N. 28 - 2017 9 luglio 2017
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Ite, missa est di Enzo Romeo

Il male e il bene non conoscono limiti e confini

Bisogna prendere atto che anche in occidente, parte del pianeta che consideriamo cristiana, ci sono terribili situazioni…

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Ite, missa est di Enzo Romeo

Il male e il bene non conoscono limiti e confini

Bisogna prendere atto che anche in occidente, parte del pianeta che consideriamo cristiana, ci sono terribili situazioni di violenza

Ite missa est

Il cosiddetto «scontro di civiltà», alimentato negli ultimi decenni dai professionisti della tensione, ha contribuito a disorientarci. Ma all’incontrario rispetto all’etimologia della parola. Nel senso che la nostra attenzione si è concentrata a Oriente, soprattutto al mondo arabo e islamico, pensando che tutto il male del mondo si nascondesse lì. E così non abbiamo guardato abbastanza verso Occidente. Anche da questa presbiopia, dalla difficoltà cioè di mettere a fuoco ciò che è più vicino a noi, derivano i pregiudizi verso gli immigrati e certe oscure, indefinite paure.

Guardare verso Occidente, ad esempio, significa prendere atto che ci sono situazioni terribili di violenza anche in quella parte di pianeta che, dal punto di vista religioso, è considerata cristiana. Pensiamo, ad esempio, al cattolicissimo Messico, dove un conflitto feroce – sebbene non dichiarato – sta provocando migliaia di morti. È la guerra dei narcos, alimentata dalla corruzione di larghe fette dello Stato e le cui vittime sono spesso i più poveri ed emarginati, come i migranti che attraversano il Paese per cercare di raggiungere gli Stati Uniti.

Un prete coraggioso, Alejandro Solalinde, ha raccontato in un libro, curato da Lucia Capuzzi, il dramma di questa gente. Uomini rapiti per ottenere miseri riscatti, donne stuprate e costrette alla prostituzione, bambini usati come ricambi umani per il commercio di organi. Una violenza che regge il confronto, e perfino va oltre, gli orrori dell’Isis. Eppure cresciuta in terra fidelium. I capi dei cartelli del narcotraffico portano al collo il crocefisso, partecipano alle funzioni religiose, chiedono i sacramenti. «Dove abbiamo sbagliato?», si chiede padre Solalinde, che vive sotto scorta. Perché in questa nazione così “devota” fare il sacerdote è un mestiere ad alto rischio. Non c’è molta differenza tra annunciare il Vangelo alla periferia di Città del Messico o tra le strade di Kabul o di Lahore.

Il male non conosce confini. Come il bene, del resto.

Illustrazione di Emanuele Fucecchi

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