotidiano vaticano L’Osservatore Romano e che lei coordina sin dal primo numero. Lucetta Scaraffia, 68 anni, giornalista e studiosa, insegna Storia contemporanea all’università La Sapienza di Roma. Si è convertita da adulta e in precedenza, negli anni Sessanta, è stata esponente del movimento femminista. Nell’ottobre del 2015 ha partecipato come uditrice al Sinodo sulla famiglia. Ama gli approfondimenti e, fra i suoi ultimi titoli in libreria, compaiono La Chiesa delle donne, scritto con Giulia Galeotti e pubblicato da Città Nuova, e Dall’ultimo banco. Donne, Chiesa e sinodo, edito da Marsilio.
Cosa pensa dell’annuncio di papa Francesco della possibilità di istituire una commissione che studi il diaconato femminile?
«Penso che l’aspetto più importante delle risposte del Papa non sia stato il diaconato femminile — che elettrizza e fa paura perché sembra un avvicinamento al sacerdozio —, ma il fatto stesso che le suore dell’Unione internazionale superiore generali (Uisg) abbiano fatto delle domande e il Papa abbia risposto. È la prima volta che succede: in precedenza il Pontefice faceva un discorso, le benediva e basta. Poi va evidenziato che Bergoglio ha parlato in modo chiaro contro la servitù femminile che deve finire, cioè del fenomeno delle suore che fanno da serve a preti, vescovi, ecc. Inoltre ha detto che le donne devono essere ascoltate e hanno molto da dire sul futuro della Chiesa. Il diaconato è un passo importante (del resto già tante donne, in caso di penuria di sacerdoti, svolgono di fatto il ruolo di diaconi), ma non è così necessario, non è indispensabile. Le donne possono essere riconosciute e svolgere ruoli importanti nella Chiesa, ruoli a cui hanno diritto, anche senza essere diaconesse».
Il titolo del suo ultimo libro è La Chiesa delle donne: un’utopia, una provocazione o una realtà?
«Il Vangelo è pieno di figure femminili, più di quante compaiano nei libri di storia. E la Chiesa è già delle donne: sono due terzi dei fedeli, quindi la maggioranza. Tutti noi abbiamo esperienza di donne che si occupano della parrocchia, fanno catechismo, curano gli anziani, aiutano i poveri. La Chiesa, quindi, è già delle donne, ma questo ruolo non viene riconosciuto e sono ritenute come “addette a un servizio”».
Secondo lei, la Chiesa ha ancora una visione maschilista della donna?
«Direi una visione romantica: la lettera apostolica Mulieris dignitatem, datata 15 agosto 1988, è un omaggio romantico alla donna e alla ricchezza della sua identità. Nella pratica pastorale e di governo ecclesiale, però, la gerarchia ne fa tranquillamente a meno. C’è ancora un lungo cammino da fare; il Papa ha segnato un’esigenza di cambiamento, ma c’è una resistenza fortissima. Le congregazioni religiose tradizionali stanno perdendo vocazioni e presenze. La Chiesa calda, misericordiosa, accogliente, come la desidera il Pontefice, è profondamente femminile. Tuttavia, per fare solo un esempio, all’ultimo Sinodo sulla famiglia non una donna è stata invitata a intervenire ufficialmente».
Di questo argomento parla nel volume Dall’ultimo banco: una prospettiva, oltre che una posizione oggettiva, da cui si vede meglio l’insieme?
«Direi una prospettiva un po’ esterna e marginale, anche se dal di fuori si vedono un po’ meglio le cose. Ho constatato una grande incapacità di capire quanto è dato storico e quanto è principio teologico. Ho sentito parlare di famiglia naturale, che è in parte una costruzione storica; sta andando in pezzi quella costruita ai tempi del concilio di Trento. Se guardiamo alle vicende storiche, ci sono declinazioni infinite nello spazio e nel tempo su come allevare i bambini. Invece durante il Sinodo si è rimasti molto sui principi astratti, entrando poco nella realtà. C’era una grande aspettativa dal mondo riguardo a questo Sinodo, tutti vorrebbero riemergere da questa crisi della famiglia, ma la Chiesa non ha dato risposte: ha ribadito di avere il modello giusto e ha chiesto di allinearsi».
Esiste un femminismo cattolico? Quali caratteristiche ha e in quali luoghi ha voce?
«Esiste ed è diviso fra una minoranza di teologhe che chiede il sacerdozio e la maggioranza che non lo chiede ma che vuole essere ascoltata, che desidera un riconoscimento del lavoro fatto. Molte donne sono esasperate dal fatto che le gerarchie ecclesiastiche vadano avanti non vedendole. Le considerano marginali e le trattano con paternalismo».
Quale visione delle donne sta emergendo dal pontificato di Francesco?
«Nel suo magistero personale ha dato chiare indicazioni, come quella di smettere di trattare le donne come serve. E ha voluto il Giubileo della misericordia. I biblisti sottolineano che la parola ebraica per compassione o amore misericordioso deriva dalla radice del termine che designa l’utero materno, rehem. Qui l’organo riproduttivo del corpo femminile funge da metafora concreta di un modo di essere, di sentire e di agire tipicamente divino. Una caratteristica femminile, da cui gli uomini hanno molto da imparare».
Testo di Laura Badaracchi