N. 37 - 2017 10 settembre 2017
INSIEME di don Antonio Rizzolo

La croce di Cristo, non più strumento di morte, ma simbolo dell’amore

La festa del 14 settembre non è l’esaltazione della sofferenza, ma un invito a riconoscere che il Signore ha dato la sua…

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INSIEME di don Antonio Rizzolo

La croce di Cristo, non più strumento di morte, ma simbolo dell’amore

La festa del 14 settembre non è l’esaltazione della sofferenza, ma un invito a riconoscere che il Signore ha dato la sua vita perché anche noi ci doniamo ai fratelli

 

Cari amici lettori, tra qualche giorno celebriamo una festa molto importante, che ci richiama al mistero centrale della nostra fede e cioè la Pasqua, la passione, morte e risurrezione di Gesù Cristo. La festa è l’Esaltazione della Santa Croce, che ha avuto origine nel ritrovamento della croce a Gerusalemme da parte di sant’Elena, il 14 settembre 320.

Perché addirittura esaltare la croce, un patibolo con il quale i Romani torturavano e uccidevano i condannati a morte? Perché è la croce che Cristo ha portato, sulla quale ha versato il suo sangue per redimere l’umanità, ciascuno di noi. Il Figlio di Dio ha mostrato, in questo modo, il suo amore, un amore giunto fino a dare la vita. La croce, perciò, da simbolo di morte, è diventata simbolo di vita, dell’amore «fino alla fine» con il quale Cristo ha dato se stesso per noi.

Molte volte, nella storia, il termine croce è stato applicato alle sofferenze che ogni persona si trova ad affrontare. E siamo stati invitati a sopportare pazientemente queste “croci”. Ma non è questo il vero significato della croce cristiana. Non è l’esaltazione della sofferenza, ma dell’amore di Cristo fino alla fine, anche a costo di dover sopportare l’ingiustizia, il dolore, la morte. Sono molto belle le parole di san Paolo ai Galati: «Sono stato crocifisso con Cristo, e non vivo più io, ma Cristo vive in me. E questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me» (2,19-20). Comprendendo l’amore estremo di Cristo, che per lui ha «consegnato se stesso», Paolo si sente unito totalmente al Crocifisso, pronto a sua volta a dare la propria vita. Perché è questo che noi cristiani siamo chiamati a fare: amare come Cristo ci ha amati. Solo così troviamo la vera felicità, la pienezza della gioia, la pace autentica. Il segno della croce che noi facciamo, le croci che portiamo al collo, di legno o di un metallo prezioso, ci dovrebbero ricordare il nostro essere cristiani, il nostro impegno ad amare tutti, sempre, fino in fondo. Perché la croce rimane un patibolo che noi liberamente scegliamo di portare come segno del nostro voler vincere l’egoismo, rinnegando noi stessi, rinunciando al potere, all’avere, all’apparire, per donare la nostra vita agli altri.

Papa Francesco ha spiegato tutto questo nell’Angelus di domenica scorsa: «Gesù ci ricorda che la sua via è la via dell’amore, e non c’è vero amore senza il sacrificio di sé». E ha concluso: «Viviamo per il Signore e impostiamo la nostra vita sull’amore, come ha fatto Gesù: potremo assaporare la gioia autentica e la nostra vita non sarà sterile, sarà feconda».

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