N. 24 - 2016 12 giugno 2016
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Don Massimiliano Gabbricci

La Nazionale, la mia parrocchia

Parla il cappellano degli Azzurri di calcio. «I giocatori sono persone “normali”: a loro chiedo di essere esempi positivi, oltre che campioni»

Don Massimiliano Gabbricci 

«Passeremo il primo turno e suonerò a festa le campane». Don Massimiliano Gabbricci è il cappellano ? oltre che della Fiorentina ? della Nazionale italiana di calcio, che martedì 13 giugno affronta in Francia il primo match del Campionato europeo. Per “Domma” – così è affettuosamente soprannominato il sacerdote – la Nazionale è come una parrocchia: fra dribbling e fuorigioco, ne custodisce le anime.

Don Massimiliano, ha benedetto la squadra prima della partenza per la Francia?

«Scherziamo? Non ce ne era bisogno: anche se il girone è duro gli Azzurri possono fare bene. Appena prima della partenza abbiamo celebrato la Messa e ho fatto a tutti un grande in bocca al lupo, affidando a Dio l’Europeo: speriamo vada tutto bene, innanzitutto sul piano della sicurezza, e poi, perché no, anche per quanto riguarda i risultati. Lunedì 13 giugno sarò a Lione a tifare in occasione di Belgio-Italia, le partite successive invece le guarderò a Firenze con i miei parrocchiani».

Come ha accompagnato gli Azzurri verso un appuntamento così importante?

«Semplicemente ho offerto il mio ascolto a giocatori e staff. Il compito del cappellano è andare a trovare la squadra durante i ritiri a Coverciano, parlare con chi ne ha voglia ed essere a disposizione come ministro di culto. Mi capita di confessare e di celebrare l’Eucaristia. Alla Messa solitamente partecipano più di venti persone fra calciatori e staff, circa il 40 per cento dei presenti. Pensi che alle celebrazioni in parrocchia la percentuale scende al 10 per cento».

Che rapporto ha con i “parrocchiani” della Nazionale?

«Con alcuni ci limitiamo ai saluti cordiali, con altri invece il dialogo è profondo: raccolgo confidenze personali e alcuni mi chiedono anche di confessarsi, proprio come in una qualsiasi parrocchia».

Fra soldi, successo, e a volte anche eccessi, i calciatori non saranno però parrocchiani come tutti gli altri...

«Invece, andando oltre l’apparenza, si scopre che sono uomini “normali”. Pensare che per loro contino solo i soldi è un pregiudizio: ho incontrato ragazzi dai valori saldi e con uno spessore umano importante. Non tutti, naturalmente, sono così; ma non ho difficoltà ad ammettere che da alcuni calciatori ho anche imparato tanto».

Sconfitte, pressioni, quali sono le situazioni che mettono alla prova i calciatori?

«Certi errori in partite importanti pesano anche fuori dal campo. Ad esempio sbagliare un rigore decisivo può segnare profondamente l’animo di un calciatore: in questi casi mi metto in ascolto e offro conforto».

Come è iniziata la sua avventura in Azzurro?

«Quattro anni fa mi ha convocato Prandelli, che avevo conosciuto alla Fiorentina e con cui era nata stima reciproca. Poi Antonio Conte mi ha confemato: anche con lui e il suo staff è nato un ottimo rapporto».

Cosa significa per lei fare il cappellano dei calciatori?

«Per me essere cappellano, della Fiorentina come della Nazionale, è un’onore e una grande commozione. Sono sempre stato molto appassionato di calcio, prima di diventare prete giocavo come portiere. I miei miti erano Giovanni Galli, con cui poi siamo diventati amici, e Jean-Marie Pfaff, estroso portiere belga. Oggi mi piace stare vicino ai giocatori e in più apprezzo l’effetto aggregante che ha la Nazionale per gli italiani. Ricordo che anche in seminario guardavamo insieme le partite: tutti, compresi coloro ai quali lo sport proprio non piaceva».

Le è mai capitato che un Commissario tecnico le chiedesse una benedizione o qualche consiglio?

«Consigli no, ma chiacchierate tante. Con Conte mi capita spesso di parlare ma in modo molto discreto e, soprattutto, nel rispetto dei ruoli».

In questi anni ha conosciuto tanti campioni, con chi ha avuto rapporti più stretti?

«Con Andrea Barzagli in particolare ho una bellissima amicizia, ho celebrato il suo matrimonio, conosco la sua famiglia e ci sentiamo spesso per telefono o via messaggini. Ma è solo un esempio, anche con Marco Donadel (centrocampista che oggi gioca in Canada, ndr), Gigi Buffon, Giorgio Chiellini, Matteo Darmian, Federico Bernardeschi, Alberto Gilardino e Citadin Martins Eder ho un rapporto personale. In ogni caso tutto l’ambiente della Nazionale è molto accogliente e familiare: con tutti, cattolici e non, ho un rapporto di stima. Poi sottolineo che solo Dio conosce la fede dei suoi figli, calciatori compresi».

Le propongo un “gioco”. Se la Nazionale fosse una parrocchia, chi sarebbe il parroco?

«Antonio Conte! Il Commissario tecnico, come un vero parroco, guida la squadra e fa rispettare le regole. Fra coloro che danno sempre consigli preziosi vorrei citare anche Enrico Castellacci, responsabile dello staff medico».

I chierichetti?

«I ministranti sono quelli che danno sempre una mano. Direi dunque tutto lo staff, a partire dai magazzinieri: persone che non sono sulla scena, ma che offrono un sostegno fondamentale».

E chi, come gli animatori in oratorio, tiene alto lo spirito dello spogliatoio?

«Gigi Buffon, portiere e capitano, è uno che trascina il gruppo e sa vivere anche la giovialità nel modo giusto».

Chiudiamo con un pronostico: cosa si aspetta da questi Europei?

«Spero di suonare spesso le campane! L’importante però è che i giocatori rendano onore alla maglia e siano orgogliosi di rappresentare l’Italia. Ai calciatori lo ripeto sempre, come sportivi hanno una grande responsabilità nei confronti nei giovani, che li prendono a modello: mi auguro che anche in questo Europeo possano essere esempi positivi».

 

Testo di Laura Bellomi
Foto di Claudio Villa/Getty Images

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