N. 36 - 2014 7 settembre 2014
INSIEME di don Antonio Rizzolo

L’ansia pastorale del cardinale Carlo Maria Martini

Cari amici lettori, ogni settimana vi offriamo tante belle storie di fede vissuta per incoraggiarci a vicenda a vivere la…

Maris Martini, la sorella

Mio fratello, Carlo Maria Martini

A due anni dalla scomparsa dell’ex arcivescovo di Milano, la sorella Maris ne racconta l’infanzia. Un bambino delicato di…

Enrique Angelelli

Il vescovo ucciso dal regime argentino

Sembrava un incidente d’auto, ma dopo quarant’anni due ex militari sono stati condannati per l’omicidio del prelato che lottava…

Miracoli

Guarito senza cicatrici da un’ustione gravissima

A otto anni d’età la curiosità è più forte della prudenza. Lo documenta la storia di Marcin Gawlik, un bambino polacco che…

Daniela Rosati

Mi ha convertito santa Brigida

Ex volto noto della tv, Daniela Rosati ha riscoperto la fede dopo un periodo difficile. Ha cambiato radicalmente vita ed…

Mariapia Veladiano

Tutti a scuola per un mondo migliore

Mariapia Veladiano, preside a Vicenza, giornalista e scrittrice ci confida: «Ogni ragazzo ha il diritto di avere gli strumenti…

Per una lettura completa...

Enrique Angelelli

Il vescovo ucciso dal regime argentino

Sembrava un incidente d’auto, ma dopo quarant’anni due ex militari sono stati condannati per l’omicidio del prelato che lottava per la giustizia e ora è in cammino verso la beatificazione. Il ricordo del suo successore, monsignor Marcelo Colombo

 

PASTORE DI UNA CHIESA PERSEGUITATA: Cristina Kirchner (61 anni), attuale presidente dell’Argentina in visita a una mostra dedicata a monsignor Angelelli

PASTORE DI UNA CHIESA PERSEGUITATA: Cristina Kirchner (61 anni), attuale presidente dell’Argentina in visita a una mostra dedicata a monsignor Angelelli. Foto PRESIDEVCIA/TELAM/JCP

Intrighi, depistaggi, diffamazione, c’è un po’ tutto nell’uccisione del vescovo argentino Enrique Angelelli nel lontano agosto del 1976. Da un paio di mesi ci sono anche i colpevoli e tante verità ristabilite: se ne sta facendo portavoce il suo successore, Marcelo Daniel Colombo, 53 anni, laureato in giurisprudenza nell’università di Buenos Aires. Colombo sta pure lavorando assiduamente alla causa di beatificazione del vescovo assassinato. Credere l’ha intervistato.

A che punto siamo?

«Stiamo procedendo alla raccolta dei documenti. Il processo e la sentenza del tribunale penale è recente ed era necessario attendere che venisse emessa».

Cos’è successo dopo la condanna all’ergastolo dei due ex ufficiali dell’esercito Menéndez ed Estrella?

«L’impatto della sentenza nella società è stato forte, in Argentina e nel mondo. Molti di coloro che erano stati catechisti o collaboratori al tempo di Angelelli hanno vissuto la sentenza con sollievo: la mancanza di giustizia su un fatto così drammatico era un peso grande sulle loro spalle. Alcuni sacerdoti e dei laici di altre diocesi mi hanno detto che avevano sempre pensato che fosse stato un incidente. Adesso la giustizia ha messo le cose al suo posto».

Per tanti altri, però, la scoperta dell’assassinio non è stata una sorpresa…

«La gente semplice, cattolici e no, ha visto confermato quello che sapeva già. Ci sono persone che ricordano quando il giorno della veglia funebre di monsignor Angelelli sua mamma gli mise la mano sotto la testa e cominciò a ripetere “Me l’hanno ucciso, me l’hanno ucciso”. Tanti poi ricordano che il giorno dell’assassinio una commissione militare è venuta in arcivescovado intenzionata a entrare nell’ufficio e nella camera da letto del vescovo. Vennero fermati dal vicario generale di allora. Che senso aveva, se si trattava di un incidente, irrompere nella casa di chi lo aveva patito? Sin dal primo momento c’erano elementi per presumere che la versione precipitosa dell’incidente casuale non fosse vera e molti qui a La Rioja lo sentivano. Che i giudici lo abbiano confermato con tutto il peso di una indagine, ha avvalorato quello che pensavano».

Durante il processo, che lei ha seguito da vicino, c’è qualcosa di cui è venuto a conoscenza e che non sapeva sino a quel momento?

«Posso dire di aver preso maggior coscienza del clima di persecuzione che viveva in quegli anni la Chiesa di La Rioja. Ho ascoltato testimonianze e preso visione di prove molto eloquenti in questo senso. Mi ha molto colpito la ricostruzione testimoniale dell’incidente che venne provocato per eliminare monsignor Angelelli; di più, mi ha commosso conoscere meglio la sofferenza di quest’uomo nei momenti finali della sua vita».

Vuol dire sofferenza fisica?

«Sì; avevo letto dei resoconti in proposito, ma ascoltarlo a viva voce in una sala d’udienza è stato un impatto molto forte. E anche la sofferenza morale che ha vissuto negli ultimi tempi con la persecuzione evidente che ha subìto, l’incomprensione, e la morte dei suoi collaboratori più stretti. Padre Carlos Murias era stato un giovane religioso molto legato a monsignor Angelelli, il laico Pedernera con la sua vita laboriosa da cooperativista realizzava l’opzione pastorale del vescovo in vista dello sviluppo di un modello sociale diverso».

Sappiamo che la morte di Angelelli è stata preceduta dall’assassinio di due sacerdoti e un laico, di cui il suo predecessore, il vescovo Rodríguez, ha iniziato la causa di beatificazione. Cos’è stato fatto di preciso fino ad oggi?

«Per i padri Carlos de Dios Murias e Gabrielle Longueville, come per il laico Wenceslao Pedernera, sta per concludersi la fase diocesana della causa. Stiamo finendo di raccogliere delle testimonianze. Appena completata questa fase toccherà a me, come vescovo, la presentazione finale, e l’avvio del processo a Roma».

Quella di Angelelli invece a che punto è esattamente?

«Siamo ai preliminari. Adesso dobbiamo riunire tutta la documentazione prodotta da monsignor Angelelli nel corso della sua vita. I testi relativi al suo ministero di vescovo di La Rioja ci sono. Ma prima è stato sacerdote, rettore di seminario e vescovo ausiliare di Cordoba. Gli scritti di una persona di cui si inizia la causa di beatificazione devono essere tutti riuniti e valutati. Poi, dopo la loro approvazione, deve essere richiesto il parere della Conferenza episcopale argentina».

Durante i governi Kirchner si sono aperti vecchi processi ai militari implicati nella violazione di diritti umani e ne sono stati iniziati di nuovi. Cosa pensa in proposito?

«È difficile esprimere un parere in poche parole. I processi erano stati interrotti prematuramente con le leggi di “obbedienza dovuta” e di “punto finale” del tempo di Alfonsín, come anche dagli indulti di Menem che hanno fatto piazza pulita delle sentenze già pronunciate sui capi militari. Tutto questo ha voluto dire un grande regresso per la nostra società. L’annullamento di questi indulti e la ripresa di processi che si erano interrotti o che erano stati congelati ha significato riprendere un cammino necessario verso la verità».

Ci sono altri processi che riguardano la morte o la scomparsa di religiosi?

«Non ho notizie in proposito. So che la causa canonica dei religiosi pallottini assassinati il 4 luglio del 1976 aveva cominciato a muoversi alcuni anni fa, ma non ho dettagli. Un amico vescovo, molto attivo in quegli anni in Argentina, mi diceva che ci sono molti cristiani tra i desaparecidos e gli assassinati: cristiani anonimi che hanno dato tutto per il Regno di Dio. Meriterebbe, mi diceva questo vescovo più anziano di me, che a livello di Chiesa in Argentina si realizzasse un’indagine più dettagliata che getti luce su tante vite offerte per amore del Vangelo di Gesù Cristo».

C’è chi dice, però, che non sia una buona cosa buttare sale sulle ferite aperte e che il Paese ha bisogno di riconciliazione, di concordia in un momento difficile e pieno di sfide com’è quello dell’Argentina attuale…

«Personalmente sono convinto che siano necessarie sia la verità che la giustizia per poter vivere in pace. Ma è anche importante identificare bene le sfide che la società argentina attraversa per mettere a punto strumenti di dialogo tra i diversi settori e proporre un approccio che punti a realizzare un consenso condiviso».

Si possono avere giustizia e riconciliazione insieme nell’Argentina di oggi?

«Non dobbiamo perdere la speranza. Bisogna generare spazi per favorire un dialogo intelligente che coniughi la verità su quello che è successo, la conoscenza delle sfide del nostro tempo e la ricerca di percorsi di inclusione».

Testo di Alver Metalli

Archivio

Vai