N. 39 - 2018 30 settembre 2018
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Papa Francesco. Un uomo di parola

Il carisma di Francesco e lo sguardo poetico di Wenders

Monsignor Dario Edoardo Viganò ci parla del film Papa Francesco. Un uomo di parola. Il racconto dell’incontro tra il grande regista tedesco e il Papa venuto “dalla fine del mondo”

 Il regista Wim Wenders con papa Francesco

Non poteva che essere il giorno di san Francesco, il 4 ottobre, quello per l’uscita in Italia del film Papa Francesco. Un uomo di parola firmato dal cineasta Wim Wenders. Un film e un’uscita nelle sale italiane sul modello degli eventi cinematografici che ci permetteranno di ripensare e rileggere cinque anni di pontificato di quello che è il primo Papa gesuita, il primo Papa sudamericano, il primo Papa a scegliere appunto il nome di Francesco di Assisi.

Forse solo ai più giovani serve qualche nota su Wim Wenders: regista tedesco, uno dei più importanti della contemporaneità, pluripremiato ai festival di Venezia, Cannes e Berlino, candidato più volte ai premi Oscar e autore di capolavori come Il cielo sopra Berlino (1987), Così lontano così vicino (1993), Il sale della terra (2014).  

Un incontro, quello di Wenders (e del suo cinema) e di papa Francesco (e del suo ministero), che è tessuto in una sceneggiatura simile al «mormorio di un vento leggero» (cfr. 1 Re 19,12), con una regia che fa dell’incontro tra papa Francesco e lo spettatore la linea portante.

IL PAPA, PROTAGONISTA NON ATTORE
Chiarisco subito che non svelerò “molto” della costruzione stilistico-narrativa del film. Lo spettatore deve poter cogliere senza filtri la suggestione del regista, potersi avvicinare all’incontro con papa Francesco senza particolari mediazioni. Papa Francesco. Un uomo di parola è, infatti, un intenso e poetico dialogo tra il Papa e ciascuno di noi, costituito dai momenti più significativi del suo pontificato, dalle scene girate appositamente per il film e da immagini evocative dei luoghi e della vita del santo di Assisi.

Nel film di Wenders, papa Bergoglio è, in una sorta di paradosso, “protagonista non attore”. Il Papa è anzitutto sguardo e parola, luoghi dell’incontro e della relazione con ciascuno di noi, cui sussurra, con la pacatezza del proprio narrare, la Chiesa, quella che lui – ha annunziato all’inizio del suo pontificato – vorrebbe «povera per i poveri».

È il racconto di lui, trovato quasi «alla fine del mondo», che vive l’obbedienza allo Spirito per fare le scelte che aiutano lui e tutti noi a essere discepoli buoni del Vangelo. Tutto questo non con speculazioni o dimostrazioni, ma nel calore del “guardarsi negli occhi”, che la regia precisa di Wenders costruisce attraverso l’interrotron, un’attrezzatura tecnica per la regia che si avvicina al teleprompter (una sorta di gobbo elettronico).

UN RACCONTARE PER “CUSTODIRE IL TEMPO”
Un film che, possiamo dire, è un racconto doppio. Racconto perché ogni film è una narrazione di qualcosa, ma anche perché il registro scelto è quello di un racconto pacato, che predispone lo spettatore a rileggere, ripensare e ritessere come in un mosaico, incontri, gesti e parole del Papa.  

Si tratta di un racconto che papa Francesco ha accettato proprio nel desiderio di messa in comunione come diceva sant’Agostino: «Ma a chi narro questi fatti? Non certo a te, Dio mio. Rivolgendomi a te, li narro ai miei simili, al genere umano, per quella piccolissima particella che può imbattersi in questo mio scritto. E a quale scopo? All’unico scopo che io e ogni lettore valutiamo la profondità dell’abisso da cui dobbiamo lanciare il nostro grido verso di te» (Confessioni, II, 3.5).

Quello che vediamo nel documentario di Wim Wenders – scritto dallo stesso regista insieme a David Rosier – è quasi una narrazione dei primi cinque anni di pontificato di papa Bergoglio, che assume la forza di quelle che sant’Agostino ricorda essere tre proprietà legate al tempo: memoria, attenzione e attesa. Su questo punto, insiste anche il filosofo francese Paul Ricœur, che sottolinea come raccontare sia un custodire il tempo. Non c’è tempo pensato, infatti, sostiene Ricœur, se non è raccontato.

FOLGORANTI SONO STATI GLI ANGELI DI WENDERS
Conoscevo Wenders autore, da moltissimi anni, avendo amato i suoi film, soprattutto il suo sguardo poetico sugli angeli nel film Il cielo sopra Berlino. Avevo scoperto il suo cinema sin dai tempi del seminario di Venegono Inferiore, a Milano, all’età di vent’anni, quando si tenevano proiezioni introdotte dal rettore, monsignor Gianfranco Poma. Immagini, suggestioni visive che si sono sedimentate nella mia mente, nella mia memoria. In particolare, ricordo quegli angeli che aveva tratteggiato Wenders proprio nel film Il cielo sopra Berlino: mi erano apparsi così distanti dal cascame devozionale, così fecondamente intrisi della poesia di Dante e di Rainer Maria Rilke.

Poi sono seguiti anni tra studi, specializzazioni ed esperienze istituzionali nel mondo dell’audiovisivo. E così tante volte ho ritrovato Wim Wenders sul mio cammino. Una volta poi giunto nel 2013 alla direzione del Centro televisivo vaticano – oggi Vatican media, a seguito della riforma dei mezzi di comunicazione di papa Francesco –, molti mi hanno presentato la richiesta di fare un documentario o un film sulla giornata del Papa. Papa Francesco ha però declinato l’invito, ripetutamente.

Se la domanda era così diffusa, ho pensato allora che forse avremmo potuto noi fare qualcosa se non richiedesse al Papa di fare l’attore, magari una produzione documentaristica di alto livello. Così ho osato quello che pensavo impossibile, ovvero chiamare proprio Wenders per la regia. Incassato il suo sì, il progetto è decollato grazie ai produttori Samanta Gandolfi Branca, Alessandro Lo Monaco e Andrea Gambetta. La squadra ha così preso forma insieme a Vatican media del Dicastero della Comunicazione. Mancava “solo” il sì del Papa, che però alla fine è arrivato. Ma questa è un’altra storia...

NELLA STORIA. CHIESA E CINEMA
Il coraggio e la sapienza di papa Francesco di mettersi sulla soglia dell’incontro con l’altro attraverso il cinema non è un unicum nella storia della Chiesa. Cinema e Chiesa hanno una lunga tradizione sin dalla nascita del cinematografo: possiamo richiamare anzitutto la figura di Leone XIII, il primo Pontefice a incontrare la macchina da presa, filmato nell’atto di benedire il nuovo mezzo; ancora, Pio XI, che arriva a dedicare un intero documento al cinema nel 1936, la Lettera enciclica Vigilanti cura, oppure Pio XII che pronuncia i due Discorsi sul film ideale, rivolgendosi nel 1955 al mondo dell’industria e agli esercenti. Non vanno dimenticarti certo  i primi film dedicati ai Pontefici come Pastor Angelicus (1942) di Romolo Marcellini, un documentario con protagonista proprio papa Pacelli, oppure quelli di finzione come E venne un uomo (1965) di Ermanno Olmi, dedicato a papa Giovanni XXIII.

Testo di Dario Edoardo Viganò

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