Papa Francesco: Non c'è nessuna pena valida senza la speranza
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Papa Francesco: Non c'è nessuna pena valida senza la speranza
La recente modifica del Catechismo della Chiesa cattolica riguardo alla pena di morte ci invita a riflettere sulla legge divina di non uccidere e sulla possibilità di recupero dei colpevoli
Cari amici lettori, papa Francesco ha deciso di far modificare il numero 2267 del Catechismo della Chiesa cattolica, che riguarda la pena di morte. Sull'argomento vi proponiamo a pagina 50 un importante approfondimento del professor Antonio Maria Baggio. Io mi limito a una breve riflessione sul perché è importante questa decisione del Papa.
Ho l'impressione che stia crescendo una mentalità "forcaiola". Emerge in molti commenti su internet, Facebook e altri social network nei confronti dei colpevoli di un reato, magari gravissimo. Si parla, ad esempio, di castrazione chimica, di imprigionare e buttare via la chiave o di eliminare questa “feccia” della società. Noi cristiani dovremmo avere un atteggiamento diverso. Non solo perché la pena di morte o l’ergastolo dove sono applicati non hanno mai funzionato come deterrente contro i crimini. Non solo perché nella storia ci sono stati diversi errori giudiziari. Ma per due motivi fondamentali. Il primo è il comandamento biblico «Non uccidere», che in positivo ci chiede di riconoscere e salvaguardare sempre la dignità della persona umana. Il secondo motivo è la speranza cristiana. Noi dobbiamo sperare nella salvezza di tutti. La salvezza eterna, ovviamente, ma anche il recupero della persona del criminale già su questa terra, la sua riabilitazione e reintegrazione. Lo ha ben chiarito papa Francesco nel 2016, in un discorso a magistrati e giuristi: «Non c’è nessuna pena valida senza la speranza! Una pena chiusa in se stessa, che non porta alla speranza, è una tortura, non una pena».
D'altra parte, il vero rispetto delle vittime non è nella vendetta. Va fatta giustizia con una condanna adeguata, mirata però al recupero del colpevole. Come è avvenuto per Alessandro Serenelli, l’assassino di santa Maria Goretti. Da lei perdonato, si convertì e, dopo 27 anni di carcere, lavorò come giardiniere e portinaio in un convento di frati. Nel suo testamento scrisse: «Maria Goretti, ora santa, fu l’angelo buono che la Provvidenza aveva messo avanti ai miei passi. Ho impresse ancora nel cuore le sue parole di rimprovero e di perdono. Pregò per me, intercedette per me, suo uccisore. Seguirono trent’anni di prigione. Se non fossi stato minorenne, sarei stato condannato a vita. Accettai la sentenza meritata; rassegnato espiai la mia colpa. Maria fu veramente la mia luce, la mia protettrice; col suo aiuto mi diportai bene e cercai di vivere onestamente, quando la società mi riaccettò tra i suoi membri... Coloro che leggeranno questa mia lettera vogliano trarre il felice insegnamento di fuggire il male, di seguire il bene, sempre, fin da fanciulli».