N. 37 - 2014 14 settembre 2014
INSIEME di don Antonio Rizzolo

Il mondo ha grande bisogno della nostra testimonianza d’amore

Cari amici lettori, è difficile oggi essere cristiani. Soprattutto nei Paesi in cui i discepoli di Gesù sono perseguitati.

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INSIEME di don Antonio Rizzolo

Il mondo ha grande bisogno della nostra testimonianza d’amore

Cari amici lettori, è difficile oggi essere cristiani. Soprattutto nei Paesi in cui i discepoli di Gesù sono perseguitati. Come in Iraq, ad opera dei fondamentalisti islamici dell’Isis. È una vera emergenza umanitaria, un caso in cui la mano dell’aggressore ingiusto va fermata, come ha detto papa Francesco. Troppi nel mondo sono indifferenti, a partire dai responsabili delle nazioni, preoccupati degli interessi economici in gioco, legati al petrolio e alle armi. Anche i mezzi di informazione sono reticenti. Un recente rapporto di Medici senza frontiere e dell’Osservatorio di Pavia rivela come in Italia lo spazio dedicato alle crisi umanitarie si sia ridotto, nei notiziari di prima serata, dal 16,5% del 2004 al 2,7% del primo semestre del 2014.

Oggi è difficile essere cristiani anche per un altro motivo. È forte la tentazione di rispondere alla violenza con la violenza, all’oppressione con la guerra. Come disse Giovanni Paolo II, in casi estremi è legittimo l’uso delle armi per legittima difesa o per «ingerenza umanitaria», cioè per disarmare chi vuole uccidere. Tuttavia il desiderio di vendetta, di rispondere colpo su colpo, è difficile da contrastare. Essere cristiani vuol dire però comportarci come cristo, che perdona i suoi uccisori e ci invita ad amare i nemici. È davvero difficile essere cristiani!

In questo numero vi presentiamo, anche per riflettere insieme su queste tematiche, una testimonianza eccezionale: quella della mamma di James Foley, il giornalista statunitense di 40 anni decapitato il 19 agosto scorso dai fondamentalisti dell’Isis. James era cattolico e, come dice la mamma Diane, «mi consola sapere, come mi hanno detto gli ostaggi rilasciati, che Jim ha sempre cercato di accendere una luce di speranza nel suo cuore e in quello degli altri. Per questo siamo così grati a Dio per questo figlio».

In copertina lo abbiamo chiamato «martire», parola che significa testimone. James ha voluto andare in Iraq e in altre zone di guerra per “testimoniare” le condizioni di tutti gli esseri umani durante un conflitto e raccontare il loro desiderio di libertà. Ma in lui c’era qualcosa di più: era sempre gentile, generoso con tutti. La sua morte e le torture subìte, ricorda la mamma, «sono state in qualche modo simili a quelle di nostro Signore. Spero che la gente nel mondo abbia provato abbastanza orrore per la sua morte da provare più compassione, come lui voleva. Prego che non sia morto invano».

Cari amici, è difficile essere cristiani, ma il mondo ha bisogno, oggi più che mai, della nostra testimonianza di perdono, di amore, di compassione.

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