N. 25 - 2017 18 giugno 2017
INSIEME di don Antonio Rizzolo

«Voglio che il mistero buono entri nei meandri della mia vita»

La bella testimonianza di una giovane madre dopo la tragedia di una bimba dimenticata in auto ci invita a riscoprire il…

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Padre Gianni Criveller

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Assieme a padre Franco Mella, il missionario ha tradotto in cinese alcuni testi dei due sacerdoti: «Vorremmo fossero un seme…

Officina del Sole

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Nata da un gruppo di fan della rock band di musica cristiana The Sun, l’Officina del Sole conta 500 iscritti, che si ritrovano…

Don Mimmo Zambito

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Nelle apparizioni avvenute dal 1945 al 1959 la Madonna ha promesso pace e protezione per tutto il mondo chiedendo di diffondere…

Ite, missa est di Emanuele Fant

La commovente ostinazione della tecno-nonna

I tentativi che i nostri nonni compiono per utilizzare computer e cellulari sono volti a restare “connessi” con figli e nipoti

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Agostino Burberi

Noi, i “santi scolari” eternamente grati a don Milani

«Il suo esilio è stato provvidenziale: saremmo rimasti degli “umiliati”». L’ex allievo, oggi vicepresidente della Fondazione don Milani, accoglie il Papa a Barbiana: «Sarà come toccare il cielo, ha sofferto troppo per la Chiesa»

Agostino Burberi

Ha i capelli grigi Gosto, per l’anagrafe Agostino Burberi. Eppure a 73 anni, nonno da un pezzo, è ancora, e sarà per sempre, un ragazzo di don Milani. Capita a tutti quelli che furono ragazzi a San Donato a Calenzano, dove don Lorenzo Milani era stato cappellano, e poi a Barbiana, pieve dispersa tra le case sparse sui monti del Mugello, cui era stato destinato parroco, come a un esilio. Gosto, a Barbiana, per una piccola coincidenza della storia, può dire di essere stato il primo. «Avevo otto anni, stavo servendo Messa, quando ho visto entrare un giovane prete alto, un po’ stempiato, avvolto nel tabarro, fradicio di pioggia (all’epoca non c’era strada, l’ultimo tratto per Barbiana era nel bosco, ndr). S’inginocchiò nell’ultimo banco e guardò quella che sarebbe stata di lì a un giorno la sua chiesa. L’ho conosciuto il giorno dopo quando ha fatto il giro delle case dei contadini».

Gli adulti si chiedevano quanto l’avesse combinata grossa per essere spedito, a 31 anni, in una parrocchia che si doveva chiudere: «Stemperò subito i pregiudizi con due gesti fondamentali: disse ai nostri genitori che avrebbe fatto doposcuola per noi, per aiutarci a studiare. Poi chiamò i due mezzadri che lavoravano i due poderi della parrocchia per dire loro che, di lì in poi, avrebbero tenuto per loro l’intero raccolto di quella terra avara: il priore rinunciava alla metà che la mezzadria gli destinava. I nostri genitori capirono subito che era un padrone e un prete diverso dagli altri».

COERENTE AL VANGELO
E un po’ forse intuirono quali idee controcorrente l’avessero fatto finire in mezzo ai bricchi. Il doposcuola non era ancora la scuola di Barbiana, che avrebbe preso forma di lì a due anni come avviamento industriale. Ma fu la prima porta per aprire al mondo quella minuscola comunità sparpagliata: «Io, che pure ero considerato uno “del prete” perché facevo il chierichetto ? l’altro era il nipote del parroco ? non ero mai entrato prima nel salotto della canonica: don Milani ce lo aprì subito facendone l’aula della nostra scuola».

Sulla porta della sua camera ? che la Fondazione tiene chiusa «per rispetto a lui, per non farne un feticcio per visitatori» ? c’è ancora la scritta I care, mi interessa. Un’idea di scuola, di Chiesa, di mondo. «Lui, che veniva da una famiglia facoltosa (non religiosa, ndr), ha vissuto con noi, ultimo tra gli ultimi, dormendo su una brandina militare, e io prego ogni sera per il cardinale che ce l’ha mandato: ha fatto del bene a noi, per mandare in esilio lui». Troppo avanti, don Milani, nelle sue idee sociali espresse con franchezza nel 1958 in Esperienze pastorali e in Lettera a una professoressa, finita con i ragazzi sul letto di morte. Troppo radicale nel suo vivere aderente al Vangelo. Troppo diretto nel dire sempre ai suoi poveri «la verità: sia che faccia comodo alla mia ditta [la Chiesa] sia che le faccia disonore».

12 ORE DI SCUOLA AL GIORNO
La scuola che gli si rimprovera a torto di aver voluto facilitare era in realtà una scuola tostissima, nata per dare ai più poveri un’occasione di riscatto, non per diventare più ricchi ma per diventare ? come diceva ? «più uomini», cittadini consapevoli dei propri diritti: «Facevamo scuola dodici ore al giorno», racconta Gosto, «una fatica, ma divertente, interessantissima. La nostra alternativa, del resto, sarebbe stata lavorare la terra o badare alle pecore, non avevamo distrazioni. Con lui abbiamo costruito l’astrolabio per imparare a leggere il cielo. Non si può immaginare la soddisfazione, per me figlio d’operaio, di saper riconoscere l’Orsa maggiore e Orione, cosa che neanche i ragazzi di città avrebbero saputo fare alla nostra età».

Scuola e vita si intersecavano, tutto era occasione di insegnamento, compresa la lunga malattia che ha portato don Milani alla morte, a 44 anni il 26 giugno del 1967, assistito dai ragazzi fino alla fine.

Testo di Elisa Chiari · Foto di Ugo Zamborlini

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