N. 37 15 dicembre 2013
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Un lettore ha rinunciato alla donna che ama per restare fedele alla dottrina della chiesa e ricevere l’eucaristia. Con…

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In dialogo con don Antonio

«Sono innamorato di una donna separata»

Un lettore ha rinunciato alla donna che ama per restare fedele alla dottrina della chiesa e ricevere l’eucaristia. Con grande sofferenza

 

Don Antonio Rizzolo Caro don Antonio, mi sforzo ogni giorno di vivere da cristiano, prego, aiuto in parrocchia. Negli ultimi anni ho avuto una storia sentimentale con una donna separata e sono tornato, poco per volta, un cristiano praticante, iniziando a partecipare alla Messa e a confessarmi. Poi ho capito che quella storia non era ideale per il cammino cristiano. E ho deciso di rinunciare a lei per Gesù, per avere l’assoluzione, ricevere l’Eucaristia. Una decisione molto sofferta, ma anche forzata. Tra i sacerdoti ho riscontrato a volte comprensione, altre durezza. Lei si è sposata, ha avuto una figlia, si è separata per la difficile situazione. E fino a lì la Chiesa comprende, anzi lei può ricevere l’Eucaristia se non ha altri rapporti. Dal marito subiva violenze fisiche e psicologiche, la crescita serena della figlia era problematica. Poi sono arrivato io, l’innamoramento, la consapevolezza di essere in peccato mortale. Ora continuo a vivere nel pianto, ho una casa grande dove ci potrebbero vivere due famiglie. Sono solo, il grande desiderio di crearmi una famiglia e diventare padre (sono cinquantenne) sono lontani. La figlia si è affezionata a me, mi vuole bene. Noi due soffriamo, ma continuiamo a relazionarci solo a livello di amicizia. Mi chiedo: se un cristiano praticante, seppur peccatore, sinceramente pentito, ricrea una famiglia, accogliendo due persone col cuore ferito e in difficoltà, Dio non può comprenderlo nella sua immensa misericordia?

LETTERA FIRMATA

Caro amico, ho dovuto ridurre la tua lunga lettera, ma due cose sono chiare: la tua sincerità nel vivere la vita cristiana e la grande sofferenza nel dover rinunciare a una famiglia. Mi pare che tu conosca bene la dottrina della Chiesa in merito. La richiamo in breve. A chi è solo separato non è preclusa l’ammissione ai sacramenti, e questo vale anche per chi ha subito il divorzio; chi è moralmente responsabile del divorzio ma non si è risposato deve pentirsi e riparare concretamente il male compiuto (vedi Direttorio di pastorale familiare n. 212). I divorziati risposati non possono essere riammessi ai sacramenti, né svolgere nella comunità ecclesiale quei servizi che esigono una pienezza di testimonianza cristiana, come i servizi liturgici, il ministero di catechista, l’ufficio di padrino; possono essere riammessi ai sacramenti solo con «il ritorno all’originaria convivenza matrimoniale, o con l’impegno per un tipo di convivenza che contempli l’astensione dagli atti propri dei coniugi» (Direttorio n. 219). Anche chi è in una situazione matrimoniale irregolare, tuttavia, non cessa di appartenere alla comunità cristiana, anche se la comunione non è piena. Il Direttorio afferma: «Ogni comunità ecclesiale li consideri ancora come suoi figli e li tratti con amore di madre; preghi per loro, li incoraggi e li sostenga nella fede e nella speranza […] Da parte della comunità cristiana e di tutti i suoi fedeli, pur qualificando come disordinata la loro situazione, ci si astenga dal giudicare l’intimo delle coscienze, dove solo Dio vede e giudica». C’è qualche prospettiva che la dottrina della Chiesa cambi? Il prossimo Sinodo sulla famiglia è chiamato a riflettere su questi temi e tutte le comunità cristiane sono invitate a offrire il proprio contributo. Forse, in analogia con quanto avviene nella Chiesa ortodossa, alcuni potranno intraprendere un cammino penitenziale che li riammetta alla pienezza della comunione ecclesiale. Già ora però non dobbiamo dimenticare che Dio è misericordioso e in lui può trovare consolazione ogni cuore ferito. Le nostre lacrime non gli sono sconosciute: nessuna di esse andrà perduta. 


Risponde Don Antonio Rizzolo

Illustrazioni di Ece Özdil

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