N. 38 - 2015 20 settembre 2015
INSIEME di don Antonio Rizzolo

La bellezza della fede vissuta in famiglia

Cari amici lettori, in ogni numero di Credere c’è un filo rosso che unisce articoli e rubriche, quello della fede, che dà…

Storia di copertina | Teddy Reno

«Il mio swing tango per Papa Francesco»

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L'esperienza | don Fabio Bertuola

«Qui c’è il Veneto che accoglie»

A Maser, in provincia di Treviso, dove la Lega Nord miete consensi, don Fabio Bertuola ha destinato la canonica inutilizzata…

L’approfondimento

Nozze: il processo di nullità diventa breve

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Ite, Missa est di Enzo Romeo

Il moloch della crescita

Dai tempi della rivoluzione industriale la nostra società si regge sulla prospettiva di una crescita perpetua. Le borse e…

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Ite, Missa est di Enzo Romeo

Il moloch della crescita

Illustrazione di Emanuele Fucecchi 

Dai tempi della rivoluzione industriale la nostra società si regge sulla prospettiva di una crescita perpetua. Le borse e il consumismo hanno alimentato questa utopia, che la lunga crisi di sistema in cui siamo immersi sta facendo smarrire. Perfino il dragone cinese frena la sua corsa e rende incerto il futuro degli investitori. Ecco allora sopraggiungere l’angoscia, insieme alla nostalgia dei bei tempi opulenti e al diffondersi del razzismo contro gli immigrati “invasori”.

Per evitare pericolose derive dobbiamo imparare a riscattarci dal moloch della crescita, ripensando anche al nostro modello di democrazia. Una delle promesse del sistema democratico è la possibilità per tutti di elevare la propria condizione. Il punto è che questa è ormai totalmente associata al conto in banca, al numero di azioni possedute, alla ricchezza personale accumulata. Ma legare il progresso unicamente all’incremento economico, individuale o comunitario che sia, è un errore.

Il Pil non è sinonimo di benessere e da solo non fa la felicità di un Paese. Il filosofo francese Daniel Cohen nota che le grandi scoperte scientifiche del XVII secolo fecero prendere coscienza che l’universo è infinito e vuoto, inabitato perfino da Dio. Oggi, al contrario, c’è la percezione che il mondo sia troppo piccolo, saturato dalla presenza umana. Alcuni si illudono che nuove fonti permetteranno di eternare la crescita. Vedi la rivoluzione numerica, che ha riempito il pianeta di smartphone; o la genetica, la robotica, le nanotecnologie…

Per ora le statistiche dicono che tutto ciò non rallenta il declino, anzi produce una contrazione dei posti di lavoro. Forse, di fronte a questa esperienza di finitudine sarebbe utile tornare a occuparsi del divino e aprirsi a una dimensione “altra”, che ci liberi dalla claustrofobia di cui soffre il nostro tempo. Sostituendo l’interesse spasmodico per le curve di crescita con l’attenzione all’armonia dell’umanità e del creato.

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