N. 39 - 2016 25 settembre 2016
INSIEME di don Antonio Rizzolo

Don Amorth: «Il demonio nulla può contro la misericordia di Dio»

In questo numero ricordiamo la figura di don Gabriele Amorth, sacerdote paolino, noto esorcista, collaboratore di Credere,…

Paolo Borrometi

Io, Dio e la mia vita sotto scorta

«Sento la responsabilità dei soprusi delle vittime del malaffare», dice il giornalista, minacciato dalla mafia dopo i suoi…

Don Savino D’Amelio

Essere chiesa nelle tendopoli

La testimonianza di don Savino D’Amelio, parroco di Amatrice, e degli altri sacerdoti della diocesi di Rieti: «Ci impegniamo…

Mariella Carlotti

I miei studenti, un dono di Dio che mi fa crescere

Nata nel 1960 a Perugia, dove poi si è laureata in Lettere, vive a Firenze e da 20 anni insegna in un istituto professionale…

Ite, missa est di Emanuele Fant

La domanda che mi fa Valentino

Ho mille motivi (tutti validi...) per non aprire il portafoglio ai tanti poveracci che stendono la mano... eppure la storia…

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Ite, missa est di Emanuele Fant

La domanda che mi fa Valentino

Ho mille motivi (tutti validi...) per non aprire il portafoglio ai tanti poveracci che stendono la mano... eppure la storia di un bambino speciale mi lascia inquieto

Ite missa est

Apro il giornale, mi incuriosisce una notizia. Valentino, nove anni, vedeva tutti i giorni Vasile chiedere l’elemosina di fronte al negozio dei suoi genitori. Decide di mettere insieme tutte le paghette, e regala 50 euro al mendicante. Racconta il gesto alla mamma, che lo punisce facendogli passare l’aspirapolvere in tutto il negozio: «Così capisci che fatica si fa a guadagnare». Vasile, in tempo breve, rintraccia la famiglia e restituisce la somma. Mamma si rende conto che ha un figlio speciale e lo scrive su Facebook. Alcuni giornali riprendono il fatto. Il sindaco premia il piccolo con una pergamena.

All’apparenza in questa storia non ci guadagna nessuno (i soldi sono tornati nel porcellino), ma a me ha lasciato in ricordo un punto interrogativo.

Chiudo il giornale. Mi alzo dalla poltrona, mi tocco le tasche, mi coglie un timore: dov’è il mio Valentino interiore? Anche io ce l’avevo, in qualche punto interiore. Forse me l’hanno rapito i senegalesi legandolo coi braccialettini; in piazza Duomo sono così numerosi che non ho trovato abbastanza sorrisi per tutti: ho dovuto imparare a tenere basso lo sguardo, fingendo costante ritardo per una riunione. Forse è imbarcato su un cargo con i peruviani e i loro cd di musica andina che in pianura non ha senso ascoltare. Possibile pure che sia rimasto amputato nel finestrino che serro se si avvicina lo zingaro con un finto difetto alla schiena (dovrei finanziare il suo imbroglio?). Magari è affogato nei fiumi di alcool che si scolano le ucraine quando muore l’anziano a cui dovevano badare, è un’abitudine che mi fa sospettare di loro.

Ho un elenco di motivi per tenermi strette le mie monetine. Diventando adulto, ogni slancio solidale si è incastrato nei tasti quadrati di un calcolatore. E allora come definire questa nostalgia, questa stima per un gesto infantile?

(Ho avuto una dritta: il mio Valentino interiore non è proprio morto, mi dicono che fa il mendicante in stazione e non aspetta un’offerta, ma che lo vada a trovare).

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