N. 25 22 settembre 2013
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Anteprima / Domenico Quirico

Dio non è il 118 della disperazione

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Giacomo Poretti

PERCHE’ SONO TORNATO A CREDERE

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Paul Bhatti

«DIFENDO LA FEDE A COSTO DI MORIREۛ»

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Il diario di Gina

«QUANDO LOURDES TI CONQUISTA»

Da quattro anni la cinquantenne brianzola accompagna i malati sui treni diretti al santuario francese...

Lo stile di Francesco

COSÌ IL PAPA PARLA DELLA VITA

Dalla telefonata a sorpresa alla donna che aveva deciso di non abortire ai discorsi ufficiali: lo stile originale del “magistero…

Il "Padre Pio del Nord"

IL FRATE CHE ISPIRAVA I POTENTI COL VANGELO

Proclamato beato a Bergamo fra Tommaso da Olera, predicatore e mistico amato da papa Roncalli...

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Il diario di Gina

«QUANDO LOURDES TI CONQUISTA»

 

Da quattro anni la cinquantenne brianzola accompagna i malati sui treni diretti al santuario francese. A Credere racconta, passo passo, ’esperienza di un pellegrinaggio dalla partenza al ritorno.

Basilica di Lourdes

Foto di Avio Giacobelli.

Gina Di Dedda Giacovelli ha 50 anni, è nata in Puglia, si è sposata in Brianza, ha cambiato tanti lavori, si definisce «una cristiana confusa», da sempre si sente vicina alla Madonna, ha «timore ad avvicinarsi al Figlio».

Quattro anni fa ha convinto il marito, sono andati a Lourdes, «volevo chiedere a Maria di insegnarmi a pregare». È partita senza sapere cosa avrebbe trovato, è tornata con una certezza: «Là si sente la presenza della Madonna, una presenza forte, bisogna solo mettersi in ascolto, lei sa come parlarti». Là ha trovato altre volontarie, si sono legate, «abbiamo iniziato un percorso, io lo definisco il puzzle della fede, mettiamo insieme tessera dopo tessera, ci vuole pazienza per completare il quadro».

Da quattro anni Gina è una «contagiata di Lourdes», ogni primavera sale col marito sul treno, si mette a disposizione di anziani e malati, si massacra di fatica, ma è contenta: «Mi rafforzo dentro». È tornata a Lourdes, ci tornerà, nonostante il viaggio sia lungo, difficile: da Milano ci vogliono poco più di mille chilometri, pesanti per i pellegrini in salute, una tortura per ottantenni o ammalati legati a piccole abitudini quotidiane, orari fissi per i pasti, sere cadenzate da radio e televisione. Mille chilometri equivalgono a cinquemila scossoni tra un binario e l’altro, le accelerate sbalestrano, le frenate fanno perdere l’equilibrio. Burocrazia e business non aiutano: alcuni anni fa bastavano 16 ore sui binari, quest’anno sono diventate 22 all’andata, 24 al ritorno, meno di cinquanta chilometri l’ora, ritmi di quando si sognavano mille lire al mese.

Ore e ore di attesa nelle stazioni, bisogna dare la precedenza ai pendolari, i vagoni merci non possono aspettare, i pellegrini son messi in coda, tanto non protestano. E i vagoni non vengono modernizzati, i più recenti risalgono agli anni Settanta, comfort d’altri tempi.

Ma Lourdes val bene questa fatica, speranza e fede sono più forti dei disagi. Ogni anno centinaia, migliaia di volontari delle diverse organizzazioni trovano tempo e passione per organizzare e gestire questi pellegrinaggi, con efficienza e solidarietà cercano di attenuare le fatiche. I treni sono piccoli villaggi autosufficienti, hanno vagoni ambulanze per i pellegrini “allettati”, che fanno il viaggio in brandina. C’è la carrozza per la “sala di comando”, da lì gli altoparlanti diffondono gli avvisi e, due volte al giorno, il rosario e i canti sacri. C’è il vagone dispensa, dove sono stipati i silos per le minestre. C’è il vagone magazzino per alloggiare le carrozzine, il materiale sanitario; in coda viaggiano i pellegrini “normali”, sei per scompartimento, di notte si allestiscono le cuccette, una fatica salire sulla terza, in alto.

Per fortuna ci sono i volontari, dieci per vagone, con un responsabile che coordina il tutto: «Ognuno ha un suo compito durante il viaggio e nei giorni a Lourdes, i turni sono stabiliti prima ancora di partire: bisogna accettare tutto, a volte non sei d’accordo con le decisioni, ma esegui in un salutare bagno di umiltà». Gina quest’anno, per la prima volta, è stata assegnata agli allettati. Ammette: «È stato pesante, io sono apprensiva, non sapevo come prendere i malati, avevo paura di far male a quelli in carrozzina, perfino mettere loro le scarpe diventava un problema». Riflette: «Mi sono chiesta se sia giusto portare in un viaggio così faticoso persone con tanti dolori, alcuni malati non erano coscienti, non so se abbiano percepito dov’erano e dove andavano». Precisa: «So che Lourdes rappresenta per molti un momento di socializzazione, ma il dubbio resta». Il marito l’ha rassicurata: «Ognuno reagisce come può. Una sera eravamo sulla Esplanade sotto la pioggia battente, accompagnavamo un invalido con lo sguardo sempre assente: a un certo punto mi è sembrato che la faccia si fosse rasserenata».

Il viaggio è difficile, la sistemazione a Lourdes richiede rapidità, «i pellegrini arrivano stanchi, non vedono l’ora di trovare il loro spazio». In poco più di un’ora l’Accueil è pronto, poi finalmente si può andare alla Grotta, ci sono Messe e funzioni, nessuno si perde la processione con i 15 misteri del rosario, secondo Gina uno dei momenti più coinvolgenti. Ci sono i minuti alla grotta, «impressiona la fede con cui migliaia di mani accarezzano quelle rocce». E poi c’è «l’appuntamento appassionante alle piscine».

Minuti che non si cancellano. Gina si commuove: «Una sera verso mezzanotte, finiti i nostri turni, siamo andati alla Basilica. Eravamo in una nuvola di incenso, pioveva a dirotto, il vento ci gelava, sferzava le fiammelle del grande candelabro. Siamo stati lì pochi minuti, a un certo punto mi sono sentita isolata dal mondo esterno, come portata in un altro luogo, non so dire dove, né perché, so solo che è stato veramente intenso». Gina è rientrata turbata in albergo, «non riuscivo a parlare», il marito anche, solo un paio di giorni dopo si sono confidati quell’esperienza senza fiato, «abbiamo pianto insieme».

Momenti belli, momenti meno esaltanti: «Lourdes è diventato un immenso bazar pieno di paccottiglia prodotta in Cina e venduta con un’avidità che fa a pugni con la fede. In molti casi lo shopping sconfina nella superstizione». Gina è molto selettiva: «Compro solo piccoli oggetti fatti dalle monache di Betlemme, pregano mentre lavorano, quelle statuine hanno qualcosa in più». Il ricordo più prezioso lo tiene chiuso nel comò: «È una semplice ampolla con un po’ d’acqua, non ha niente di speciale. Ma in quelle gocce sembra si siano distillate le fatiche e il sudore, le lacrime e le emozioni di quel primo pellegrinaggio. Sta lì, resta lì, ricorda ogni giorno momenti preziosi, conferma che quando Lourdes ti prende è difficile resistergli. Anche se i chilometri diventassero tremila.

Testo di Nino Ciravegna
Foto di Avio Giacobelli

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