Credere n.23 - 08/09/2013
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Dove i rifugiati sono fratelli
Da 32 anni il Centro Astalli sostiene rifugiati e sfollati. Il 10 settembre Francesco visiterà la sede di Roma. E se a Lampedusa…
DON GAETANO, PRETE PILOTA
È parroco a Polignano a Mare, in Puglia. Sta ultimando il brevetto da pilota d’aereo. Nelle sue omelie spiega la fede…
LA FORZA DEI CRISTIANI IN EGITTO
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«FAMIGLIA FA RIMA CON BENE COMUNE»
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NONNO, DOV'ERO QUANDO NON C'ERO?
L'evento
Dove i rifugiati sono fratelli
Da 32 anni il Centro Astalli sostiene rifugiati e sfollati. Il 10 settembre Francesco visiterà la sede di Roma. E se a Lampedusa ha messo in crisi le coscienze...Â
In questi dieci anni ha imparato nei dettagli “l’altra†geografia di Roma: gli africani sub-sahariani ad Anagnina, gli etiopi-eritrei a Collatina, gli afghani che prima erano ad Ostiense... «Sono centinaia di persone, compresi donne e bambini, occupano edifici fatiscenti e hanno un permesso di soggiorno su cui c’è scritto “protezione internazionaleâ€, ma quando chiediamo a cosa corrisponda questa protezione la domanda resta senza risposta». Padre Giovanni La Manna è il presidente del Centro Astalli. In linea diretta è il gesuita a cui Ignazio affida l’accoglienza dei poveri e degli ultimi a Roma: in via degli Astalli, infatti, alle spalle della basilica del Gesù, il fondatore della Compagnia volle che ci fosse uno spazio per accogliere gli ultimi. E fu Arrupe, il generale dell’opzione per la giustizia sociale, che nel 1981 aveva fondato il servizio internazionale dei Gesuiti per i rifugiati (Jrs) in seguito all’emergenza dei boat people (profughi) vietnamiti, a decidere che la sede romana del Jrs fosse in quei locali, nel cuore di Roma.
Poco dopo l’elezione al soglio pontificio di Francesco, La Manna ha scritto una lettera al Papa per invitarlo a visitare la sede romana dell’Astalli. La risposta non si è fatta attendere: il 6 aprile Francesco ha chiamato per telefono il confratello: «Verrò presto». Ora i Gesuiti, ma non solo, fanno il conto alla rovescia per il 10 settembre, quando, alle 15.30 circa, è prevista la visita del Papa. Le persone da incontrare e gli spazi da visitare sono tanti: oggi il complesso del Gesù è come un poligono dai molti lati, ognuno dei quali esibisce un aspetto diverso dell’unica missione universale che anima la Compagnia. Accompagnare, servire, difendere i diritti dei rifugiati e degli sfollati è la missione che il Centro Astalli porta avanti nella realtà italiana. In totale, considerando nell’insieme le differenti sedi territoriali (Roma, Vicenza, Trento, Catania e Palermo), il Centro Astalli ha visto accedere ai propri servizi, nello scorso anno, circa 34.300 persone, di cui quasi 21.000 nella sola sede di Roma. Se quando è nato, 32 anni fa, il Centro cercava di dare una risposta all’emergenza immediata, in seguito ha ampliato e diversificato la propria offerta, che si è andata strutturando in servizi di prima accoglienza (mensa, posto letto e aiuto legale per chi è appena arrivato); servizi di seconda accoglienza (per facilitare l’accesso al mondo del lavoro e accompagnare le persone nel percorso di inserimento nella società italiana); e attività culturali, in collaborazione con la Fondazione Centro Astalli, nata nel 2000 con l’obiettivo di contribuire a promuovere una cultura dell’accoglienza e della solidarietà , a partire dalla tutela dei diritti umani.
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Le attività sono molteplici, Astalli partecipa a diversi tavoli nazionali e locali, e padre Giovanni è membro effettivo della commissione territoriale che a Roma esamina le domande dei richiedenti asilo. «I servizi sono tanti, ciò che accomuna tutto quello che facciamo è la disponibilità a entrare in relazione con quanti arrivano da noi e si vedono riconosciuti come persone. E poi c’è il dare risposte concrete a bisogni concreti. Se un rifugiato che è andato a finire in Norvegia, di passaggio per Roma torna al Centro per il piacere di salutarci, vuol dire che il lavoro non è stato vano, che l’abbiamo aiutato a restare in piedi e a non perdere la speranza».
La Manna fa degli esempi molto concreti: «Se uno fa fatica a ottenere la carta di identità e il Centro lo aiuta, quella persona può ottenere un contratto di lavoro; se ha intrapreso l’iter per il permesso di asilo e un medico legale e uno psichiatra lo seguono e certificano le violenze e i traumi che ha subito, questo ha un peso notevole».
C’è, poi, un altro versante su cui La Manna sente che è sempre più urgente lavorare: «L’impegno culturale è fondamentale. Oggi è decisivo andare nelle scuole e far aprire gli occhi, per offrire l’opportunità di leggere questo fenomeno dal punto di vista di quanti vivono il dramma di dover lasciare tutto e arrivare in Italia. Anche per scalfire quella che il Papa ha chiamato “la globalizzazione dell’indifferenzaâ€Â».
 Dopo Lampedusa, il Centro Astalli. «La visita del Papa a Lampedusa ha messo in crisi le coscienze di quanti le avevano addormentate e reso irrequiete quelle che non hanno potuto addormentarsi: non ci possiamo accontentare dei dormitori, dei servizi che abbiamo. Sta crescendo il numero dei rifugiati in difficoltà e c’è da chiedersi: io cosa posso fare?». In Italia, dove non esiste una normativa organica per i richiedenti asilo e rifugiati, «il fatto che il Papa sia andato a Lampedusa ha aiutato a riflettere. Qualcuno ha reagito preferendo giocare in difesa piuttosto che cogliere l’opportunità per fare un esame di coscienza serio». Ma non è solo un discorso che riguarda chi ha la responsabilità della cosa pubblica. È un esempio che tocca tutti, dice La Manna. «Il Papa ha stretto la mano ai richiedenti asilo, li ha guardati in volto, ha ascoltato le loro storie: sono tutte azioni che nella vita quotidiana noi possiamo sperimentare nelle nostre città . Non è difficile incontrare richiedenti asilo e rifugiati. Ci ha testimoniato cosa possiamo fare: a noi la scelta di vivere con dignità seriamente o credere che a occuparsi dei rifugiati debbano essere gli altri». Un discorso che vale anche per i religiosi, riflette La Manna: «Il Papa ha smontato i nostri alibi: lì dove siamo, possiamo abbattere le frontiere, le porte delle nostre comunità , e aprirci a chi è in difficoltà ».
Di Vittoria Prisciandaro