Credere n. 24 - 15/06/2014
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Claudio Mantovani
Pelle fragile, fede forte
Claudio Mantovani è affetto da epidermolisi bollosa, la malattia rara dei “bambini farfallaâ€. Ma lui è diventato grande e ora si è sposato con Irene: nel 2006 è stato il primo uomo curato con una nuova tecnica di trapianto delle cellule staminali...
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Il giorno più bello - Claudio e Irene Mantovani lo scorso 17 maggio, giorno del loro matrimonio.
Li chiamano “bambini farfalla†quelli come Claudio. Hanno la pelle fragile, che va continuamente medicata per le ferite. Molti di loro sono già volati in cielo. Lui no. È la persona che, per la prima volta al mondo, è stata curata dall’epidermolisi bollosa grazie alle cellule staminali. Con tanto di articolo dedicato su Nature Medicine. Lui è diventato un uomo adulto e lo scorso 17 maggio si è sposato nella sua Torino con la fidanzata Irene.
Claudio Mantovani è così: una voce allegra, uno sguardo positivo sul mondo. Chiacchieri con lui e dopo cinque minuti pensi di essere sua amica da sempre. Lo ascolti parlare e pensi, ripetendolo ancora una volta, che dietro ogni malattia c’è un corpo, fragile, come quello di Claudio. Poi ti correggi: davanti alla malattia c’è una persona. Sempre.
Un pezzetto della sua pelle è rinato: gli hanno prelevato le sue stesse cellule staminali, le hanno coltivate in laboratorio e reiniettate, dopo averle corrette lì dove erano difettose. Tutto è avvenuto al Centro di medicina rigenerativa Stefano Ferrari di Modena. Lì c’è Michele De Luca, il medico, lo studioso, il professore. Claudio lo chiama per nome. Si vogliono bene i due: «Mi ha sempre parlato chiaro, non mi ha mai nascosto nulla, non mi ha mai preso in giro. Fin da subito ci siamo piaciuti, a pelle. Ed è nato un rapporto», aggiunge, «di tacita trasparenza». Si conoscono dal 1998, quando il professor De Luca contatta Claudio. Lo identifica come paziente ideale su cui provare la sperimentazione: è sufficientemente adulto (è nato nel 1970), sufficientemente grave nella sua malattia, ma non ha una forma disastrosa di epidermolisi, come quella distrofica, la peggiore. Nel 2005 avviene il trapianto di pelle. Un successo che si deve poi fermare per adeguare anche il laboratorio di Modena, come gli altri tredici che fanno terapia cellulare avanzata in Italia, alle procedure di manipolazione delle cellule staminali dettate dalle nuove normative europee. E ora, dopo il matrimonio, Claudio spera di curare altre zone della sua pelle particolarmente colpite dall’epidermolisi.
Non si è mai abbattuto in tutti questi anni. Ha una grande fede: «L’educazione cristiana ricevuta dai miei genitori», riprende il racconto, «e che poi ho consolidato partecipando ai gruppi parrocchiali, di cui sono stato anche animatore, per me è stata fondamentale nell’avere un approccio positivo alla malattia». Proprio grazie a questa forza «ho sperimentato», aggiunge, «come il Signore dia a ciascuno le croci che può portare. Sono molte le persone che in una situazione come la mia ti stanno attorno e ti vogliono bene per quello che sei. Nel profondo». E la prima oggi è proprio Irene, per cui lo sposo Claudio ha parole di tenerezza: «Lei ha scelto di donarsi proprio a me in un mondo in cui l’apparenza conta. Lei, così solare, era il dono del Signore che aspettavo». Insieme, ma non da soli: «Più abbiamo Gesù nel mezzo più siamo uniti tra noi. Non ci illudiamo: ci saranno momenti di difficoltà ; ma abbiamo un buon “punto di ancoraggio†nel Signore», afferma.
La malattia è sofferenza e Claudio non lo nasconde. «Ci sono rinunce», ammette, «ma anche momenti speciali. Essere il primo paziente al mondo su cui è stata provata la terapia. Anche questo l’ho letto in una chiave di fede. Mi sono domandato: “Perché proprio io?â€. E ho pensato a come tutto questo mi abbia permesso di conoscere anche persone così speciali, come Michele, mi abbia fatto avere rapporti privilegiati di amicizia. Mi abbia fatto sentire parte di un disegno più grande. Come se mi fossi messo a disposizione delle generazioni future. E, accanto a questa lettura trascendentale che sono riuscito a fare di quanto mi è accaduto, ho sempre cercato di vivere onestamente la mia malattia».
Per Claudio questo vuol dire una cosa sola: «Avere una fede solida, non lasciarmi condurre in balìa delle emozioni e delle sofferenze. Tutto quello che mi è accaduto ho sempre cercato di leggerlo come un “mezzo†per poter volere bene alle persone in modo diverso. È come la parabola del cieco: tutti si chiedono di chi sia la colpa della sua cecità . Ma non c’è “colpaâ€. È così “perché si manifesti la gloria di Dioâ€. Nel mio piccolo, piccolissimo, di questa gloria cerco di fare un aspetto della mia vita».
Il racconto della vita di Claudio fa dunque un balzo indietro nel tempo. All’esperienza in oratorio. Alle Giornate mondiali della gioventù vissute con i suoi amici: «Non sono mai stato imprudente, ma ho sempre cercato di non isolarmi. Siamo stati a Santiago de Compostela, alle Gmg, insieme nelle uscite. Certo, per me sarebbe stato molto più comodo dormire nella mia cameretta. Ma quando era possibile sceglievo di ritardare di un giorno la medicazione per poter stare in mezzo agli altri».
A celebrare il matrimonio è stato il fratello di Claudio, sacerdote salesiano, che vive a Roma: «Siamo lontani ora, ma tutta la nostra famiglia è sempre stata unita. Sempre. Nella preghiera, nell’affidamento, nel vivere l’attimo presente. Nel rendere grazie. Qui e ora». E al matrimonio di Claudio c’erano anche i genitori di Daniela Zanetta, anche lei in cielo come altri “bambini farfalla†malati di epidermolisi, dalla pelle fragile. Lei è ora serva di Dio. E il diario di Daniela è stato per Claudio «un esempio di santità ».
Testo di  Francesca Lozito