N. 37 - 2018 16 settembre 2018
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Palermo

Sui passi di padre Puglisi, dove il suo insegnamento è ancora vivo

Da Godrano a Brancaccio, passando per le scuole del centro di Palermo, siamo andati nei luoghi dove  operò il prete ucciso dalla mafia per capire fino in fondo il segreto della sua santità

 I ragazzi del Centro di accoglienza Padre Nostro, l’oratorio parrocchiale fondato da don Puglisi

Dal salotto di Palermo a Brancaccio. Il blocco di marmo giallo che raccoglie le spoglie del beato Pino Puglisi lascerà la cattedrale per diventare il cuore della futura chiesa, progettata secondo il modello di comunità in cui credeva padre Pino, con al centro la piazza, cioè la persona, e non l’aula liturgica, e poi laboratori per la formazione e spazi sportivi.  Sorgerà su un terreno confiscato alla mafia, 13 mila metri quadri a pochi passi dalla parrocchia di San Gaetano e dal piazzale dove è stato assassinato il 15 settembre 1993, nel giorno del suo 56° compleanno.

Tentare un piccolo pellegrinaggio sui passi di Pino Puglisi, un po’ come quello quello che compie papa Francesco il 15 settembre, nel 25° anniversario del suo assassinio,  significa andare dal cuore della città – la zona del duomo, il liceo Vittorio Emanuele, il seminario, l’ufficio vocazioni – a Godrano, il paesino dell’entroterra dove Puglisi imparò l’abc del difficile mestiere di pastore; e quindi alla periferia di Palermo, nel regno dei fratelli Graviano, mandanti dell’omicidio del “parrinu” e delle stragi degli anni Ottanta.

Un percorso anche simbolico, per quel continuo andare di padre Pino dal centro verso la periferia, macinando chilometri e studi, tra pedagogia, teologia e documenti del concilio Vaticano II, per dare forma a una pastorale che aiutasse soprattutto i giovani a far emergere il progetto di vita che Dio ha su ciascuno. Un vero e proprio “metodo Puglisi” che riuscì a creare relazioni significative tra il prete dal sorriso mite e dal carattere di ferro e i ragazzi del liceo classico di Palermo, i figli dei contadini di Godrano, gli scugnizzi di Brancaccio. Un presbitero fuori dai circuiti ecclesiali classici, poco conosciuto dai confratelli, da alcuni ritenuto “sprecato” nel lavoro con i giovani. Un uomo che oggi viene indicato come modello per i seminaristi: «Don Puglisi interpreta una Chiesa che tocca la carne degli uomini, testimonia un Vangelo che ha anche un riflesso sociale. È questa la sfida che ci lancia, ecco perché non deve diventare un santino», dichiara nell’intervista a Jesus di questo mese don Corrado Lorefice, arcivescovo di Palermo.

Ridurre la testimonianza di Puglisi agli ultimi tre anni a Brancaccio, dove è stata scritta la sua condanna a morte in odium fidei, non sarebbe corretto. «Le radici sono importanti», dice don Carmelo Torcivia, responsabile dell’ufficio pastorale di Palermo, oggi a capo del neonato Centro diocesano beato Pino Puglisi, che raggruppa una decina di realtà ecclesiali, «tra le quali in passato non sempre c’è stata concordia».

POVERTÀ E SANTITÀ
«Pino nasce da una famiglia semplice. Il papà fa il calzolaio, la mamma è sarta. Dolce e severa, lo formerà trasmettendogli quella radicalità, quel non scendere a compromessi, che avrà effetto anche nella lotta ai mafiosi; e quella cura per l’altro, con il sorriso aperto anche nei momenti difficili», spiega don Carmelo che con Lia Caldarella è autore di Pino Puglisi. Prete povero e santo.

Forme in ferro per lavorare le scarpe, un lettino singolo, una libreria stracolma di volumi, la coroncina del rosario, il pennello da barba in un armadietto dallo specchio arrugginito: in piazzale Anita Garibaldi, l’ultima casa della famiglia Puglisi, oggi museo, racconta di un uomo dalla vita sobria, fedele alla preghiera di mamma Giuseppina: «Sii un prete povero e santo». Papa Francesco verrà qui in pellegrinaggio e vedrà il medaglione in bronzo sul selciato dove padre Pino – come hanno raccontato i killer Salvatore Grigoli e Gaspare Spatuzza – pronunciò le sue ultime parole: «Ci sorrise e disse: “Me lo aspettavo”».

Era tornato nel 1990 da parroco nella chiesa di San Gaetano dove da ragazzino faceva il ministrante. Ma il laboratorio parrocchiale dove cercò di dare forma alla sua idea di comunità nasce venti anni prima, a Maria Santissima Immacolata, a Godrano, 40 chilometri da Palermo e 800 metri di altitudine, a pochi chilometri da Corleone. Trova una chiesa chiusa per i danni del terremoto del ’68, e una comunità di mille abitanti, per lo più famiglie di allevatori e contadini, divise da una faida che nei decenni aveva seminato morti e odi. Unita, però, nella diffidenza verso i cristiani battisti presenti in paese. «Padre Pino ci ha dato fiducia. Ha visto che la gente non andava in chiesa e ha portato la chiesa nella nostre case: ci ha fatto amare la Bibbia, è andato a celebrare nei campi dove lavoravano i nostri genitori, piano piano ha vinto chiusura e resistenze», racconta Giusy Cannella. La sua è una piccola storia esemplare: frequenta la prima elementare quando arriva a Godrano “u parrinu cui cavusi” (il prete con i pantaloni), come viene etichettato padre Pino nel piccolo centro abituato a tonache e liturgie preconciliari. Puglisi vince le diffidenza del padre di Giusy, gli fa capire l’importanza dello studio, dopo le Medie riesce a far studiare la ragazza a Palermo, la introduce negli ambienti dei gruppi giovanili ecclesiali e nel servizio di volontariato… «Oggi insegno qui a Godrano nella scuola dedicata a padre Pino e sono orgogliosa di poter raccontare quello che ha fatto per noi giovani». Il parroco, che all’inizio celebra nella piazzetta oggi a lui dedicata, educa i ragazzi ad aprire gli occhi sulla bellezza che li circonda, li accompagna a scuola in auto e aiuta quelli che hanno più difficoltà. «Dal quadro dell’Assunta ai boschi della Ficuzza, ci ha fatto apprezzare l’arte e la natura e ci ha fatto capire che la cultura rende liberi», aggiunge Lia Caldarella.

«Aveva la canonica sempre aperta, la gente lo ricorda bene», dice l’attuale parroco di Godrano, Domenico Lamonica. «Ha fatto capire l’importanza della parola di Dio, ha instaurato un dialogo con la comunità di battisti presenti in paese. Oggi sento che mi custodisce e mi sostiene nel mio ministero».

A Godrano, dove vive momenti iniziali molto difficili, Puglisi si fa aiutare dalla Crociata del Vangelo, movimento centrato sulla parola di Dio. E con l’aiuto dei giovani delle scuole di Palermo dove insegna, organizza i Cenacoli della Parola e le settimane del Vangelo. «Non aveva una grande capacità oratoria, ma coglievamo la profondità e l’amore per il Vangelo. Questo ci interessava», ricorda Torcivia, che lo ha conosciuto in quinta ginnasio, lo ha ritrovato come direttore spirituale in seminario ed è stato coinvolto nell’avventura di Godrano.

EDUCATORE PROFETICO
Da docente e da assistente di diverse aggregazioni ecclesiali – Presenza del Vangelo, Azione cattolica, Fuci, Equipes Notre Dame –, Puglisi si impegna nell’educazione dei giovani. Anche nel seminario minore, dove nell’agosto 1978, lasciato Godrano, viene nominato pro-rettore, e quindi al Centro diocesano e poi regionale per le vocazioni. «Non pensava a un ufficio solo per le vocazioni sacerdotali», ricorda Agostina Aiello, laica consacrata, assistente sociale missionaria, collaboratrice storica di padre Pino, anima dell’archivio diocesano a lui dedicato. Il Centro, secondo lo spirito del Vaticano II, diventa lo spazio di ricerca del progetto di vita per ciascun battezzato. «Era nostro compagno di viaggio, ci aiutava a trovare le risposte dentro di noi», ricorda Rosaria Cascio. Docente di lettere, autrice di diversi libri su Puglisi, Cascio ha partecipato ai campi scuola e alle attività formative che padre Pino organizzava per i giovani. «Ci portò a fare volontariato all’ospedale psichiatrico per farci capire che la vita è responsabilità e servizio». Oggi è tra le fondatrici di un’associazione per far conoscere l’opera e il “metodo Puglisi” anche nelle scuole. «Il bene maggiore è la tua coscienza, ci diceva sempre. Ha fatto di me una cittadina».

IN CONTATTO CON LA REALTÀ
Un approccio educativo che Puglisi adotta anche quando viene trasferito a Brancaccio, dove «offre una pedagogia alternativa, rompe la relazione culturale padre-figlio in stile mafioso», sottolinea Cascio. La costituzione del Centro Padre Nostro, nel quartiere dove il “padrino” è quello mafioso, è la sconfessione degli pseudovalori di Cosa Nostra. «Il Centro nasce dopo un’indagine sociologica sul quartiere, mette in campo volontari che Puglisi forma con corsi appositi». Nessuna approssimazione nel fare il bene, ma grande attenzione alla conoscenza del contesto e alle risorse disponibili.

«Anche noi giovani della Fuci, che lo avevamo come assistente, fummo coinvolti nell’animazione a Brancaccio», ricorda Salvo Palazzolo, giornalista di Repubblica, allora presidente degli universitari cattolici, che dopo l’omicidio si costituirono parte civile al processo. «A oggi si sa chi lo ammazzò, si conoscono le intercettazioni di Riina – “Ma tu fatti il parrino, pensa alle messe, lasciali stare il territorio, il campo…” –, ma non si sa ancora perché dopo appena tre anni a Brancaccio Puglisi deve morire». Il quartiere, ricorda Palazzolo, «è ancora uno dei poli aggreganti della riorganizzazione di Cosa Nostra e i Graviano hanno ancora a disposizione un tesoro immenso che la Procura di Palermo non è riuscita a sequestrare».

San Gaetano, dove papa Francesco arriva nel pomeriggio del 15 settembre in visita privata, è oggi la stessa parrocchia di ieri. Ma l’impronta del parroco santo è ben presente. «Il territorio non è migliorato, le condizioni di vita in alcune zone del quartiere sono addirittura peggiorate», dice l’attuale parroco Maurizio Francoforte. «La mafia non è più un mito, come in passato, ma purtroppo è ancora un’opportunità. Di certo la beatificazione è stata una pietra tombale sulla mentalità mafiosa». «Oggi dire che siamo di Brancaccio per noi è motivo di orgoglio, siamo il quartiere di padre Pino», aggiunge Valentina Casella, che all’oratorio parrocchiale fondato da Puglisi fa da volontaria. «Per la gente è un santo del quotidiano, il parroco a cui chiedere le grazie per la famiglia, la gente lo sente vicino», aggiunge don Maurizio.

A poche decine di metri dalla parrocchia, in un’ex discarica di macchine confiscate, sorge un grande polo sportivo della onlus Padre Nostro, nata da una scissione dal centro originale. Grazie a numerosi finanziamenti – pubblici e privati – la onlus, guidata da Maurizio Artale, promuove diversi progetti. Come per esempio la casa museo di padre Puglisi. O lo spazio per l’infanzia, uno sportello migranti e altre realtà nate in alcuni locali di Brancaccio che per anni sono stati abbandonati. Sono quei magazzini dove il prete beato «chiese ripetutamente che venissero portati un centro anziani, una palestra, una scuola, insomma tutti quei servizi sociali fondamentali per un quartiere», ricorda Artale. Puglisi scrisse centinaia di lettere per sollecitare i vari uffici competenti dell’amministrazione pubblica. Nessuno rispose, «anche perché gli spazi abbandonati erano piazza di spaccio e magazzino a disposizione dei boss. Da lì sarebbe passato anche il tritolo per le stragi di Falcone e Borsellino». Così come la condanna a morte per lo scomodo parrinu, che papa Francesco andrà a indicare al mondo come esempio il 15 settembre.

LIBRI. PADRE PIO DA CONOSCERE

Due consigli di lettura per conoscere meglio padre Puglisi. Edito dalla Paoline, il libro 3P. Padre Pino Puglisi. Supereroe rompiscatole di Marco Pappalardo con le illustrazioni di Massimiliano Feroldi, in modo assolutamente originale, racconta ai giovani lettori la straordinaria figura di padre Pino (112 pagine, 11,90 euro). Fulvio Scaglione, ex condirettore di Famiglia Cristiana, ha scritto invece Padre Pino Puglisi. Martire della mafia per la prima volta raccontato dai familiari edito dalle edizioni San Paolo e disponibile in queste settimane in edicola con Credere a 9,90 euro oltre il costo della rivista.

 

Testo di Vittoria Prisciandaro - Foto di Melania Messina

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