N. 37 - 2017 10 settembre 2017
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Padre Leonel Narváez Gómez

Sulla via stretta del perdono

Il missionario della Consolata per sostenere l’uscita della Colombia dalla guerra civile ha fondato Es.pe.re, scuola di riconciliazione. E spera che la visita del Papa consolidi il processo di pace

Un’immagine scattata a Bogotá pochi giorni prima dell’arrivo del Papa

«I conflitti – in Colombia come altrove – non potranno mai essere superati del tutto se non si spengono prima i focolai di rancore e odio che ciascuno porta nel cuore».

Questa frase di padre Leonel Narváez Gómez – particolarmente significativa nei giorni in cui il Papa visita la Colombia, teatro per oltre mezzo secolo di una sanguinosa guerra civile – non è espressione di un generico buonismo. Al contrario, è la granitica convinzione che questo missionario della Consolata ha maturato, lavorando in prima persona tra il 1998 e il 1999 (e sperimentando sulla sua pelle il fallimento), ai negoziati di pace tra il governo e i guerriglieri delle Forze armate rivoluzionarie colombiane (Farc) nella tormentata regione del Caguán. Dopo di che ha capito che occorreva dar vita a qualcosa di nuovo per creare una cultura di pace. Due anni di intenso studio a Harvard sulla “scienza del perdono” hanno permesso a padre Leonel di promuovere, nel 2003, sulla base della sua esperienza personale, il progetto Es.pe.re (acronimo spagnolo che sta per «Scuola di perdono e riconciliazione»), che viene gestito da una Fondazione omonima con sede a Bogotá.

Il metodo proposto da Es.pe.re. fonde il messaggio cristiano sul perdono con i contributi più avanzati delle scienze sociali; prevede una serie di tappe per favorire la graduale accettazione dell’altro e aiutare via via le persone a liberarsi del rancore e dell’odio. I corsi coinvolgono una ventina di persone di ogni strato sociale; i partecipanti vengono poi invitati a ripetere l’itinerario formativo nei loro contesti, in gruppetti di 4-5 persone. Il metodo Es.pe.re. si basa sull’utilizzo di simboli, riti, e gesti di forte potere evocativo. «Puntiamo a toccare le persone nel profondo, laddove nascono le emozioni. Un ambito spesso trascurato dalla Chiesa. Catechesi e omelie spesso parlano solo al cervello, non al cuore», spiega padre Leonel.

Destinatari di questo percorso sono sia gli ex combattenti delle Farc e dei paramilitari sia le persone che per qualsiasi motivo sono imprigionate dalla rabbia e dal desiderio di vendetta.

Il metodo funziona: ha messo radici in oltre 300 località in Colombia, coinvolgendo circa 50 mila persone e ora è presente in 20 Paesi latinoamericani e in due africani. Padre Leonel, per questo, è stato insignito della Menzione d’onore del premio Unesco di Educazione alla pace 2006. Credere lo ha raggiunto per capire quale sia il clima che si sta vivendo in Colombia alla vigilia della visita del Papa, in un momento delicatissimo per il Paese.

«Una buona parte di cattolici, inclusi sacerdoti e vescovi, non accetta gli accordi di pace siglati l’anno scorso, dicendo che il Paese cadrà nel castro-chavismo», esordisce con un filo di amarezza padre Leonel. «Francesco, il Papa della misericordia e del perdono, è stato rifiutato apertamente come “persona non gradita nel Paese” da un gruppo di cattolici fondamentalisti. Tuttavia, nonostante questo mix di sentimenti all’interno della popolazione colombiana, c’è anche tanto entusiasmo per il Papa nel popolo. Speriamo che i messaggi di Francesco portino rinnovamento allo sforzo per una pace stabile e duratura».

Come Es.pe.re. sta accompagnando il processo di pace e di educazione alla riconciliazione?

«Il nostro lavoro di promozione di una teoria e metodologia del perdono ha conquistato spazi significativi e ha portato molte istituzioni a includerlo nei propri programmi. Il governo colombiano si è dimostrato particolarmente sensibile, appoggiando il nostro lavoro con vari Ministeri (Istruzione, Giustizia e perfino Difesa). Le Scuole di perdono e riconciliazione intanto, continuano a crescere e trasformano le vite di molte persone, soprattutto le vittime, aiutando molti a frenare il desiderio di vendetta e a reagire con il perdono. Infine la Fundación para la Reconciliación sta iniziando a essere una presenza sempre più strutturata in due ambiti critici per la pace dei popoli: la scuola e la famiglia».

State lavorando per il reinserimento nella società civile di ex guerriglieri e di ex paramilitari: con quali risultati?

«È soprattutto a livello di vittime ed ex-combattenti che il tema del perdono ha assunto un rilievo speciale. Negli ultimi mesi è stato commovente vedere gli abitanti dei paesi che ospitavano le vittime e i carnefici applaudire i guerriglieri mentre questi camminavano verso i luoghi di reinserimento. Si sono tenuti incontri significativi tra guerriglieri e gruppi di paramilitari; gli stessi generali dell’esercito hanno facilitato gli incontri con gli ex guerriglieri e finalmente il tema del perdono è entrato nell’agenda pubblica. La nostra esperienza più forte, come Es.pe.re., è stata quella della messa in pratica del perdono nei gruppi degli ex-combattenti e delle vittime (in Colombia il registro di quanti sono stati coinvolti dalle violenze di guerra conta 8 milioni di persone, ndr). Mi impressionano i casi paradossali come quello della madre che adotta il ragazzo che ha ucciso il suo unico figlio o quello del sequestrato che dà lavoro a coloro che lo sequestrarono. O, ancora, le vittime che perdonano e invitano a cena i capi della Farc, nonostante questi abbiano causato centinaia di morti nei loro paesi. Gli episodi eroici sono tanti, grazie a Dio».

È fiducioso sul futuro?

«Sono ottimista: i colombiani riusciranno a costruire un Paese stabile nei prossimi 3-5 anni. In questo momento i grandi passi verso la pace sono il superamento del concetto di giustizia intesa come castigo e la conversione della giustizia in inclusione sociale e progresso dei più poveri».

In un suo libro del 2010, La rivoluzione del perdono (San Paolo), scriveva che la Chiesa ha molto da lavorare su questo fronte. Cosa è cambiato con l’avvento di papa Francesco?

«La Misericordiae vultus di papa Francesco (la bolla di indizione del Giubileo della misericordia, ndr) è stata un impulso meraviglioso per il nostro lavoro sul perdono. Ma, a causa del peso negli ultimi secoli di una certa teologia, terminato il Giubileo della misericordia si è vista la tendenza a tornare alle pratiche precedenti. Il concetto di Dio misericordioso comincia solo ora ad acquisire importanza; anche per questo motivo il continente latinoamericano continua a essere il più cattolico ma quello anche con più squilibri sociali e violenza. In generale, dalla gerarchia fino ai cristiani più semplici, si nota una grande ignoranza per quanto riguarda spiritualità, teoria, metodologia e pastorale del perdono. In molti casi, si evita persino di utilizzare la parola “perdono”. Ma essa è il cuore del messaggio di Gesù e da lì bisogna partire».

Testo di Gerolamo Fazzini

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