N. 30 - 2017 23 luglio 2017
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Parrocchia di Mendicino (Cosenza)

Una Chiesa che accoglie

Quattro profughi nigeriani, giunti a Mendicino in seguito a uno sbarco a Lampedusa, hanno chiesto di poter ricevere i sacramenti di iniziazione cristiana dopo un percorso di accoglienza presso la parrocchia San Nicola di Bari

Gabriel, Scott, John Michael e Festus con i rispettivi padrini e madrine.

Quando la fede è feconda, prende la forma della carità. È quanto succede nella parrocchia San Nicola di Bari di Mendicino, alle porte di Cosenza. La comunità si è presa cura di alcuni giovani profughi di origine nigeriana arrivati lo scorso anno a Lampedusa, in collaborazione con la Caritas e i centri di accoglienza attivi nella cittadina.

È stato un modo per rispondere all’appello di papa Francesco, e a quella croce di Lampedusa realizzata con il legno dei barconi, che alcuni anni fa è stata accolta anche qui, nella nuova chiesa. La scelta è stata quella di prendersi cura, con diverse modalità, dei «fratelli che si imbarcano su gommoni a costo della propria vita, e che arrivano sulle nostre coste privi di ogni bene, con addosso solo la speranza di una vita migliore», racconta il parroco, don Enzo Gabrieli.

Gabriel, Scott, John Michael e Festus sono cattolici. A Pasqua sono stati battezzati anche con un secondo nome, naturalmente quello di Francesco. Un nome scelto per l’affetto verso il Papa, ma anche per la devozione al Poverello d’Assisi, che queste persone conoscono molto bene grazie all’opera dei padri missionari Francescani che hanno raggiunto i loro villaggi.

I quattro nigeriani hanno scelto di ricevere i sacramenti dell’iniziazione cristiana la notte di Pasqua, dopo un percorso di catechesi e formazione in inglese e in italiano. Ora che sono entrati ufficialmente nel registro della grande famiglia della comunità parrocchiale di Mendicino, accompagnati dalle madrine Graziella, Serena, Rosa e dal padrino Simone, hanno cominciato la seconda fase: scuola di italiano e integrazione nelle diverse attività.

UN’ACCOGLIENZA GENEROSA
Il percorso di sensibilizzazione al fenomeno dell’immigrazione è cominciato da qualche anno, quando l’associazione parrocchiale di volontariato di protezione civile “Madonna del Rosario”, nata da una storica confraternita, ha aiutato la Caritas in occasione di una decina di sbarchi. «L’associazione ha risposto all’appello della Caritas regionale e di quella diocesana di Rossano, partecipando alle diverse fasi di accoglienza dei migranti», spiega don Gabrieli. «Un’esperienza forte, alla quale non si è mai pronti, che ti mette di fronte agli occhi disorientati delle persone che arrivano».

Don Enzo, 45 anni, è figlio di genitori emigrati in Venezuela, dove è nato il 17 dicembre, «lo stesso giorno del Papa», dice con un pizzico d’orgoglio, e in famiglia il papà ha sempre raccontato ai cinque figli del lungo viaggio in nave, imbarcato da Napoli all’età di 14 anni, alla fine degli anni Cinquanta. «Anch’io sono figlio di immigrati e questo mi fa cogliere le ansie e le speranze di tutta questa gente», afferma. «Uno sbarco è sempre uno scenario forte, per certi versi raccapricciante, fa vibrare il cuore e smuove le nostre coscienze».

Alcuni giovani volontari dell’associazione non nascondono la commozione: «Vorremmo fare di più, ma le risorse sono limitate, quelle che raccogliamo in parrocchia. La nostra forza è la fede», dice la volontaria Maria Francesca Gaudio.

INTEGRAZIONE IN CHIESA
In questa esperienza che fa fronte al fenomeno degli sbarchi tutta la comunità parrocchiale si è coinvolta, con tante iniziative di solidarietà, come ad esempio l’acquisto di un kit per ogni migrante: «Perché quando arrivano non hanno nulla», dice Giuseppe Gervasi. I volontari sono un fiume in piena nel raccontare ai gruppi e alla comunità le tante e diversificate attività. «Anche quelli che sembravano un po’ più duri si sono commossi», racconta don Enzo che li ha sempre accompagnati.

La comunità parrocchiale mendicinese ha teso una mano a tutti i circa cento ragazzi ospitati nei centri. Ognuno di loro è stato coinvolto nelle feste religiose, nel cenone di capodanno, negli eventi e nelle iniziative di solidarietà della parrocchia. «Abbiamo intercettato i ragazzi cattolici perché l’approccio, anche da parte loro, è naturale», sottolinea la catechista Rosa Gaudio: «Appena arrivano cercano la Chiesa, anche se appartengono a Chiese cristiane non cattoliche. Partecipano in silenzio alla Messa domenicale. Pregano con noi, anche se non conoscono ancora l’italiano».

In comunità è arrivato anche un giovane sacerdote keniota che dà il suo contributo nella catechesi. Don Gabriel studia a Roma e svolge qui, durante le vacanze, il suo ministero pastorale. «Grazie a lui abbiamo proposto catechesi più specifiche e abbiamo recuperato la versione in inglese di alcune preghiere», spiega il parroco.

COME IN UNA FAMIGLIA
Rosa, la big mom (grande mamma), come la chiamano i ragazzi, si occupa di loro quasi quotidianamente, almeno con una telefonata; è un punto di riferimento. È lei che li ha preparati al catechismo e ai sacramenti e ora li segue, con alcuni giovani dell’Azione cattolica, nel laboratorio linguistico. In questo periodo collaborano anche alla preparazione del Grest e sognano di partecipare al campo estivo.

Alla Messa della domenica mattina arrivano molto presto e, dopo aver collaborato a sistemare l’altare e i foglietti per l’assemblea, partecipano a una breve spiegazione del Vangelo della domenica. «Inserirli nella comunità significa non solo accoglierli, ma anche dare loro la possibilità di lavorare, prendere la patente e imparare l’italiano», aggiunge la catechista. «Il “don” ci tiene molto al fatto che imparino l’italiano e la nostra cultura, perché solo così è possibile la vera integrazione e qualche percorso lavorativo».

“Casa”, “chiesa”, “Bibbia”, “Gesù”, “rosario”, “strada”, sono le prime parole che hanno imparato nella piccola scuola di italiano in parrocchia, ma «la prima vera forma di integrazione è avvenuta attraverso la liturgia», sottolinea la catechista. Scott, che faceva già il fotografo, sta coltivando il suo sogno. Nelle celebrazioni parrocchiali, aiutato da Gino, fa questo piccolo servizio e qualche sua foto è finita anche sul settimanale diocesano.

Nell’ambito di questo percorso della Caritas parrocchiale è accolta anche una famiglia, in collaborazione con l’ufficio diocesano Migrantes. «È un modo per aderire al progetto della Cei “Allarga lo spazio della tua tenda” e una forma per rispondere all’appello di papa Francesco», spiega don Gabrieli. «Questi ragazzi arrivati un anno fa a Lampedusa, lasciando in Nigeria chissà per quanto tempo le loro famiglie, meritano di trovare uno spazio nei nostri cuori, perché la ragione del loro viaggio è il desiderio di costruirsi un futuro migliore».

Entrare in chiesa per loro significa entrare in casa, in famiglia. Per raggiungere la parrocchia fanno ogni giorno tre o quattro chilometri a piedi, «Ma non possiamo non venire», dice Scott, «qui ci sono per noi persone amiche, tante mamme e tanti papà».

LA PAROLA CHIAVE: CROCE DI LAMPEDUSA
È stata realizzata da Franco Tuccio, un falegname lampedusano, che anni fa ha cominciato a raccogliere le assi di legno rimaste sulla spiaggia dopo il naufragio dei barconi dei migranti per farne delle croci. Nel 2014 ne ha realizzata una grande che è stata portata a Roma per essere benedetta da papa Francesco. Da allora è portata in pellegrinaggio in tutta Italia.

Testo di Debora Ruffolo

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