N. 25 - 2016 19 giugno 2016
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Antonia Arslan

Solo una fede semplice e profonda fa perdonare

Alla vigilia del viaggio del Papa in Armenia la scrittrice, la cui famiglia è stata distrutta dal genocidio del 1915, confida: «Non servono troppi ragionamenti, ma scuse e tempo per rielaborare»

Manifestanti chiedono giustizia per il massacro del 1915 

«Siamo alla vigilia della visita di papa Francesco in Armenia. L’attesa è grande: già lo scorso anno, in occasione del centenario del Metz Yeghérn, il grande male, come viene chiamato, in armeno, il massacro del 1915 della popolazione da parte dell’impero ottomano, il Papa lo definì «il primo genocidio del XX secolo».

Un genocidio ancora negato dalla Turchia, nonostante le proteste, nonostante il riconoscimento di 29 Stati: proprio di queste ultime settimane è la presa di posizione anche della Germania.

«Le parole di papa Bergoglio riprendono quelle pronunciate nel 2001 da Giovanni Paolo II, che visitò l’Armenia, duramente criticato dal governo turco. Ma ancora prima, nel 1915, anche papa Benedetto XV parlò del «popolo miserissimo degli Armeni che è condotto quasi alla sua distruzione totale».

Ce lo ricorda Antonia Arslan, la scrittrice italo-armena, autrice del romanzo La masseria delle allodole, pubblicato nel 2004, poi film nel 2007 diretto dai fratelli Taviani. La incontriamo una domenica pomeriggio a Milano: arriva da Padova, dove è la sua casa e dove è nata e, come già accaduto, ci colpisce per quel suo essere, allo stesso tempo, donna e bambina, gioiosa, curiosa, con gli occhi che si guardano attorno affamati di vita.

L’EREDITÀ DEL NONNO
Antonia Arslan, come tutti i bambini, può raccontare fatti crudelissimi ed efferati mantenendo uno stupore inattaccabile. Del resto, le favole per bambini dei fratelli Grimm sono tutto fuorché una passeggiata e Antonia Arslan è, come loro, una cantastorie: che racconta però le memorie di un popolo decimato, ne raccoglie le vicende tramandate a voce, rintraccia storie e documenti, come un archeologo, ciò che Arslan da ragazza voleva diventare. Figlia della «bella Vittoria», come definisce la madre nel libro Il rumore delle perle di legno, donna indipendente e volitiva, e dell’armeno Khayel, «dai grandi occhi orientali», che se ne innamorò ancor prima di vederla, sentendone il suono della voce, Antonia bambina, durante un bombardamento aereo, ricevette un dono dal nonno paterno Yerwant, un dono destinato a precisarsi sotto un glicine nell’albergo montano di Susin di Sospirolo, dove Antonia era convalescente con il nonno. Un regalo importante, che le avrebbe condizionato l’esistenza: il racconto della famiglia armena uccisa. Una sorta di investitura: Antonia fu scelta dal nonno tra tutti i nipoti.

Le chiediamo il perché e Arslan sorride: «Forse perché gli tenevo testa. Non so. Ricordo che dovevo fare un ciclo di iniezioni di penicillina, che sono un po’ dolorose. Il nonno voleva darmi 50 lire a puntura. Gliene chiesi 100. Alla fine ci accordammo per 75! Mi diede i soldi e poi disse che mi portava lui a far convalescenza, non si fidava né di mio padre che mi viziava né dell’altro nonno, che mi viziava ancora di più. Mi ha domato in 24 ore e dopo mi ha raccontato tutto».

Un’eredità depositata, che procurava ad Antonia un senso di calore: finché questo tesoro nascosto ha cominciato a riemergere. «Anche perché ho scoperto e tradotto il poeta armeno cristiano Daniel Varujan, un martire: è stato come immergermi in questa patria perduta e incominciare a sentire quelli che chiamo “i flauti di ossa”, cioè le voci, gli echi delle vite spezzate, attraverso le loro ossa sparse nel deserto. È stata una mia amica americana che mi ha spinto a scriverne, avevo più di cinquant’anni: “Basta parlarne: ce l’hai già tutto dentro”. Un pomeriggio mi sono messa al tavolo e ho iniziato a scrivere: Zio Sempad… Era il fratello di mio nonno, di cui sapevo della morte terribile e del suo matrimonio meraviglioso. Da allora la parte armena è venuta fuori sempre di più ma mai troppo: mi sento al 100 per cento armena e al 100 per cento italiana».

LA FEDE CATTOLICA
La fede cattolica le venne trasmessa dai genitori: «Mio padre era religiosissimo, mia madre anche ma era spesso critica con i parroci: certe volte aveva ragione, però. Si arrabbiò col parroco che aveva venduto delle preziose panche (ride). Mio padre ci faceva alzare presto la domenica per la funzione: io, sedicenne, che ero solita tirar tardi la sera studiando, lo pregai di farmi andare alla funzione successiva. Mi accontentò. La mattina di domenica urlò a squarciagola per il corridoio, eravamo 5 fratelli, “Svegli tutti tranne Antonia!”. La fede è ovviamente un fatto privato, ma sono convinta che sia difficile se si parte senza i fondamenti familiari. Sui quali puoi anche litigare. Ho tenuto per anni a lato la mia fede, non ci pensavo: sui cinquant’anni mi sono resa conto che era lì, come la mia armenità, non potevo più ignorarla».

IL “SUO” SANTO
Così come era impossibile ignorare quel santo di Padova venerato in tutto il mondo. «Sant’Antonio l’ho scoperto tardi, pur avendolo “in casa”. Me ne sono ricordata e ne ho scritto anche nel prologo della Masseria delle allodole: “Prendemmo la strada sotto i portici per andare al Santo. Era il 13 giugno, il giorno del mio onomastico. Pioveva, e io non volevo muovermi, ma il nonno Yerwant aveva detto: “È ora che la bambina conosca il suo santo. È già quasi troppo tardi, ha cinque anni. Non sta bene fare aspettare i santi”. Ho poi iniziato a incontrarlo dappertutto per il mondo, c’è una devozione senza confini, tanto che da poco tengo una rubrica, Vagabondaggi antoniani, sul Messaggero di Sant’Antonio. Ci sono tanti aneddoti. Per esempio, un giorno ero a Pittsburgh, negli Stati Uniti, e ho visto due donne pregare a un altare vuoto, senza statua, dedicato a sant’Antonio. “Si può pregare: lui c’è lo stesso!”. Beh, avevano ragione».

La ferita armena è ancora aperta e perdura «la coltre di velluto che nega la storia», dice Arslan: più di un milione di morti, massacrati, violentati, periti di stenti. Tutti che chiedono giustizia, perché i morti non sono muti. Per Antonia Arslan ci può essere il perdono? «Il perdono può esserci, ma dove ci sono delle scuse. Perdonare è un’elaborazione, un lungo percorso e come tale deve essere limpido, non retorico. Se il governo turco chiedesse scusa agli armeni il loro cuore si riempirebbe di gratitudine, si sentirebbero meno soli, riconosciuti. Ci vuole una fede molto profonda e semplice per perdonare, senza troppi ragionamenti. Per gli armeni l’aldilà è concreto: sono i prati del cielo, la patria perduta che non c’è più in terra».

La biografia
LA MASSERIA DELLE ALLODOLE IL SUO BEST SELLER

Antonia Arslan ha insegnato Letteratura italiana moderna e contemporanea in università. Autrice di saggi e traduttrice del poeta armeno Daniel Varujan (Il canto del pane e Mari di grano), ha scritto per Rizzoli La masseria delle allodole (2004), La strada di Smirne (2009), Il rumore delle perle di legno (2015). Tra gli altri suoi testi, Ishtar 2. Cronache dal mio risveglio, che racconta la sua uscita dal coma. Cura per l’editore Guerini la collana Frammenti di un discorso mediorientale.

IL PAPA LO HA DEFINITO «IL PRIMO GENOCIDIO DEL XX SECOLO»
Nel 1915 l’Impero ottomano uccise più di un milione di armeni. Ancora oggi la Turchia si rifiuta di riconoscere il massacro, che Francesco ha definito «il primo genocidio del XX secolo». 

 

Testo di Donatella Ferrario

 

IL VIAGGIO DEL PAPA
Tre giorni per portare pace a una nazione che, dopo aver subito uno degli eccidi più drammatici della storia, 101 anni fa, oggi annaspa fra crisi economica, tensioni con i Paesi confinanti e l’arrivo di 20 mila profughi siriani. Venerdì 24 giugno a Yerevan il Papa visiterà la cattedrale apostolica di Echmiadzin, poi incontrerà le autorità civili e il Catholicos, l’arcivescovo della Chiesa nazionale armena. Il giorno dopo visiterà il Tzitzernakaberd memorial complex (in onore alle vittime del genocidio) e volerà a Gyumri, dove celebrerà la Messa in piazza. A seguire, dalla cattedrale armeno-apostolica delle Sette piaghe alla cattedrale armeno cattolica dei Santi Martiri, la giornata sarà dedicata alla pace. Rientrato a Yerevan, sabato 25 giugno Francesco parteciperà all’incontro ecumenico e alla preghiera per la pace. Anche per domenica 26 giugno il programma sarà denso: prevede l’incontro con i vescovi cattolici armeni, il pranzo ecumenico con il Catholicos, arcivescovi e vescovi della Chiesa armena apostolica, i vescovi cattolici armeni. Infine la firma della dichiarazione congiunta e la preghiera al monastero di Khor Virap.
(l.b.)

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