N. 24 15 settembre 2013
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FRANCO NEMBRINI

L’AVVENTURA DELLA SCUOLA

Dialogo tra il rettore di un centro scolastico e una mamma giornalista e scrittrice. «La scuola? Importante, certo, ma non è la meta della vita; decisiva è la felicità dei ragazzi».

 

 

Franco Nembrini è il professore dei sogni, quello a cui tutti i genitori vorrebbero affidare i propri figli. Chiavi in mano. Allora sì che potrebbero smettere di preoccuparsi dei voti e del successo: saprebbero che c’è qualcuno che sa mostrare loro la bellezza della vita come avventura, e del sapere come impresa che serve a questo viaggio. Non per niente è uno che riempie le sale di giovani parlando loro di Dante, altro che Dan Brown.

Vuoi sapere di più su Franco Nembrini? Leggi l'identikit.

Noi di Credere abbiamo scelto lui, insegnante di storia e italiano, rettore del centro scolastico La Traccia di Calcinate (alle porte di Bergamo), per aiutarci a vivere l’inizio dell’anno scolastico con lo sguardo rivolto nella direzione giusta. Professor Nembrini, gira in rete una foto con la didascalia «primo giorno di scuola»: quattro ragazzini imbronciati, e una mamma che salta di gioia.

Finalmente libera, per qualche ora al giorno. Io non so se sono un caso preoccupante – vietato chiedere un parere ai miei figli in merito – ma per me è esattamente il contrario. In estate sono contentissima di godermi i miei figli, e in più sono esentata dalla tortura quotidiana, la lotta per i compiti: vorrei sempre che fossero di più, e fatti meglio. Mio marito dice che non me ne dovrei occupare. Ha ragione lui, come al solito? «Sì, almeno in parte io penso che abbia ragione lui.

Sono convinto che uno dei problemi più gravi dei ragazzi di oggi è che non hanno spazi per mettersi alla prova, per rischiare, per sbagliare. Mi sembra che i nostri atteggiamenti verso di loro siano dominati da due sentimenti: la paura e la sfiducia. Abbiamo paura che possa succedere loro chissà cosa, e li teniamo sempre sotto controllo (pensa a che assillo sono diventati i telefonini...); e pensiamo che non siano capaci di fare da sé, e abbiano sempre bisogno della nostra assistenza.

E così non si stimano, non si vogliono bene e tutto intorno li conferma in questa non stima. Poi ci stupiamo se crescono dei ragazzi i cui atteggiamenti davanti alla vita sono la paura e la sfiducia!». Quando sono andata a ritirare i libri di prima del mio primo figlio ho pensato: va be’, questi sono i libri con i giochi di prescolarizzazione, poi ci diranno dove comprare i libri veri. Mi sembra che oggi l’obiettivo della scuola sia soprattutto di essere simpatica ai bambini, di non metterli davanti a sfide impegnative, di non farli interrogare.

Che ne pensi? «Ahimè, è vero. Dobbiamo avere il coraggio di affermare che non c’è altro scopo dell’educazione che questo: accompagnare i nostri figli a stare davanti alle circostanze come la grande occasione data a ciascuno per scoprire la propria grandezza, la grandezza del destino buono cui siamo chiamati. Ma proprio questo ci vede tutti, giovani e adulti, di una fragilità sconcertante. Siamo perennemente in fuga dalle circostanze, dalla fatica, dal dolore, dalle ferite che la vita ci offre.

Fino a pensare che il nostro compito di educatori sia quello di evitare ai nostri figli queste ferite. Così impediamo loro di crescere e di diventare grandi». In terza media a mio figlio hanno fatto una lezione sul preservativo, scelta che è stata approvata da tutti i genitori della classe, tranne noi: l’idea è «non importa cosa fate, basta che non vi creiate problemi, cioè malattie o gravidanze». E anche la scuola viene vissuta un po’ così: i buoni voti a scuola sono per i genitori il certificato che possono stare tranquilli.

Se c’è una bella pagella tutto il resto non conta. Ma la scuola ci dice la verità sul ragazzo? «No. Anzi, bisogna anche qui fare chiarezza e avere il coraggio di dire che la scuola (e perciò il buon risultato scolastico) non è la meta della vita, ma semplicemente la strada. L’ideale della vita, per noi come per i nostri figli, è quello di essere felici, di conoscere la verità, cioè il senso delle cose, di poter amare davvero sé e gli altri, di sentire utile il proprio tempo e la propria fatica.

Lo ha magnificamente ricordato pochi giorni fa papa Francesco ai giovani di Piacenza. E questo si realizza in condizioni molto diverse, secondo strade mai uguali per tutti, valorizzando i talenti, le passioni, le capacità proprie di ciascuno dei nostri ragazzi». Tu entri in contatto con molti genitori. Dal tuo punto di osservazione, non ti sembra che ci sia il rischio che i genitori attribuiscano alla riuscita scolastica un valore diverso da quello che ha?

Magari una conferma del loro valore come genitori, una polizza di assicurazione sul successo del figlio, un cordone di sicurezza contro le difficoltà della vita? «Mi sembra che sia una terribile tentazione di noi educatori quella di confondere la strada con la meta, e pensare che il successo a scuola coincida con il compiersi del desiderio. Ma non è così, e i nostri figli lo sanno. Tanto è vero che ci accusano, magari inconsapevolmente, di proporre loro troppo poco.

Ecco, questa mi sembra essere la scoperta che ho fatto in tutti questi anni vivendo con loro: più la proposta ideale è alta, più il cammino è impegnativo, più diventano capaci di entusiasmo e di grandi sacrifici. Di recente mi ha scritto uno studente (non certo brillante dal punto di vista scolastico) dopo un concerto che ha visto suonare insieme lui, i suoi compagni e i suoi insegnanti: «Da questa sera so che l’Italia non andrà in rovina. Stasera sul palco ero un uomo. Molto più che in cento notti di alcool e di canne. Ora so di poter dare il mio contributo. Lo schifo che mi circonda morirà ai miei piedi. Non mi tirerò indietro».

Testo di Costanza Miriano
Foto di Manuela Gambazza

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