N. 27 6 ottobre 2013
La lettera di Suor Daniela dal Pakistan

«La comunione è forte più della presenza»

Pubblichiamo la lettera di ringraziamento di suor Daniela Baronchelli, suora paolina missionaria in Pakistan.

Monsignor Georg Gänswein

SONO IL “PONTE” TRA I DUE PAPI

Monsignor Georg Gänswein, dopo la rinuncia di Ratzinger, riveste un ruolo inedito e delicato: lavora con Francesco e abita…

Fra Graziano Lorusso

CONQUISTATI DA SAN FRANCESCO

Una carriera da calciatore al fianco di Del Piero, la fidanzata e una vita che sembrava già scritta. Poi arriva la chiamata:…

Madre Giuseppina Biviglia e "Ginettaccio"

BARTALI, LA SUORA E GLI EBREI SALVATI

Le Clarisse, guidate da madre Giuseppina Biviglia, nascondevano i perseguitati nei sotterranei del loro convento...

Francesca Fialdini

IN TV CON IL CUORE: RACCONTO LA SPERANZA

Francesca Fialdini conduce Unomattina in famiglia. In televisione valorizza le persone che intervista: «La fede mi aiuta…

Casa San Girolamo

SE I LAICI TENGONO APERTO IL CONVENTO

A Spello famiglie e soci dell’Azione cattolica garantiscono la gestione della Casa San Girolamo, fondata da Carlo Carretto,…

In dialogo con don Antonio

UNA RIVISTA DA FAR CONOSCERE

Per una lettura completa...

Madre Giuseppina Biviglia e "Ginettaccio"

BARTALI, LA SUORA E GLI EBREI SALVATI

Le Clarisse, guidate da madre Giuseppina Biviglia, nascondevano i perseguitati nei sotterranei del loro convento. Con l’aiuto di “Ginettaccio” che in bici portava loro documenti falsi.

 Gino Bartali

C’è una storia preziosa che si è dipanata nei sotterranei di Assisi; una storia di accoglienza, di solidarietà, di coraggio che la pedalata da campione di Gino Bartali ha contribuito a tessere. Durante il fascismo e la persecuzione degli ebrei, nella bici di “Ginettaccio” viaggiavano, da Firenze ad Assisi, fotografie e documenti falsi da consegnare ai perseguitati nascosti. Nessuno sospettava che il famosissimo ciclista compisse quei viaggi non per allenarsi, ma per aiutare le vittime innocenti dell’odio razziale. Un’attività rischiosa che ha portato a scrivere il nome di Gino Bartali nell’elenco dei Giusti delle Nazioni, l’ambìto riconoscimento attribuito dallo Stato di Israele a chi ha contribuito a salvare degli ebrei dalla persecuzione nazifascista.

Tra il 1943 e il 1944 la città del Poverello era ritenuta piuttosto sicura e, di conseguenza, molti vi sfollarono. Le porte dei monasteri si aprirono. Come in quello di San Quirico, a pochi passi dal vescovado, che diventò una centrale clandestina di rifugio per gli ebrei, e di realizzazione di falsi documenti di identità. Obbedendo all’invito del vescovo, monsignor Giuseppe Placido Nicolini, anch’egli Giusto delle Nazioni, la badessa del monastero, madre Giuseppina Biviglia, nascose decine di persone. Andando ben oltre il dovere dell’ospitalità. Erano periodi duri per le monache.

Scarseggiava il cibo, la guerra faceva paura. Eppure madre Giuseppina – nata in una frazione di Foligno da una famiglia povera e numerosa nel 1897 – consapevole dei rischi che comportava, fece entrare ebrei, disertori, ricercati. Non celò i sentimenti che la trapassarono. «Devo dire tuttavia – si legge nel Libro delle memorie del monastero – che qualche volta opposi un po’ di resistenza all’accettazione di queste persone, sentendo tutta la responsabilità della mia posizione di fronte alla comunità e temendo per questa qualche conseguenza: ma in quei momenti fui sempre incoraggiata dal nostro Venerato Superiore, da altri sacerdoti e dalle mie stesse consorelle ad agire in favore di quei poveretti». Donne, uomini, ragazzi, trovarono perciò una “casa”. La vita delle monache proseguiva, tra preghiera e lavoro. La “macchina” dell’assistenza ai rifugiati funzionò sino al 26 febbraio ’44 quando, a seguito di un controllo casuale, fu scoperto un giovane con documenti contraffatti, il quale non riuscì a nascondere di essere alloggiato in San Quirico.

Il Convento Clarisse di Assisi

 

La mattina seguente al portone bussò la polizia che, intanto, aveva fatto circondare il monastero. Gli “ospiti” in quel momento si trovavano anche nella clausura. Furono momenti drammatici, che madre Giuseppina affrontò con fermezza. La perquisizione travolse il monastero. Nel parlatorio, dietro la grata, l’abbadessa affrontò un duro colloquio con i funzionari fascisti; nel coro, le consorelle pregavano. Intanto gli ebrei si mettevano al sicuro negli antichi sotterranei.

Scrisse madre Giuseppina: «Dunque, alla porta tra il Dormitorio e la Clausura, ebbe luogo altro increscioso colloquio tra i funzionari, il Colonnello e me. […] Dietro la mia parola affermativa, entrino pure e si accertino da loro, immaginarono impossibile il fatto che il fuggitivo si fosse trattenuto in clausura […]: allora, esasperati, minacciarono di condurmi in prigione: io risposi con una franchezza insolita. […] Per grazia di Dio non ne fu nulla». Dopo quell’episodio San Quirico diventò un luogo insicuro e i clandestini lo lasciarono. La storia che si è consumata tra quelle mura non è stata dimenticata: tre donne, scampate dai pericoli della guerra, hanno fatto richiesta allo Yad Vashem a Gerusalemme di porre anche il nome di questa clarissa umile e coraggiosa nel novero dei Giusti. La prossima primavera l’ultima nipote di suor Giuseppina riceverà il riconoscimento. E tra le mura di San Quirico si alzerà una preghiera di lode.

Testo di Barbara Garavaglia

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