N. 30 - 2019 28 luglio 2019
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Vallombrosa

L’abbazia dei monaci forestali

I Benedettini della congregazione fondata sull’Appenino toscano da san Giovanni Gualberto nei secoli hanno sviluppato una tecnica di sfruttamento dei boschi che rispetta i ritmi della natura

L’abbazia di Vallombrosa

C’è un legame molto speciale tra i monaci di Vallombrosa e le foreste che circondano l’abbazia. Da quasi mille anni, sulle pendici del Pratomagno – la dorsale montana  che separa il Valdarno dal Casentino, nel cuore della Toscana – le selve di abete bianco e i figli di san Benedetto sono come in simbiosi: gli uni inseparabili dagli altri, si regalano reciprocamente vita e prosperità.

Ma raccontiamo la storia dall’inizio. La fondazione dell’abbazia benedettina di Vallombrosa si deve a san Giovanni Gualberto, un monaco vissuto poco dopo l’anno mille che aveva abbandonato l’abbazia fiorentina di San Miniato dopo aver scoperto che il suo abate aveva comprato con il denaro la nomina a vescovo. Deciso a vivere una vocazione più autentica, basata su comunità, povertà e rifiuto del controllo dei potenti sulla vita religiosa (era l’epoca della lotta per le investiture), Giovanni si ritira con due compagni in una zona disabitata dell’Appennino e lì nel 1036 fonda il nuovo monastero che all’inizio, in realtà, consiste in semplici capanne di legno. Ben presto Vallombrosa cresce, diventando uno dei luoghi di sostegno spirituale alla riforma che in quegli anni sta portando avanti papa Gregorio VII, proprio per preservare la Chiesa dalla compravendita delle cariche ecclesiastiche.

I DONI DELLA TERRA
La nuova esperienza religiosa prende vita in una località che era chiamata Acquabella per l’abbondanza di sorgenti. Lì i monaci si dedicano allo sfruttamento dei boschi, l’unica risorsa disponibile per l’autosostentamento, secondo la regola benedettina dell’ora et labora, prega e lavora. Coltivano castagni, faggi e, soprattutto, piantano l’abete bianco, il classico albero di Natale, un tipo di pianta fino a quel tempo poco presente in queste zone ma che si rivela molto redditizia: i tronchi d’abete, slanciati e robusti, erano molto richiesti come travi per le costruzioni nei palazzi di Firenze. Fin dall’inizio i monaci di Vallombrosa utilizzano le risorse naturali con quella che oggi definiremmo una forte sensibilità “ecologica”.

I benedettini, infatti, si rendono conto di non poter sfruttare la preziosa risorsa naturale fino a esaurirla. Così sviluppano un innovativo metodo di gestione che gli esperti chiamano «foreste ad abete bianco puro con taglio a raso e rinnovazione posticipata». In pratica, non tagliano a caso gli alberi dei boschi, ma li coltivano in abetine omogenee e con un progetto a lungo termine. Abbattono le piante quando raggiugono i novant’anni di età e subito ne ripiantano di nuove sullo stesso terreno. Un ciclo produttivo lungimirante perché la sua durata supera quella della vita umana e insegna che le risorse naturali, se non le si vuole depredare, richiedono uno sguardo generoso verso il futuro.

Insomma, ogni volta che un monaco pianta un albero lo fa per dare prosperità a chi vivrà due generazioni dopo di lui. Una lezione di straordinaria attualità, in piena consonanza con gli insegnamenti di papa Francesco nella enciclica Laudato si’. Bergoglio spiega infatti che solo «un’ecologia integrale», cioè attenta al rispetto della natura ma anche alla dignità delle persone, è in grado di combattere la distruzione dell’ambiente e la povertà delle popolazioni che lo abitano.

PATRONO DEI FORESTALI
Nel Settecento a Vallombrosa si sviluppa un vero proprio centro di ricerca scientifica di selvicoltura, che farà scuola in tutt’Italia fino a quando, nel 1808, in epoca napoleonica, l’abbazia viene soppressa. Nel 1866 la proprietà delle foreste passa al Regno dei Savoia, che nei locali dell’abbazia fonda l’Istituto forestale d’Italia. Il ritorno dei Benedettini è datato 1949. Al secondo dopoguerra risale anche il legame spirituale tra l’abbazia di Vallombrosa e il Corpo forestale dello Stato (oggi Carabinieri forestali): nel 1951 papa Pio XII nomina san Giovanni Gualberto loro patrono e da allora, ogni anno il 12 luglio, una delegazione dei militari si ritrova nell’abbazia per il rito del dono dell’olio della lampada votiva che arde in una cappella della chiesa. L’olio, donato di anno in anno dai forestali di una diversa regione d’Italia, è stato offerto quest’anno dalla provincia autonoma di Bolzano.

CAPPELLE TRA GLI ABETI
Lo stretto rapporto di Vallombrosa con l’ambiente circostante lo percepisce subito anche il pellegrino. Prima di addentrarsi nell’abbazia, la visita può iniziare dal suggestivo Circuito delle cappelle, che si addentra nella foresta alla scoperta di una serie di edicole cinque-secentesche che ripercorrono i primi anni di eremitaggio di san Giovanni Gualberto. Tra queste, l’edicola del “Masso del diavolo”, costruita sulla rupe dove la leggenda vuole che un discepolo del fondatore, istigato dal demonio, si sia gettato nel vuoto, e la cappella della fonte dove Gualberto si ritirava in preghiera. Al culmine della ripida salita, chiamata Scala Santa o Scalinata del Calvario, si giunge al Paradisino, un eremo dove soggiornò anche il poeta inglese John Milton, autore del poema Paradiso perduto, da cui si gode di un bel panorama.

Tornati davanti all’abbazia, si ammira la grande vasca della peschiera, dove i monaci, cui era precluso cibarsi di carne, allevavano i pesci. Finalmente, dal portale d’ingresso in pietra si accede agli ambienti di vita dei monaci. L’edificio abbaziale si presenta oggi in forme monumentali, quasi dall’aspetto di castello, dovute soprattutto agli interventi cinque-secenteschi. La chiesa conserva però l’impianto originario, anche se le decorazioni sono di epoca barocca. Tra le parti più antiche, si ammirano il campanile del Duecento, la sacrestia e il chiostro. Particolarmente suggestiva la cucina, con l’enorme camino proprio al centro del locale.

Merita una sosta anche l’Antica farmacia dei monaci che propone marmellate, prodotti d’erboristeria e liquori, tra i quali il Liquore Vallombrosa a base di gemme d’abete bianco e l’Elisir Paradisino, che al seme d’abete affianca il gusto del timo. Se rispettata, la natura offre all’uomo doni preziosi.
   

ORGANIZZARE LA VISITA
L’abbazia di Vallombrosa
si trova a 45 chilometri da Firenze a 1.000 metri di altitudine. Si raggiunge con una strada tortuosa in auto o con i bus di linea (www.sitabus.it; www.amvbus.it).

Orari e visite
La basilica si visita dalle 6.30 (7 nei festivi) alle 12 e dalle 15 alle 18. Al resto dell’abbazia si accede solo con le visite guidate. Il percorso delle cappelle nel bosco è sempre aperto. Messe festive (luglio e agosto): 9.30, 11, 17, 18. Tel. 055/86.22.51; www.monaci.org.
    

Testo di Paolo Rappellino

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