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Mario Melazzini
La mia vita oltre la Sla
Il medico presidente dell’Aifa ha imparato ad accettare le prove grazie a Giobbe e Madre Teresa. «La malattia non ha aumentato la mia fede», confida, «ma mi ha insegnato ad affidarmi a Dio»
Quando lo incontri, trovi subito il suo sguardo, chiarissimo, aperto, «il primo strumento della nostra vita quotidiana», e le sue parole, che ti si piantano negli occhi e nel cuore, perché sanno chiamare ogni realtà con il suo nome, senza paura. Mario Melazzini, medico e paziente a un tempo, oggi è presidente dell’Aifa, l’Agenzia italiana del farmaco, e fondatore ed ex presidente di Arisla, l’Associazione per la ricerca sulla sclerosi laterale amiotrofica, la malattia che gli è stata diagnosticata nel 2003. «Era venerdì 17 gennaio», racconta, «il medico mi disse: “Caro Melazzini, lei ha la Sla. E io mi fermo qui”. Quelle parole sono una sentenza che ancora oggi mi mette i brividi». In ogni caso, con o senza brividi, da allora Mario Melazzini non si è mai fermato. Né come uomo, né come credente. E nemmeno come… peccatore. Ecco la prima sorpresa.
ACCOMPAGNATO DA DIO
Quest’uomo non si atteggia a eroe o a santo, ma al contrario ammette che «la malattia non ha aumentato la mia fede. Invece, ogni giorno imparo che il mio peccato, il mio limite è anche il primo luogo in cui mi sento accolto e accompagnato da Dio. So di non essere mai stato solo, nei miei percorsi, proprio per questa consapevole mia debolezza che Dio ogni giorno sceglie di incontrare e di salvare».
Non si tratta, qui, di una visione teologica, ma di vita vissuta: «Dopo la diagnosi stavo male», spiega. «Volevo stare lontano dalla mia famiglia, dagli amici. Ma continuavo compulsivamente a lavorare. A settembre avevo anche pensato al suicidio assistito. E ne avevo parlato con Silvano, padre Silvano Fausti. Stupendo sacerdote, splendido amico», biblista, fondatore della comunità milanese di Villapizzone, morto nel giugno 2015 e noto per essere stato anche il confessore del cardinale Carlo Maria Martini. «Come tutti i grandi uomini di fede, non si è mai permesso di giudicare», ricorda Melazzini. «Fu lui a dirmi: “Vuoi rimanere solo veramente? Allora vai via da tutto, vai a stare da solo”. E congedandomi aggiunse: “Questa è la mia Bibbia, portala con te”. Mi aveva lasciato un segnalibro nel libro di Giobbe».
SUI PASSI DI GIOBBE
Già segnato nel fisico, Melazzini andò per diversi mesi in montagna, nella sua casa di Livigno, con una badante appena arrivata in Italia: «Io non amavo il libro di Giobbe. Per qualche mese rimase sul comodino. Guardavo le montagne e pensavo con dolore che non sarei mai più potuto salire nuovamente sul Pizzo Cassana. Poi iniziai a leggere Giobbe, per rispetto di padre Fausti. E cambiai lo sguardo sulla mia vita. Iniziai, lentamente, a guardare avanti, anche senza sapere come sarebbe stato il domani. Guardare le montagne, anche dal basso, mi dava un nuovo senso di pace, la stessa sensazione di libertà che provavo quando arrivavo in cima a una vetta. Ho cominciato a toccare con mano, e non più per sentito dire, l’essenza dell’esistere, per cui Dio ti dona gratuitamente e ti può anche togliere ciò che ti ha dato. Ma poi ti restituisce. La restituzione non va per forza immaginata come qualcosa di tangibile. Io, dentro di me, ho visto che anche con la malattia avrei potuto continuare a essere utile a me stesso, alla mia famiglia, ai miei amici, agli altri. È stata la mia restituzione».
Oltre alla riflessione di Giobbe, ce ne è anche una di madre Teresa, che Melazzini ama citare: «Non vivete le vostre vite come foglie ingiallite». Ma, soprattutto, «la preghiera che sento più mia è il Padre Nostro. Mi piace lasciarmi abbracciare da quello sguardo di Padre, che mi fa sentire bene, mai solo, sempre accolto, qualsiasi situazione debba poi affrontare. Tutto ha un senso, insieme a Lui». Nel suo viaggio tra i significati impegnativi della vita, non solo da figlio del Padre, ma anche da padre dei propri figli, Mario Melazzini si è dovuto anche duramente confrontare con il dolore e la malattia del figlio, Nicolò, e anche del nipotino.
NELLE PROVE DELLA VITA
«A Nicolò hanno diagnosticato una aplasia midollare idiopatica. E ha ricevuto il trapianto di midollo. Quasi nello stesso periodo al piccolo di mia figlia è stata diagnosticata una malattia molto particolare, la colangite sclerosante primitiva, che porta a dover fare il trapianto di fegato. In quel momento, ho detto a Dio: “Eh no”. Non con cattiveria. Ma c’era dolore, nel mio colloquio con Lui. Poi ho ripercorso il mio tragitto, una volta ancora. Ho parlato con mia figlia Federica e con Nicolò. E mi sono reso conto che c’è sempre un significato, anche quando è invisibile. Faticosamente stiamo affrontando la situazione, che non è finita. Il piccolo è in cura. Intanto, andiamo avanti, apprezzando la gioia di vedercelo accanto ogni giorno, bello allegro».
«Da un anno ci siamo sposati con Monica, che ho conosciuto nel 2003 come volontaria dell’associazione Aisla. È la mia seconda moglie. E abbiamo cinque figli. Lei ne aveva due dal precedente matrimonio, io tre. Non rimpiango nulla di tutta la vita che ho condiviso con Daniela, la mia prima moglie. Abbiamo avuto tre splendidi figli e a loro ci siamo dedicati interamente».
«Io e Monica, pur non essendoci potuti sposare in chiesa, continuiamo a vivere la nostra vita di comunità cristiana e a essere sempre più uniti nella fede e nell’amore. Un amore che vive anche nell’amore del Signore, nell’essere uno donato all’altra, nel rispetto dei nostri figli».
LA BIOGRAFIA
IL MEDICO CHE SA COSA VUOL DIRE ESSERE UN PAZIENTE
Nato a Pavia il 10 agosto 1958, medico, oncoematologo, Melazzini ha la Sla dal 17 gennaio 2003. Autore di diverse pubblicazioni scientifiche, ha raccontato per la prima volta la sua esperienza nel libro Un medico, un malato, un uomo (Lindau, 2007). Diversi i libri pubblicati con le edizioni San Paolo: Ma che cosa ho di diverso? Conversazioni sul dolore, la malattia e la via (2009); Io sono qui (2012); Daniele che avrà vent’anni nel 2020 (2013), Lo sguardo e la speranza. La vita è bella, non solo nei film (2015). Ha ricoperto numerosi incarichi importanti in ambito sanitario e sociale: oggi è il presidente dell’Agenzia italiana del farmaco, l’ente pubblico che valuta, regola e vigila sul mercato dei farmaci e governa la spesa farmaceutica nel nostro Paese. È fondatore e past-president di Arisla, l’Agenzia italiana di ricerca sulla sclerosi laterale amiotrofica (Codice fiscale Cinque per mille: 97511040152). www.arisla.org.
Testo di Giuseppe Gazzola