N. 36 - 2017 3 settembre 2017
INSIEME di don Antonio Rizzolo

La Bibbia, “lettera d’amore” che Dio ha scritto a ciascuno di noi

La citazione di Kierkegaard è un invito a leggere la scrittura e a metterla in pratica nella vita. Un aiuto viene dalla Domenica…

Padre Mussie Zerai

Il prete che come Mosè salva il suo popolo dalle onde

È arrivato in Italia a 17 anni come richiedente asilo. Ordinato prete, oggi lotta per i diritti dei migranti in Europa e…

Vittima del terremoto a Ischia

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Lina Balestrieri Cutaneo è rimasta uccisa del crollo del cornicione di una chiesa. Mamma di sei figli,due dei quali adottati,…

Ileana e Corrado Tassinari

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Lucilla Giagnoni

Alla ricerca della luce tra le stelle

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Santuario di Castelpetroso

Il miracolo d’amore della Vergine addolorata

La basilica dedicata alla patrona del Molise sorge nei pressi del luogo dove apparve Maria nel 1888

Ite, missa est di Enzo Romeo

Il canto, la danza e l’eterno

Le storie della cantante berbera Silya e del ballerino palestinese Ahmad ci dicono che certe arti sono tutt’altro che effimere

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Padre Mussie Zerai

Il prete che come Mosè salva il suo popolo dalle onde

È arrivato in Italia a 17 anni come richiedente asilo. Ordinato prete, oggi lotta per i diritti dei migranti in Europa e per la vita di coloro che solcano il Mediterraneo

Migranti provenienti dall’Africa soccorsi da un barcone nel Mediterraneo

«Ancora una volta lo Stato viene meno al suo dovere». Non sa se essere più sconfortato o più arrabbiato padre Mussie (Mosè) Zerai, dopo l’incontro con i dirigenti dell’assessorato alle Politiche sociali del Comune di Roma a seguito del recente sgombero dell’immobile sito nei pressi della stazione Termini, all’incrocio fra via Curtatone e via Goito nel quale dal 2013 vivevano circa un migliaio di migranti, per lo più etiopi ed eritrei. «Tutte persone in possesso o dello status di rifugiato, o della protezione sussidiaria o del permesso umanitario, i tre titoli legalmente riconosciuti dallo Stato. Ma la protezione c’è solo sulla carta, mentre non è mai stata tradotta in pratica. All’assessorato mi hanno detto di non avere fondi per affrontare questa emergenza. Ma quella che continua a essere chiamata “emergenza” è in realtà una situazione incancrenita da quattro anni». Così Roma si è ritrovata con 700-800 persone che vagano per la strada e che dormono nei parchi. Un’umanità dolente fatta di uomini, donne incinte, bambini, ragazze, invalidi, anziani, perfino persone in dialisi.

ALTRO CHE “EMERGENZE”
«Si parla tanto di sicurezza e poi si permette questo?», continua il sacerdote. «Mi hanno riferito di passanti che sputano loro addosso, li offendono, dicono loro di tornarsene a casa. Ci sono altre due strutture a Roma con dentro immigrati lasciati lì dal 2004 e dal 2006, altre due “emergenze”. Se saranno sgomberati anch’essi, ci saranno almeno 2 mila persone senza un posto dove andare. Non si possono prendere queste decisioni senza avere un piano B. Le persone che hanno diritto di protezione vanno accolte e incanalate in un percorso di integrazione, di inserimento sociale, economico e culturale».

L’ANGELO DEI MIGRANTI
Di questi tempi più che mai padre Mussie sembra essere una «voce che grida nel deserto». Di origini eritree, il prete è arrivato in Italia nel 1992 e dal 2003 si adopera per salvare i profughi dalle acque del Mediterraneo e dalle maglie dei trafficanti. Il suo numero di telefono è scritto a penna sulle magliette di chi fugge, inciso sulle celle delle prigioni libiche, e passa di bocca in bocca. Padre Mussie è diventato un “angelo” per chi è stato salvato, ma anche una figura scomoda per chi è risoluto a costruire muri e a fare profitti sulla pelle di altri uomini.

Candidato al premio Nobel nel 2015, oggi è iscritto nel registro degli indagati per «favoreggiamento dell’immigrazione clandestina». Ma all’avviso di garanzia che gli ha notificato la Procura di Trapani l’8 agosto scorso, null’altro ha fatto seguito. «Non sono stato né convocato, né ho avuto ulteriori informazioni, nonostante che attraverso il mio avvocato abbia subito fatto sapere di essere a disposizione. Io sono tranquillo perché ho sempre agito nel pieno rispetto della legalità».

L’inchiesta giudiziaria avrebbe come riferimento presunte pressioni svolte dal prete nei confronti degli organi competenti nel soccorso in mare. «Non è una novità per nessuno il fatto che il mio telefono sia sempre acceso di giorno e di notte. Quando ricevo un sms, o una chiamata dal mare, cerco di capire la situazione, se ci sono donne, bambini, malati, e poi la posizione della barca, così da poter essere preciso quando allerto la centrale operativa della Guardia costiera italiana e maltese. Solo dopo interpello anche l’Unhcr (l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati) e quattro delle associazioni attive nel Canale di Sicilia: Moas, Medici Senza Frontiere, Sea Watch e Watch the Med». Sono le ong a loro volta oggi al centro di polemiche pretestuose, accusate di favorire gli arrivi.

DONARE UN FUTURO
Nel 2006 padre Mussie ha fondato l’associazione Habeshia, che ha aggiunto all’aiuto dei profughi che sbarcano in Italia l’impegno per creare opportunità di studio in Africa, per sostenere i giovani intenzionati a crearsi un futuro a casa propria, ovviamente nei Paesi dove è possibile.

«Però ci sono situazioni dalle quali l’unica soluzione è fuggire», spiega. «In Africa ci sono dittature, spesso appoggiate e sostenute dagli Stati Uniti, ma anche da Paesi europei e altri, per tutelare i propri interessi economici, geopolitici e militari in quelle regioni. C’è chi scappa a seguito di disastri ambientali. L’Africa riceve ogni anno dalla comunità internazionale aiuti per un valore di 30 miliardi di dollari, però all’Africa la stessa comunità internazionale ogni anno sottrae 190 miliardi di dollari attraverso lo sfruttamento di giacimenti e risorse naturali. Allora è una presa in giro. Mi vuoi aiutare veramente? Tieniti i tuoi 30 miliardi e lasciami i miei 190. E ci sono le guerre. Libia, Siria, Afghanistan… Che si combattono con quali armi? Lo Yemen viene bombardato ogni giorno dai sauditi, alleati dell’Occidente; con loro il presidente Usa Donald Trump si è accordato per una vendita di armi del valore di 110 miliardi di dollari. Saranno usate per fare guerra e la guerra produce rifugiati, che andranno da qualche parte a chiedere protezione. Per cui non ci dobbiamo stupire se in giro per il mondo ci sono più di 65 milioni di rifugiati: li stiamo producendo noi».

EUROPA E DIRITTI
L’Europa, che si barcamena senza trovare una soluzione concreta, ha molte responsabilità: «Intanto va chiarito che su 65,3 milioni di rifugiati che sono in giro per il mondo, l’Europa ne ha accolto solo il 6 per cento; il restante se lo spartiscono Africa, Turchia, Giordania, Libano, Pakistan. Con l’iniziativa Processo di Khartoum, siglata nel 2014 con i Paesi del Corno d’Africa, l’Europa ha messo a disposizione più di due miliardi di euro, di cui solo il 10 per cento viene usato realmente per lo sviluppo. Il resto serve ad addestrare militari e poliziotti, per sorvegliare i confini. Finanziamo regimi – come il Sudan e l’Eritrea – governati da dittatori che negano i diritti umani, purché chiudano le frontiere; recentemente ci siamo accordati con la Libia. Ma il fatto che non arrivino più qui da noi, non significa che non ci sono più rifugiati; anzi, stiamo spingendo sempre di più queste persone nelle mani dei trafficanti. Se non vuole avere questo flusso di profughi in arrivo, l’Europa deve scegliere di combattere per i diritti di quelle persone, affinché possano vivere in condizioni dignitose nel loro Paese».

Testo di Romina Gobbo

LA BIOGRAFIA - IL RIFUGIATO DIVENTATO CAPPELLANO DEI MIGRANTI
Mussie Zerai è nato ad Asmara, in Eritrea, nel 1975. Dopo la morte prematura della mamma e la fuga all’estero del padre, che era perseguitato della polizia segreta, è stato allevato dalla nonna insieme ai suoi sette fratelli. Scappato dal suo Paese, nel 1992, a 17 anni, Mussie chiede asilo politico in Italia, assistito dal Centro Astalli dei Gesuiti. Dopo aver svolto numerosi lavori affiancati dall’impegno come volontario per l’accoglienza dei migranti e attivista per i diritti umani, ha maturato la vocazione sacerdotale e nel 2000 è entrato nel seminario dei Missionari scalabriniani di Piacenza. Si è poi specializzato in Morale sociale alla pontificia università Urbaniana di Roma. Nel 2010 è stato ordinato sacerdote. È incardinato nella diocesi di origine, Asmara, ma svolge la sua missione tra l’Italia e la Svizzera, dove è cappellano di numerose comunità di migranti provenienti dal Corno d’Africa. Nel 2006 ha fondato l’agenzia per la cooperazione e lo sviluppo Habeshia. Nel 2015 è stato candidato al Nobel per la pace.

[P.R.]

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