N. 27 - 2015 28 giugno 2015
Sommario 27 - 2015

Credere n. 27 - 05/07/2015

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Il testimone | Padre Gabicho

«Dagli Indios ho imparato a rispettare la natura»

Nato 67 anni fa da una famiglia di campesinos, padre Gabriel condivide la sua vita con gli indios. Che aspettano la visita del Papa in Ecuador, dal 5 all’8 luglio.

IN FILA NEL DUOMO La Sindone è un lenzuolo di lino di 4,41 x 1,13 metri. Contiene l’immagine di un uomo morto per crocifissione. Nella foto: i fedeli si avvicinano al Sacro Telo, nel duomo di Torino

In foto: Padre Gabicho.

«In tutta la mia vita sacerdotale e nel mio lavoro pastorale ho visto Dio negli indios. Quando non c’è giustizia, i diritti degli indios sono violati, quando non c’è educazione vengono oscurati, mentre il primo diritto è quello alla vita: quando si vive, fioriscono l’amore, la fraternità e la giustizia. Invece ai popoli indigeni sono stati negati alcuni diritti universali: quello alla terra, all’istruzione, alla salute, all’acqua, alla casa. Il diritto di parlare, di eleggere e di essere eletti, infine il diritto alle proprie convinzioni». Per intuire quando è cominciata la passione nei confronti degli indios che anima padre Gabriel Nicanor Barriga Arias, prete ecuadoriano chiamato affettuosamente Gabicho, basta chiedergli qualche informazione sulle sue origini indie, rivendicate «con umiltà e con molto orgoglio».

Nato 67 anni fa in una famiglia di campesinos, racconta che i suoi genitori «hanno vissuto e si sono nutriti della saggezza india, della cultura e dell’abbigliamento tipicamente indio». «Mio padre Policarpo», continua, «parlava fluentemente la lingua quechua (che deriva da quella parlata dagli Incas, ndr); accoglieva i suoi fratelli che venivano a trovarci con i lama. Mia madre Dolores durante le fiere vendeva cereali e legumi, con il ricavato comprava cibo per la famiglia. Eravamo nove fratelli: quattro sono morti, come i miei genitori». Ordinato prete a 28 anni, padre Gabicho ha maturato la vocazione accanto agli ultimi.

Letteralmente conquistato dalla testimonianza del vescovo di Riombamba, Leonidas Proaño, candidato al Nobel per la pace per la sua attività a favore del popolo indigeno, «oggi riconosciuto come uno dei promotori della teologia della liberazione», precisa Gabicho, che è soprannominato «il padrecito de los Andes» e oggi è parroco a Quimiag. Arrestato e detenuto in carcere nel ’76 insieme a 14 vescovi per essersi schierati dalla parte degli indios, per molti di loro rappresenta l’erede spirituale di Proaño.

Che si sta preparando alla visita pastorale del pontefice argentino in Ecuador, dal 5 all’8 luglio. «I poveri, le comunità di base, le popolazioni indigene sono coloro che “sentono” e vivono più intensamente l’arrivo del Papa», afferma padre Gabicho. «Il 19 marzo 2013 mi trovavo per caso a Roma e ho potuto partecipare alla Messa solenne d’inaugurazione del pontificato. Nell’aprile dello scorso anno gli ho scritto, raccontandogli quello che faccio e a giugno mi ha risposto, incoraggiandomi ad andare avanti. Con le sue parole schiette, trasparenti e profetiche, strettamente connesse al Vangelo, si rivolge ai credenti con umiltà e forza affinché possiamo sentirci popolo, Chiesa viva e fraterna.

Prego il Signore che questa sua visita lasci traccia nei sacerdoti e nei vescovi ecuadoriani». Nell’enciclica “Laudato sii”, fa notare padre Gabicho, «Francesco ci invita a compiere la missione di amare i poveri, che sono presenti nei suoi passi e nei suoi pensieri. Un’esortazione rivolta a tutta l’umanità, perché diventi accogliente e viva secondo il cuore di Dio e dell’uomo. In questo possiamo imparare dagli indios, che nel corso dei secoli hanno rispettato “el buen vivir” nel cibo, nella casa: non hanno sfruttato il creato, ma hanno rispettato la natura e se ne sono serviti soltanto per la loro sopravvivenza.

E oggi sono nel pensiero e nel magistero del Papa latinoamericano». Concetti tutt’altro che astratti per il sacerdote: li vede incarnati quotidianamente negli indigeni, nella loro dignità estrema nonostante l’indigenza. In un approccio, da parte del prete e degli aiuti, estraneo a un abusato assistenzialismo e a un paternalismo buonista. Restano loro, gli indios – quattro milioni circa in Ecuador – i protagonisti della propria storia, con risorse culturali (e anche spirituali) da riscoprire. Con loro e per loro, grazie anche alla solidarietà di alcuni volontari, padre Gabicho ha aperto un ambulatorio nei locali della sua precedente parrocchia e avviato un servizio itinerante di ostetricia, ha promosso la costruzione di due ponti, un mulino, scuole e impianti d’irrigazione.

Ha incoraggiato le famiglie più povere ad acquistare in gruppo latte e farina per ottenere prezzi più bassi e le donne a unirsi per realizzare e vendere piccoli lavori di artigianato. Ogni iniziativa contempla la manodopera, un piccolo contributo economico e un grande apporto creativo degli indigeni. Particolarmente originale il progetto sui lama, portato avanti con l’Asociación de llamingueros del Ecuador “Intiñan”, fondata dal sacerdote con alcuni allevatori delle comunità rurali andine per promuovere il ripopolamento dell’animale-simbolo della cultura inca e puruhà: rappresenta un mezzo di trasporto, produce un’ottima lana ed è un buon nutrimento quando viene macellato.

L’associazione sostiene le famiglie nell’acquisto degli animali e i prestiti vengono restituiti in piccole rate mensili: denaro reinvestito per comprare altre bestie. Finora sono stati inseriti oltre 6 mila lama in una trentina di comunità, dove vivono circa 15 mila persone: un segno di speranza.

Testo di Laura Badaracchi

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