N. 25 22 settembre 2013
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«DIFENDO LA FEDE A COSTO DI MORIREۛ»

Ha raccolto il testimone del fratello, ministro pakistano ucciso per l’impegno a favore delle minoranze religiose...

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Paul Bhatti

«DIFENDO LA FEDE A COSTO DI MORIREۛ»

 

Ha raccolto il testimone del fratello, ministro pakistano ucciso per l’impegno a favore delle minoranze religiose. «Ho paura ma ricordo cosa diceva Shahbaz: “Mi sono messo nelle mani di Gesù, mi proteggerà”»

Paul Batthi

Athar hussain/reuters.

«Anch’io ho paura. L’ha avuta Gesù. E io, che al suo confronto sono così piccolo, non nego che molte volte vorrei sottrarmi. Tutti, però, dobbiamo morire. E io preferirei morire difendendo la mia comunità e la mia fede».

Parla così Paul Bhatti, ex-ministro pakistano per l’Armonia nazionale e consigliere del Primo Ministro per le Minoranze religiose. Nel suo Paese sta continuando l’opera del fratello Shahbaz, ucciso a 43 anni da un gruppo di estremisti a Islamabad.

Si era battuto per la tutela delle minoranze religiose (che in Pakistan costituiscono il 5% della popolazione), contro il fondamentalismo e la persecuzione dei cristiani. Atti violenti e leggi ingiuste, come quella sulla blasfemia che ha portato in carcere la cristiana Asia Bibi, madre di cinque figli, colpevole, secondo i suoi accusatori, di aver offeso il nome Maometto.

Una testimonianza di fede e sacrificio, quella di Shahbaz. «Ha speso la vita per tutti. Per la gente della sua parrocchia e della città, fino all’impegno in politica». Perché tutti potessero avere la libertà di pregare e vivere secondo la propria fede. «Sapeva di essere in grave pericolo, ma nonostante questo non ha mai smesso di battersi per la difesa dei diritti di ogni credente», spiega Paul che ripercorre la sua storia. La storia di quel fratello generoso che dava grosse preoccupazioni alla famiglia con le sue iniziative in difesa dei cristiani, fin dall’età di 14 anni. E che spesso rimediava batoste non solo verbali. «Nonostante la grande differenza di età, avevamo un rapporto molto forte. Con lui condividevo tutto: qualsiasi problema in casa, a scuola o nel paese. Lui mi ascoltava e si interessava». Così quando Paul, a soli 18 anni, si trasferisce in Italia, Shahbaz soffre molto: «Al mio rientro, organizzava feste che duravano una settimana. Era un fratello ma soprattutto un amico».

Negli anni, i problemi legati alla libertà religiosa in Pakistan aumentano: cresce il numero dei cristiani maltrattati, accusati e imprigionati ingiustamente. Shahbaz non riesce a tollerare quella situazione. Ne parla a casa e con i suoi amici. «Faceva tutto quel che poteva. Quando facevo il medico mi chiedeva dei soldi per dare l’elemosina alla gente». La sua esposizione pubblica diventa sempre più grande, così come l’inquietudine di Paul. «Cercavamo di convincerlo a essere più moderato, ma lui non ascoltava. Molte volte è successo che prima di andare a dormire non lo trovassi in camera sua. Aspettavo la notte, ma lui non tornava. Cercandolo in giro per il paese, lo trovavo a discutere animatamente con altri giovani. Lo pregavo: “Shahbaz, torna a casa”. E lui, capendo la mia paura, mi seguiva. Quando ha iniziato a proporre le leggi contro la blasfemia, la sua fama si è estesa a livello internazionale». Mentre Shahbaz assume la carica di ministro, nel 2008, Paul è in Veneto, a Treviso, e fa il medico. Il crescere dell’ostilità, con morti e attentati, aumenta esponenzialmente i timori. «La gente lo seguiva. Il governo lo supportava». Il 2 marzo 2011, la notizia del suo martirio giunge ugualmente imprevista e scioccante.

A Islamabad, però, avviene l’imprevedibile. Ai funerali del politico cristiano c’è una folla sterminata. Un chilometro e mezzo di persone che si accalcano, dietro al feretro, mosse dal “commovente sacrificio” di Shahbaz , come l’ha definito Benedetto XVI. Paul riconosce l’importanza della lotta di suo fratello e la paura si trasforma in un impeto di missionarietà. «Ho capito che dovevo seguire la strada che lui aveva segnato. E la decisione non è stata mia, ma di Dio».

Da due anni, prosegue il suo mandato al Ministero «con la diplomazia e con le preghiere». Un lavoro fatto di lotte politiche e giuridiche, nel quale la fede conta più di tutto. «Negli ultimi anni siamo riusciti a liberare un’altra ragazza dal carcere, dov’era stata imprigionata per una falsa accusa di blasfemia. Ora la situazione continua a essere molto delicata, ma c’è lo spazio per un cambiamento», spiega. «La pace è una responsabilità di ognuno», e passa dall’educazione. «Dal rapporto con i nostri figli», prima di tutto. Lo sa bene il medico pakistano che ha dovuto insegnare a sua figlia, ancora adolescente, che cosa voglia dire lottare per difendere la propria identità. «Il rapporto con lei è difficile: non accetta la mia missione», ammette Bhatti. «Un giorno abbiamo fatto una gita di famiglia. Lei era contenta, ma quando ha visto venti guardie del corpo, pronte a difenderci, si è spaventata».

Per i cristiani il prezzo da pagare è alto. Perfino andare a Messa la domenica può comportare rischi enormi. Paul Bhatti non si tira indietro. «Sono sempre stato accompagnato dalla mia famiglia, ma anche da buona parte della comunità internazionale che stimava l’impegno di mio fratello e non si è dimenticata della nostra situazione. Penso al Canada, all’Italia e ad altri Paesi, che non solo hanno espresso la loro vicinanza, ma si sono attivati creando istituti per la tutela della libertà religiosa». C’è un incontro che più di tutti ha segnato la vita dell’ex ministro: quello con Francesco, lo scorso 18 maggio, in occasione della Giornata dei movimenti e delle associazioni laicali. «Quando mi hanno chiesto di raccontare la mia esperienza davanti a lui, ero molto emozionato. Sono grato al Santo Padre perché ci sostiene. E ci dà la forza per continuare a testimoniare il Vangelo della mitezza, del dialogo, dell’amore per i nemici. Come ci ha detto il Giovedì santo: “Non lasciatevi rubare la speranza!”». Non serve altro per continuare la lotta. Nel suo cammino Bhatti porta sempre, scolpite nel cuore, le parole di suo fratello: «Mi sono messo nelle mani di Gesù. E lui mi proteggerà».

Testo di Linda Stroppa

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