N. 29 - 2015 12 luglio 2015
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Nel 23° anniversario della morte del magistrato del pool antimafia, il figlio racconta l’intimità di un uomo di grande fede…

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Esclusiva | Manfredi Borsellino

Mio papà, il giudice Paolo Borsellino

Nel 23° anniversario della morte del magistrato del pool antimafia, il figlio racconta l’intimità di un uomo di grande fede e forti principi: «Era un inguaribile ottimista e quest’ottimismo è riuscito a trasmetterlo anche a noi figli».

Loredana Errore. Foto Eidon

Manfredi Borsellino e le sorelle non amano parlare del padre Paolo, magistrato del pool antimafia, morto per mano di Cosa nostra il 19 luglio di 23 anni fa. Nessun pensiero o parola può, infatti, colmare il vuoto lasciato dal genitore, ucciso insieme agli uomini della scorta, nell’agguato in via D’Amelio, mentre andava a trovare l’amata madre.

Ma per Credere ha accettato di fare un’eccezione.

Siamo arrivati al 23° anniversario della morte di suo padre. Avverte che è passato così tanto tempo, oppure ha come l’impressione che lui sia sempre presente?

«La sua presenza l’avverto costantemente e credo percepiscano la stessa presenza nella loro vita anche le mie sorelle. Per noi non è mai trascorso tutto questo tempo e non esagero se dico che a volte quasi ci aspettiamo che da un momento all’altro venga a farci visita e ad abbracciare e “sbaciucchiarsi” i suoi adorati nipoti, ben sette, nessuno dei quali purtroppo ha avuto la fortuna di veder nascere. Ovviamente percepiamo la stessa presenza di nostra madre, malgrado da pochissimi anni non sia più tra di noi».

Tanti conoscono le gesta eccezionali di Borsellino, soprattutto per il pool antimafia. Ci aiuta a ricordarne anche il lato umano?

«In questi anni ho letto e ascoltato tante testimonianze di chi l’ha conosciuto davvero e molti aneddoti anche assai divertenti su di lui, ma io personalmente trovo una certa difficoltà a ricordarlo a mia volta o a tratteggiarne il lato umano perché si tratta di ricordi troppo intimi, che non riesco facilmente a esternare».

Proviamo insieme... com’era Paolo come papà?

«Il suo amore per noi figli era sconfinato, anche se ce lo manifestava in maniera diversa perché diversi – com’è anche giusto e inevitabile che sia – siamo noi tre fratelli».

Come riuscivate a sopperire alla sua mancanza quando, per ragioni di sicurezza e di lavoro, doveva starvi distante? Chi ne soffriva di più fra voi figli?

«Semplicemente non sopperivamo alla sua mancanza per il fatto che lui non ci mancava, o meglio, non mancava mai più di un certo periodo di tempo che ce ne facesse avvertire l’assenza. Ricordo il periodo nel quale per sei anni guidò la Procura di Marsala. Bene, rientrava così spesso a Palermo, dove noi continuammo a vivere e a frequentare le scuole, che quasi in quegli anni non ci accorgemmo che lavorava in un’altra città. Non si assentava mai nei fine settimana e la domenica era sacra».

Borsellino era un uomo di fede?

«Sì, era credente. E praticante, con un zelo impressionante, lo divenne dopo la prima comunione di mia sorella Lucia, la primogenita. Partecipava, in genere, la domenica alla prima Messa del mattino, probabilmente perché riteneva di creare meno disagi sia alla scorta che agli altri fedeli presenti alla funzione. Si confessava con una certa regolarità e amava leggere la prima o la seconda Lettura. Era solito accomodarsi, però, nelle ultime file, un po’ come noi figli siamo soliti fare le (poche) volte in cui in questi anni abbiamo partecipato a qualche commemorazione o iniziative simili».

Dopo la strage di via D’Amelio, cosa pensa di questo Dio Padre che ama, ma porta anche al martirio i suoi figli?

«Li porta al martirio proprio perché li ama: ai “figli migliori” nostro Signore chiede di sacrificarsi. Mi piace riportare un passo di quello che probabilmente è il testamento spirituale di mio padre, pronunciato in occasione del trigesimo della morte di Giovanni Falcone e poco prima della propria: “Sono morti tutti per noi, per gli ingiusti, abbiamo un grande debito verso di loro e dobbiamo pagarlo gioiosamente, continuando la loro opera, facendo il nostro dovere, rispettando le leggi, anche quelle che impongono sacrifici, (...) testimoniando i valori in cui crediamo, in cui dobbiamo credere, (...) accettando in pieno questa gravosa e bellissima eredità di spirito”».

Testo di Patrizia Carollo

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