N. 29 - 2015 12 luglio 2015
Insieme di don Antonio Rizzolo

Imitiamo la Vergine Maria, modello di vita cristiana

Cari amici lettori, il viaggio del Papa in America latina è stato molto intenso. Tantissimi i gesti significativi, le parole…

Il personaggio | Bobby Solo

«Alla vita dico sempre sì»

La musica, la paternità in età matura, la fede... Il cantante di Una lacrima sul viso ha appena compiuto settant’anni e si…

Volontari a Taizé

La nostra fede senza confini

Hanno tra i 19 e i 25 anni, sono cristiani di diverse confessioni e arrivano da tutto il mondo per un periodo di servizio…

Il testimone | Don Salvatore Mellone

Nella sua carne ci ha annunciato Dio

È stato ucciso dal cancro dopo soli due mesi dall’ordinazione sacerdotale. Eppure don Salvatore Mellone ha voluto dire sino…

Esclusiva | Manfredi Borsellino

Mio papà, il giudice Paolo Borsellino

Nel 23° anniversario della morte del magistrato del pool antimafia, il figlio racconta l’intimità di un uomo di grande fede…

Ite, missa est | Emanuele Fant

Per me, la natura

Per una lettura completa...

Il personaggio | Bobby Solo

«Alla vita dico sempre sì»

La musica, la paternità in età matura, la fede... Il cantante di Una lacrima sul viso ha appena compiuto settant’anni e si racconta.

IN FILA NEL DUOMO La Sindone è un lenzuolo di lino di 4,41 x 1,13 metri. Contiene l’immagine di un uomo morto per crocifissione. Nella foto: i fedeli si avvicinano al Sacro Telo, nel duomo di Torino

In foto: il cantautore Bobby Solo.

Roberto Satti parla con la chitarra tra le mani. «Sto cercando di buttar giù le note di The Nearness of You di Hoagy Carmichael». Mi racconta qualcosa e accenna una strofa di canzone. Cita con passione decine di nomi di cantanti, testi, stili musicali. Mi invita ad ascoltare questo e quello. Roberto è conosciuto da tutti come Bobby Solo per un errore: nel 1963 il discografico disse alla segretaria: «Chiamiamolo all’inglese, Bobby. Solo Bobby».

Per lui la musica non è un sottofondo, è il suo essere, la passione di una vita. Un inizio da giovanissimo, folgorante, con Una lacrima sul viso (1964), seguito, un anno dopo, da Se piangi se ridi, con cui vinse Sanremo. Il ragazzino magro e timido, che voleva, contro il parere del padre, fare rock e adorava Elvis Presley, iniziava una carriera lunghissima, di dischi d’oro, di tour in Italia e all’estero. Il ragazzo di allora, di anni, ne ha da poco compiuti settanta, ha figli già adulti e uno piccolo, Ryan, di due anni e mezzo, nato dalla seconda moglie Tracy Quade dopo quasi vent’anni di matrimonio. Da poco ha inciso un disco dal titolo significativo, Meravigliosa vita, tredici brani di cui nove inediti.

Come nascono le sue canzoni?

«Compongo anche dieci pezzi ogni settimana, poi rimangono là. Faccio del magazzino (ride). Mi vengono molto velocemente. La Lacrima l’ho composta in due minuti e mezzo in cucina con mia mamma che cucinava le patate bollite per papà. Non c’è più niente da fare l’ho scritta in pochi minuti a Cannes alle undici di mattina: avevo l’albergo davanti al mare, ho preso la chitarra e l’ho fatta». Non c’è un briciolo di presunzione in lui, anzi: Bobby Solo si definisce “un semplificatore”, e la semplicità, viene voglia di dirgli, è spesso la virtù dei grandi.

Sogni nel cassetto?

«Mi piacerebbe incidere gospel tradotti in italiano. Se un giorno riuscirò a farlo sarò felice: il gospel è una musica che ti prende in una maniera spaventosa. Anche Elvis adorava il gospel, poi l’hanno trasformato in una macchina da soldi: sono stato a Tupelo, dove è nato, nella baracca di legno che sembrava una roulotte, dieci metri per tre. Vicino c’era la chiesa dove i neri cantavano la Messa gospel e lui andava là. Per me il suo più bel disco è di gospel, His Hand in Mine».

Per Bobby Solo la vita è sempre meravigliosa?

«Ci sono stati anni bui: tra gli anni Settanta e Ottanta. Ero finito nel dimenticatoio. Ma anche in quei momenti non ho mai pensato al peggio. Credo che la vita sia un dono e un’esperienza incredibile. L’ho capito ancora di più con l’ultimo mio bambino perché quando avevo 23 anni non mi ero neanche reso conto di cosa volesse dire mettere al mondo un figlio. Invece ora seguire questo esserino dalla prima ecografia, quando sembrava un fagiolino e dentro invece c’era già tutta la vita ed era una cosa che quasi non si vedeva, mi ha fatto tanto pensare».

La fede l’ha accompagnata sempre?

«A Roma sono stato cresciuto fino a tredici anni dalle suore, chi mi curava era un’amica di mia madre, suor Adalberta: per me era normale credere. Al liceo ero amico del padre gesuita Luigi Bellincampi, padre Be’. Avevo 9 in italiano e 9 in religione, in tutto il resto avevo 4!».

Parlando di questi temi lei mostra quasi pudore…

«Ho sempre un po’ di ritegno perché sembra che uno voglia farsi notare… Nel 1983 ho avuto un’emorragia alla corde vocali, il tendine della corda vocale si era spezzato in due. A Salsomaggiore una specialista mi ha detto: “Non canterai più”. Sono andato a Lourdes con un mio amico francese e ho bevuto l’acqua santa, ho messo un cero e ho pregato la Madonna. Le ho detto: “Io sono nei guai. Fai te”. Dopo venti giorni ho ricominciato a parlare e dopo tre mesi cantavo a Sanremo. Un ateo direbbe che sono guarito perché fisiologicamente dovevo guarire: ma so che è stata la Madonna. Come quando, nel 1990, ho avuto un testacoda a 140 km orari, sulla Firenze-Bologna: è rimasto solo l’abitacolo, non c’era più niente, mi sono solo storto un dito. Avevo l’adesivo di padre Pio in auto – io e mia moglie ne siamo devoti – e sono convinto che la Madonna mi abbia protetto. Anche quando ho avuto un esaurimento nervoso dodici anni fa: sono andato al santuario di Santa Maria della Pieve di Colognola ai Colli. Certo, sono un po’ un discolo, solo quando mi trovo nei guai chiedo aiuto…».

Com’è l’inizio di un nuovo giorno?

«Da parecchio tempo mi alzo la mattina e mi dico: questo potrebbe essere l’ultimo giorno ma lo voglio vivere come il primo giorno in cui mi sono reso conto di essere vivo, con l’entusiasmo dei vent’anni. Dedicandomi alle cose che mi piacciono: cioè le chitarre, il basso, la musica, la composizione, la famiglia, il bambino, la moglie, gli altri figli che sento tutte le settimane anche se vivono lontano da noi e poi i nostri amici: è vivere la vita, questa meravigliosa vita, come ha scritto Mogol nella canzone».

Perché lei e sua moglie avete scelto di abitare lontano da Roma?

«Ho abbandonato Roma perché mia moglie da piccola – è figlia di militari americani – ha sempre gravitato attorno alle basi di Aviano e Vicenza ed è rimasta attaccata a questi luoghi. Quindi, per accontentarla, stiamo qui ad Aviano o a Rovigo, dove abito spesso per tagliare le distanze quando vado a fare le serate».

Il suo senso dell’esistenza qual è?

«La vita è un’esperienza unica e irripetibile, uno vorrebbe viverla un’altra volta per fare un altro giro, ma non si può fare. La cosa bella è poter dire di non averla sprecata, di averla apprezzata. Sono sempre stato positivo, anche nei momenti più brutti, il bicchiere a metà l’ho sempre considerato mezzo pieno, ho detto “meno male è mezzo pieno, pensa se fosse vuoto!” e questo atteggiamento mi è servito. Ma non è che lo posso consigliare a tutti, perché nasce nel profondo di ognuno: avevo un segretario sempre scontento. Se c’era il sole: “Caspita ’sto sole!” Se c’era la pioggia… non l’ho mai visto contento in vita mia! Io cerco sempre di vedere e aggirare l’ostacolo riportandolo a favore mio. Sono fatto così».

E papa Francesco?

«Mi esalta al massimo. Ha riposizionato la Chiesa: l’ha resa accessibile e vicina. E lui stesso si presenta come un uomo “comune”, che però ha la grazia di essere vicino al Signore più di tutti noi. Ha un’umiltà che è la sua naturalezza… è fortissimo! Ho anche la bella sensazione che qualche disco mio lo possa aver sentito, perché dal 1965 ho fatto nove tournée e ho venduto un milione di copie in Argentina: se lui era là mi avrà sentito. Non so poi se gli piacessi o meno! Prima di papa Francesco volevo tanto bene a papa Giovanni XXIII, era una persona che faceva star bene la gente: le persone hanno bisogno di avere un riferimento umano, se sembrano semidei di alto rango non ti dicono nulla. Ognuno di noi ha una scintilla di Dio in sé, solo che non ce ne rendiamo conto o non ci facciamo caso: quando uno riesce ad avere questa consapevolezza la deve coltivare».

Testo di Donatella Ferrario

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