Credere n. 24 - 15/06/2014
Il coraggio della preghiera per arrivare alla pace
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Il coraggio della preghiera per arrivare alla pace
Cari amici lettori, con papa Francesco fin dall’inizio abbiamo vissuto eventi straordinari e sorprendenti. L’ultimo si è svolto domenica nei Giardini vaticani: l’â€invocazione per la pace†che ha coinvolto i presidenti israeliano Shimon Peres e palestinese Mahmoud Abbas, insieme con Francesco e il patriarca ortodosso Bartolomeo. Sappiamo quanto siano gravi i problemi in Medio Oriente e difficili le trattative. Il Papa non si è limitato a fare un appello per la pace a cui tutti aspirano. Ha scelto la strada del coinvolgimento personale dei principali protagonisti e ha messo alla base la dimensione religiosa della preghiera. D’altra parte ebrei, cristiani e musulmani invocano, in fondo, lo stesso Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe.
Non ci sono state commistioni sincretiste, perché ciascuno ha invocato Dio separatamente. Prima gli ebrei, secondo l’ordine storico in cui sono nate le religioni che fanno riferimento ad Abramo, poi i cristiani e i musulmani. Alla fine Francesco, Peres e Abbas sono intervenuti con un breve discorso. Rivolgendosi al Papa, Shimon Peres ha detto: «Durante la sua storica visita alla Terra Santa, lei ci ha toccato con il calore del suo cuore, la sincerità delle sue intenzioni, la sua modestia, la sua gentilezza. Lei ha toccato i cuori della gente, indipendentemente dalla sua fede e nazionalità . Lei si è presentato come un costruttore di ponti di fratellanza e di pace».
Mahmoud Abbas ha aggiunto: «Io ringrazio vostra Santità dal più profondo del cuore per aver intrapreso questo importante incontro qui in Vaticano. Allo stesso tempo, noi apprezziamo moltissimo la vostra visita nella Terra Santa Palestina, e specificamente nella nostra città santa Gerusalemme e a Betlemme; la città dell’amore e della pace, e la culla di Gesù Cristo».
Ecco infine le parole di Francesco: «Per fare la pace ci vuole coraggio, molto di più che per fare la guerra. Coraggio per dire sì all’incontro e no allo scontro; sì al dialogo e no alla violenza; sì al negoziato e no alle ostilità ; sì al rispetto dei patti e no alle provocazioni; sì alla sincerità e no alla doppiezza». Per realizzare questo, ha proseguito, «abbiamo bisogno dell’aiuto di Dio. Non rinunciamo alle nostre responsabilità , ma invochiamo Dio come atto di suprema responsabilità , di fronte alle nostre coscienze e di fronte ai nostri popoli. Abbiamo sentito una chiamata, e dobbiamo rispondere: la chiamata a spezzare la spirale dell’odio e della violenza, a spezzarla con una sola parola: “fratelloâ€. Ma per dire questa parola dobbiamo alzare tutti lo sguardo al Cielo, e riconoscerci figli di un solo Padre».