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Becchetti
FUORI DALLA CRISI CON IL “CAPITALE SPIRITUALEâ€
Un gruppo di economisti capitanati da Leonardo Becchetti lancia la Scuola di economia civile. «La speculazione porta al fallimento, al centro dell’economia ci sia la persona»
C’è un modo civile di fare economia. La corsa cieca verso il profitto a ogni costo, che cavalca le speculazioni finanziarie e che non si cura delle conseguenze sull’ambiente e sulla vita delle persone, non è l’unica opzione. Anzi, è un modello vecchio che ormai ha mostrato tutti i suoi limiti e non funziona più. È la scommessa di un gruppo di economisti fra i quali Leonardo Becchetti, Stefano Zamagni e Luigino Bruni che, su queste premesse, ha costruito un progetto che sta per diventare realtà : una Scuola per l’economia civile, la prima in Italia. I corsi partiranno a gennaio, presso il Polo Lionello Bonfanti a Incisa Val D’Arno, in provincia di Firenze, e si terranno nei fine settimana (vedi box pagina accanto). Sono indirizzati soprattutto a imprenditori e dirigenti, ma anche a chi lavora nelle cooperative e nelle imprese sociali, e ai giovani con spirito imprenditoriale. L’obiettivo è fare un passo fuori dalla crisi sperimentando un nuovo modo di fare impresa.
Professor Becchetti, cos’è l’economia civile?
«È l’idea più naturale di economia, che tiene conto non solo del profitto ma anche di fattori come la realizzazione individuale, la relazione con gli altri, l’ambiente e la natura. Vuole superare il modello in due tempi dell’impresa, che prima punta solo alla massimizzazione del profitto non curandosi delle conseguenze, per poi in un secondo momento, attraverso la filantropia, cercare di mettere un cerotto sui danni che ha creato. Il modello di impresa sociale scommette sul fatto che è possibile creare del valore economico che sia già ambientalmente e socialmente sostenibile. In questo modo si supera anche la dicotomia fra profit e non profit, fra imprese che creano valore economico e quelle che redistribuiscono le ricchezze».
Perché il modello economico attuale è in crisi?
«La visione tradizionale dell’economia presuppone che le imprese siano orientate tutte alla massimizzazione del profitto e i cittadini al proprio utile individuale, e che debbano essere le istituzioni, in un secondo tempo, a intervenire per riconciliare gli interessi particolari e redistribuire le risorse in nome di un benessere collettivo. Al di là del fatto che questo non è avvenuto, sono le premesse a essere sbagliate: non sempre ai singoli interessa solo il profitto e il proprio tornaconto e non sempre le istituzioni sono così efficienti da riequilibrare le distorsioni di un’economia che va per conto proprio».
Come nasce la Scuola per l’economia civile?
«Da un gruppo di studiosi di ispirazione cristiana appassionati di questi temi. Dopo tanti studi abbiamo voluto passare all’azione e fare una proposta concreta, operativa».
Quali obiettivi ha la Sec e a chi si rivolge?
«È una scuola che fa formazione aziendale indirizzata principalmente a chi già sta svolgendo un’attività imprenditoriale od occupa posizioni dirigenziali, ma anche a giovani interessati a questi temi. L’obiettivo è formarsi a un nuovo modo di fare impresa, dove la sostenibilità e la responsabilità sociale sono anche delle chiavi per generare reddito, non sono un di più o un extra che subentra in un secondo tempo. Sono anche le chiavi per essere più realizzati in quello che si fa e per costruire un’economia più umana».
Il gruppo di economisti da cui è nato il progetto è di ispirazione cristiana: in che modo la fede incide sul vostro modo di fare economia?
«Intanto ci aiuta a capire che i fattori immateriali sono molto importanti in economia, quindi a superare un certo approccio materialista. C’è una bellissima espressione, anche se un po’ azzardata, che è quella del “capitale spiritualeâ€. C’è una dotazione umana, in termini di ispirazione e di aspirazione al senso più profondo delle cose, che alimenta per esempio alcune capacità di cooperazione e di efficacia che si traducono anche in una maggiore produttività . La fede spinge anche a cercare un modello economico che tenda al bene comune, a orientare la società a una maggiore realizzazione mettendo al centro la persona, ovvero a tradurre in pratica la dottrina sociale della Chiesa. Devo dire però che ultimamente c’è molta sintonia fra laici e credenti su questi temi. Ci sono molte persone attente alla sostenibilità sociale e ambientale, convinte che valga la pena di costruire un’economia più umana».
Negli ultimi anni l’economia è stata dominata dalla finanza. O meglio da un certo tipo di finanza, quella speculativa, che ha portato le banche sull’orlo del fallimento innescando la crisi che stiamo vivendo. Come invertire la rotta?
«Ci vorranno anni. Ci sono riforme indispensabili da attuare, per esempio la divisione fra banche commerciali e banche d’affari e la regolazione di strumenti finanziari come i derivati. Ma la rotta si può invertire solo cambiando meta, andando verso un’economia della felicità che non coincide con il semplice benessere materiale. Solo così l’economia ritorna a essere qualcosa di sensato e non un deus ex machina che stritola le nostre vite».
Testo di Emanuela Citterio