n. 33 - 2015 16 agosto 2015
Insieme di don Antonio Rizzolo

Con Maria uno sguardo verso il Cielo per servire il Signore sulla Terra

Cari amici lettori, in questo numero un posto particolare è riservato all’Assunta.

Suor Laura Girotto

Missionaria e imprenditrice

La missione salesiana ad Adwa è cresciuta fino a diventare un’impresa sociale che dà lavoro a 136 dipendenti, con fatturato…

La storia - Rudi Dalvai

Commercio equo e solidale, 30 anni di storia

Il fondatore del commercio equo e solidale in Italia, Rudi Dalvai, racconta com’è nato un movimento che oggi si trova in…

I figli ci chiedono...

Dove si trova la mamma di Gesù adesso?

Cosa vuol dire che Maria è stata assunta in cielo? Non è morta come tutti?

Massimiliano Schilirò

«Girando il mondo ho incontrato Dio»

Massimiliano Schilirò ha riscoperto la fede grazie al viaggio, alla natura e al volontariato con i Salesiani. In questi mesi…

Per una lettura completa...

Suor Laura Girotto

Missionaria e imprenditrice

La missione salesiana ad Adwa è cresciuta fino a diventare un’impresa sociale che dà lavoro a 136 dipendenti, con fatturato reinvestito interamente nell’educazione

 

Suor Laura Girotto

Sister Laura solleva Tibe e le soffia sulla pancia. Il fagottino di spugna colorata gorgheggia. Gli occhiali da sole sul visino scuro specchiano la luce accecante del primo pomeriggio. Intorno bambini che non arrivano a un metro corrono e cantano, sfiorati dal vento sabbioso, immersi nel verde e nell’ordine di un asilo come se ne vedono pochi in Africa.

La piccola ascolta, si abitua alla vita, capta i rumori di un mondo che non vedrà mai, ma che sarà suo. «È nata tre volte», spiega la salesiana settantenne che culla, tra le braccia nude, la piccola, «la prima volta in un villaggio al confine con il Sudan, Humera, con il fratellino gemello. Lei cieca, per un virus contratto dalla madre durante la gravidanza, era destinata a diventare carne per le iene, il modo con cui una famiglia senza risorse si sbarazza di fardelli che la miseria, la paura o l’ignoranza non consentono di portare».

Suor Laura Girotto, non sceglie le parole per raccontare una delle tante storie della sua missione nel nord dell’Etiopia. Ad Adwa, città cresciuta in fretta nel Tigray, la realtà si impone con il suo carico di fatica e disperazione. Non si può stemperare. «La seconda nascita è avvenuta nella missione, dove la madre l’ha lasciata, incapace di consegnarla alla morte. Non è stato facile strappare il permesso alle autorità, ma alla fine pestando i piedi siamo riusciti ad adottarla».

Non è difficile immaginare la donna torinese, cresciuta in un oratorio di periferia, abituata a farsi largo in una famiglia operaia con molte bocche da sfamare, battagliare con i burocrati locali. «Non volete affidarcela?», ha urlato. «Va bene, ma sappiate che noi non ci renderemo complici di un infanticidio. Arrestatemi, se credete, processatemi, ma io non la mollo». Ancora adesso, quando rivive l’avventurosa adozione di Tibe, sister Laura si indigna. È una che dopo 50 anni di vita religiosa e 20 di missione in Etiopia non cede di un passo alla rassegnazione. Se così non fosse, la piccola non vedente non avrebbe il destino di sicurezza e serenità che l’attende.

A 10 mesi ha già l’esistenza definita, un lusso per chi è nato povero tra i poveri: un cane guida che aspetta che lei compia i primi passi, testi di tigrino in braille per quando inizierà a leggere, un posto nella scuola per fisioterapisti di Addis Abeba e, cosa più importante, da subito una nuova mamma, Miniot, una donna eritrea con un doloroso passato alle spalle e ben cinque figli, non tutti suoi. Suor Laura ha regalato un futuro a Tibe. Un bel futuro nella missione salesiana che lei e la sua comunità hanno costruito nel nulla della regione umiliata e violentata dal dittatore Hailè Mènghistu durante la lunga e sfibrante guerra civile. Un futuro carico di speranza. Perché sperare è anche programmare. «Noi abbiamo un grande modello in don Giovanni Bosco, il più grande imprenditore dell’Ottocento, che ha maneggiato soldi senza mai tenere uno spicciolo in tasca, sempre pieno di debiti, ma sempre aggrappato alla Provvidenza».

Così suor Laura risponde a chi, ammirato, conta i metri quadrati edificati in una delle zone più depresse della nazione, calcola in milioni gli investimenti fatti in quello che nel 1994 era poco più di un paesotto, Adwa, ricordato per la battaglia con cui l’esercito abissino di Menelik II aveva decapitato le ambizioni imperialiste del Regno d’Italia. «Le missioni sono gli ultimi posti al mondo dove fare degli angelismi, la concretezza e la praticità sono le chiavi per far funzionare le cose», spiega spiccia suor Laura, che catapultata in questo angolo di Africa, dopo varie missioni nel mondo, si trovò da sola ad affrontare per mesi una realtà sconosciuta e a volte ostile, dormendo in una tenda militare prestata da un confratello salesiano, con pochi utensili pagati in sale al mercato locale.

Ricorda le lacrime di frustrazione e rabbia che accompagnarono i primi istanti nel Paese, quell’impotenza iniziale motore di un’avventura che continua ancora oggi. Così come, con tenerezza e gratitudine, ripensa a quella mattina, in cui nel paesaggio brullo e desolato illuminato dall’aurora, venne svegliata dalle chiacchiere dei bambini. «Furono loro a salvarmi. Mi tirarono fuori dalla mia tenda blu e mi ricordarono chi ero e perché ero lì. Una salesiana, una figlia di don Bosco. Cominciai a parlare con loro, le bambine con i fratellini legati sulle spalle, i maschietti fieri come principi, vestiti di stracci. Le prime parole balbettate in tigrino e poi l’oratorio sotto i cieli immensi. Così è cominciato tutto». Da quell’alba fuori dalla tenda sono passati anni e suor Laura, insieme alle consorelle che l’hanno raggiunta nel tempo, ha messo in piedi un complesso scolastico che ospita 1.500 studenti, laboratori di maglieria e sartoria, centri di promozione della donna e aiuto alla famiglia, un dispensario e una clinica temporanea dove équipes di medici italiani intervengono periodicamente per operare cataratte o sistemare piccole fratture.

La missione salesiana è cresciuta fino a diventare una cittadella che dà lavoro a 136 dipendenti, con un fatturato reinvestito interamente nell’educazione e nella formazione. «È un’azienda dove gravitano ogni giorno migliaia di persone; se non è organizzata bene, diventa caos, disordine. E nel caos non si educa, non si matura, non si possono formare coscienze». Suor Laura Girotto richiama ancora la lezione del grande santo torinese, di cui si festeggiano i 200 anni dalla nascita: «Un organizzatore, un gestore, certamente un leader, un sacerdote, un maestro, persino un economista. Don Bosco è stato tutto questo. Chiedeva di formare bravi cristiani e buoni cittadini e ad Adwa tutto si traduce in insegnare un lavoro, gestire un’impresa, una scuola, una famiglia».

Tra le serre dove si coltivano ortaggi per il fabbisogno della scuola, nelle stalle popolate da animali, nell’officina che provvede a tutta la complessa manutenzione di quello che è il più grande e noto istituto scolastico del Paese, sempre ai primi posti nella classifiche di valutazione degli studenti, si respira bellezza, conoscenza e soprattutto amore. «Niente sarebbe stato possibile senza le mie sorelle e i collaboratori laici che vivono e condividono con noi la missione». Si appassiona suor Laura quando racconta dei suoi volontari: «Non hanno orari, né sabati né domeniche, corrono a ogni emergenza, hanno una loro vita, soprattutto se sono coppie, ma siamo una comunità». Per questo non le va giù chi pensa alla vita religiosa come a un recinto chiuso, un campo da preservare. «La Famiglia salesiana deve aprirsi alla collaborazione con il laicato, come aveva chiesto il concilio Vaticano II. Spesso si considerano i laici come un male necessario, per supplire alla mancanza di vocazioni. Mentre dovremmo aprirci a una missione che sia inclusiva di uomini e donne chiamati a una vocazione di tipo diverso, ma con la stessa dignità di quella religiosa. Non siamo un gruppo privilegiato, un’élite con il velo in testa, dobbiamo ascoltare lo Spirito Santo e la sua infinita creatività».

Nel dibattito sulle prospettive e gli orientamenti della vita consacrata, lo sguardo che suor Laura lancia dalla periferia piacerebbe a papa Francesco. «Le congregazioni religiose devono riscoprire e vivere la profezia che è insita nel carisma originario. Come dice il Papa, non si può imbottigliare il carisma di un santo strabordante come don Bosco. La mentalità corrente, anche nella Famiglia salesiana, è di prendere decisioni in campo apostolico non secondo le necessità e i bisogni che emergono nella missione, ma seguendo i saldi dei conti correnti bancari».

Sullo sfondo lo scheletro dell’ultima follia della caparbia suora torinese, un ospedale per sostituire quello costruito più di 70 anni fa dagli italiani, un residuo coloniale per stomaci forti e malati senza alternative. Un’opera iniziata senza l’appoggio della congregazione salesiana ma con il benestare dei superiori. La risposta all’emergenza sanitaria del territorio, dove finalmente curare bambini e donne, malati sieropositivi e anziani. Oggi le mura vengono innaffiate senza sosta per non permettere al caldo africano di seccare il cemento in attesa che arrivino altri fondi, magari da generosi benefattori. Suor Laura non le manda a dire: «Qui si muore ancora di fame, guardo negli occhi bambini tutti pelle e ossa, con occhi immensi, vuoti di vita. Li cullo e spirano guardandomi. Poi insieme alle consorelle li avvolgo in un sudario e li depongo sull’altare. Li vegliamo tutta la notte e digiuniamo per il giorno successivo. Nessuno nel mondo globalizzato di oggi può dire di non sapere. Tutti dovremo rendere conto a Dio di quelle morti innocenti».

L’eterna rompiscatole, come ama definirsi, la madre legale di oltre 70 bambini, dalla sua missione nel Tigrai giudica con severità la tendenza ad assolutizzare l’istituzione a scapito del carisma. «Così si uccide la profezia», lamenta, «e papa Francesco lo dice molto bene. È la tendenza di oggi per risolvere la crisi della vita religiosa. Si calcola troppo, se ce la facciamo, bene, se no non si interviene». Suor Laura non molla, nonostante le protesi alle ginocchia e le cicatrici di vecchi tumori. Costruirà il suo ospedale e continuerà a sorridere ai bambini.

Testo di Cristiana Caricato

Archivio

Vai