N. 29 - 2015 12 luglio 2015
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Volontari a Taizé

La nostra fede senza confini

Hanno tra i 19 e i 25 anni, sono cristiani di diverse confessioni e arrivano da tutto il mondo per un periodo di servizio…

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Per me, la natura

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Volontari a Taizé

La nostra fede senza confini

Hanno tra i 19 e i 25 anni, sono cristiani di diverse confessioni e arrivano da tutto il mondo per un periodo di servizio presso la comunità di Taizé in Francia. 

Foto Reuters

In foto: don Massimo Mapelli, 43 anni, originario di Merate (Lecco). 

Pietro ha in tasca una laurea in Lettere, sogna di fare il contadino ma prima vuole riflettere e curare il suo rapporto con Dio. Anita è appena arrivata dall’India e si sente molto fortunata: è stata scelta tra tanti suoi amici e ha avuto la possibilità di compiere questo lungo viaggio fino in Europa per condividere la fede con tanti altri giovani. Giulia ha bisogno di tempo per pensare al proprio futuro.

Mei Mei invece ha le idee molto chiare: vorrebbe diventare “pastora” nella Chiesa anglicana di Hong Kong. José ha voglia di donare del tempo per gli altri e incontrare tante persone. Leïla è affascinata dalla vita comunitaria e vuole capire se è la strada che fa per lei. Questi sei ragazzi – provenienti da luoghi, tradizioni e confessioni religiose diverse – hanno qualcosa in comune: stanno trascorrendo alcuni mesi della loro vita presso la comunità ecumenica di Taizé, in Francia (della quale parliamo in un ampio servizio a pagina 71).

Sono «permanent», cioè volontari che hanno deciso di offrire il loro servizio per alcuni mesi, oppure «invited», giovani che arrivano da Paesi in via di sviluppo e che hanno l’opportunità di trascorrere un periodo di formazione presso il monastero sulle colline della Borgogna. Qui condividono la quotidianità della comunità religiosa e sbrigano i compiti necessari per garantire l’ospitalità alle centinaia di persone che ogni giorno arrivano sulla collina. Un “tirocinio” per mettersi alla prova, per allargare gli orizzonti, per incontrare una dimensione di Chiesa aperta e gioiosa. Senza paura di lasciare a casa sicurezze e comodità. E soprattutto un’esperienza di amicizia senza frontiere, un piccolo seme di pace e riconciliazione. Ascoltare le loro storie offre un interessante affresco della gioventù cristiana globalizzata del 2015. Una generazione cui i confini e le differenze fanno sempre meno paura ma che ha bisogno come l’aria che respira di luoghi dove condividere la fede e di adulti che li aiutino ad orientarsi.

José Stierna, 19 anni, ha occhi azzurri e viso quasi imberbe. È un perfetto esempio del giovane di quest’Europa oramai senza frontiere: padre svedese e madre spagnola, è cresciuto a Bruxelles e ora vive a Madrid per studiare fisioterapia. Mentre è intento a distribuire la colazione, racconta di aver deciso di rimanere a Taizé per tre mesi come volontario: «Voglio mettere alla prova la mia fede, approfondire le motivazioni, andare oltre le apparenze. E aiutare gli altri. Qui si erano conosciuti i miei genitori e io amo molto questo posto».

Anche Pietro Gallina, 23 anni, piemontese di Ivrea, ha i genitori che si sono incontrati grazie a Taizé, durante l’incontro internazionale di Roma nel 1987, «anche se poi non è finita bene perché due anni fa si sono separati». Nel 2013 si era già fermato in Borgogna per un mese, ora ripete l’esperienza, rimandando “in ferma” fino a settembre nonostante abbia una ragazza a Bologna che lo aspetta: «Ho deciso di venire perché sapevo mi faceva bene», spiega. «Il rapporto con Dio, come del resto quello con le persone, si allenta se non è coltivato. Qui si prega bene e si riflette seriamente. Voglio pensare al mio futuro: ho sempre sognato di fare il contadino una volta terminata l’università, ma ora ho dei dubbi se sia la strada giusta. Stare qui pone prospettive nuove alle proprie domande esistenziali». Mei

Mei Tse, 25 anni, viene da Hong Kong. Nata in una famiglia non credente, «come moltissime in Cina», ha studiato in una scuola anglicana e lì ha trovato la fede da adolescente. «Trascorrevo tutto il tempo del sabato e della domenica in parrocchia, impegnata nell’animazione e nei servizi di carità. Qui finalmente ho tempo per fermarmi e pregare». Per il futuro ha le idee chiare: vuole continuare a servire la Chiesa diventando “pastora”. Ma lo potrà fare «solo raggiunta una certa maturità». Nel frattempo progetta di lavorare nel sociale con la sua laurea in Scienze politiche e amministrative.

Da Parigi arriva invece Leïla Baccuet, cristiana protestante. Terminati gli studi come infermiera, si è presa un periodo di riflessione e si fermerà a Taizé per un anno: «Volevo mettermi alla prova, sperimentare la vita comunitaria, capire come sentirmi davvero coinvolta nella Chiesa». E si capisce che quando parla di Chiesa pensa all’essere cristiani tutti insieme, oltre le differenze confessionali. Anita Tirkey, 25 anni, in India lavora come allenatrice di basket in una scuola superiore di missionari francescani.

È felice per l’opportunità che le è stata data di rimanere tre mesi a Taizé e assicura: «Sono qui anche per i miei amici rimasti a casa. Appena tornata spenderò molto tempo per raccontare loro la mia esperienza. I cristiani nel mio Paese sono minoranza e in alcune regioni subiscono gravi persecuzioni. Abbiamo bisogno di incoraggiamento». C’è anche chi il ritorno a casa un po’ lo teme. Come Giulia Balconi, 19enne della provincia di Lecco, arrivata a Taizé per la prima volta quando aveva 14 anni con la mamma e i due fratellini e già tornata diverse volte. «Qui ti insegnano a leggere il Vangelo secondo la tua vita: non ti dicono “è così e basta!” come in certe prediche che sento in Italia».

Testo di Paolo Rappellino

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