Credere n.35 - 01/12/2013
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È toccato a don Gianni Sini consolare Carolina, la moglie di Francesco Mazzoccu, morto abbracciato al figlioletto Enrico mentre cercava di salvarlo dall’alluvione che ha devastato Olbia e tanti paesi della Sardegna. Insieme con il viceparroco è andato a trovarla nella casa di campagna in cui viveva con il marito e il figlio. «È una donna credente e sta cercando un appiglio nella fede, mi ha chiesto di non abbandonarla – confida don Gianni – l’ho detto a lei e lo ripeto tutti i giorni ai parrocchiani: dobbiamo aprirci alla speranza, alla carità , alla solidarietà ».
Carolina ha 38 anni, Francesco ed Enrico ne avevano rispettivamente 37 e 3. «Tanti in città necessitano di aiuti economici per ripartire, Carolina ha bisogno innanzitutto di vicinanza e affetto». Parroco di Nostra Signora di La Salette a Olbia, da quando l’alluvione ha ucciso 16 persone don Gianni osserva il cielo nuvoloso con apprensione ma cerca di guardare al presente con serenità : «Pur nella tragedia, il vivere il lutto in una dimensione comunitaria dà sostegno: le famiglie si stanno dimostrando solidali».
Nel quartiere, periferia nord di Olbia, piena Gallura, lunedì 18 novembre un rigagnolo è diventato un fiume aggressivo. La furia dell’acqua non ha risparmiato le abitazioni e nemmeno la casa parrocchiale. «L’acqua entrava da un lato e usciva dall’altro, non si poteva far nulla per fermarla. Alcune famiglie della parrocchia hanno avuto fino a due metri d’acqua nell’abitazione e sono state tratte in salvo con i gommoni. Immaginatevi cosa vuol dire: materassi, coperte, indumenti, tutto bagnato, tutto inutilizzabile, tutto da buttare».
Dalle primissime ore dopo l’alluvione don Gianni ha cercato di mantenere alta la speranza. «Il vescovo Sebastiano Sanguinetti ha subito convocato i parroci invitandoci ad aprire chiese e canoniche agli sfollati. Lui per primo ha messo a disposizione i locali dell’episcopio». La parrocchia di Nostra Signora di La Sallette è così diventata un centro di accoglienza e di ascolto. In queste settimane parroco e viceparroco, i due diaconi permanenti e i ministri straordinari della Comunione fanno il possibile per aiutare i fedeli a rielaborare paura, rabbia e fatica. C’è chi deve rimuovere il fango dalle stanze, chi ha perso l’auto e chi è in ginocchio perché l’acqua ha invaso l’attività commerciale da poco avviata. «Tanti chiedono di parlare per sfogarsi», dice don Gianni. Suor Luigia Leoni allestisce assieme ai volontari vincenziani un centinaio di pasti al giorno. Si raccolgono coperte, abiti e biancheria. «Chi possedeva una seconda casa al mare l’ha messa a disposizione degli sfollati, stessa cosa ha fatto chi in casa aveva una stanza libera». Fra la gente si sta facendo largo anche la consapevolezza che non si sia trattato solo di una calamità naturale. «La città è cresciuta a dismisura, senza regole. Dal dopoguerra a oggi i residenti sono passati da 14 mila a più di 55 mila. E stiamo parlando solo degli iscritti all’anagrafe... sappiamo bene che in città vivono altre 3 mila persone non registrate», fa notare don Gianni.
Case costruite nei letti dei torrenti e suolo cementificato, incapace oggi di assorbire acqua. Durante l’omelia dei funerali di sei delle vittime, il vescovo Sanguinetti ha parlato di «tragico monito»: «A quello che è successo non è estranea la mano dell’uomo. Ci sarebbero stati esiti meno devastanti se avessimo imparato a rispettare i ritmi del Creato». Al termine della funzione i bambini hanno lanciato in cielo palloncini bianchi in ricordo di Enrico e Morgana, l’altra piccola vittima dell’acqua. «Finito il funerale ho ripetuto a Carolina che non la lasceremo sola e che ci riuniremo per ricordare Francesco e il bimbo», sospira il sacerdote. Infine la richiesta agli 11 mila abitanti della parrocchia: «Rimaniamo uniti nella preghiera, solo così ripartiremo».
Testo di Laura Bellomi