Credere n. 4 - 26/01/2014
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Luis Antonio Gokim Tagle
«È l’ora dell’Asia»
Parla l’arcivescovo di Manila, uno dei più giovani porporati al mondo, nei giorni scorsi relatore al prestigioso Forum di Davos.«L’elezione di Bergoglio ha mostrato che la Chiesa è universale».
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Il cardinale Tagle con Francesco. Foto Alessandro Bianchi/Reuters.
Non capita spesso che un uomo di Chiesa sieda tra i relatori del World Economic Forum di Davos, l’annuale appuntamento che, nel cuore della Svizzera, raduna a fine gennaio businessmen, politici ed esperti di tutto il mondo. L’anno scorso fu la volta del cardinale nigeriano John Onaiyekan, stavolta tocca a Luis Antonio Gokim Tagle, arcivescovo di Manila, che appartiene alla schiera degli ultimi porporati nominati da papa Ratzinger. Il motivo è presto detto: Tagle, 56 anni, è una delle figure di spicco non solo del cattolicesimo asiatico, ma più in generale della Chiesa universale, tant’è che nell’ultimo conclave il suo era uno dei nomi più gettonati tra i papabili. Credere lo ha incontrato.
Eminenza, quali le principali sfide che la modernità oggi porta alla Chiesa asiatica?
«Due su tutte: la povertà e la globalizzazione. Nelle varie nazioni del continente assistiamo a uno sviluppo generalizzato, ma esso non è inclusivo, non è giusto. Secondo le statistiche, quasi tutti i Paesi in Asia registrano una crescita del Prodotto interno lordo, ma nella vita quotidiana le persone non sperimentano questa differenza. La Chiesa è sfidata da tutto ciò. Il suo messaggio – che è fatto di “buone notizie†(amore, condivisione, semplicità …) – deve quindi confrontarsi con le “cattive notizie†di segno opposto. L’altra sfida è la globalizzazione, che genera un conflitto fra le culture tradizionali e quelle emergenti (capitalismo, liberismo ecc). Lo si vede nelle famiglie, laddove si osserva un conflitto tra generazioni. Anche nelle famiglie povere c’è una tensione crescente tra genitori e figli. La Chiesa asiatica, quindi, è chiamata ad annunciare la “civiltà dell’amore†in questa realtà , operando un processo di inculturazione».
Come è stata accolta l’elezione di Bergoglio in Asia?
«Molto bene! Il fatto che papa Francesco non sia europeo è stato ed è un messaggio forte e molto importante. L’accusa, infatti, che spesso viene rivolta alla Chiesa cattolica in Asia è di essere troppo europea, “stranieraâ€. Di questo Papa, inoltre, ha colpito molto l’immediatezza dei rapporti, la sua spontaneità e semplicità . Infine, un gesto che ha avuto molta eco è stato l’appello per la pace in Siria. So che, ad esempio, anche nel sud delle Filippine, dove la presenza islamica è forte, molti musulmani hanno partecipato alla preghiera e al digiuno lanciati dal Papa».
L’arrivo di monsignor Piero Parolin in Segreteria di Stato, nell’ottobre scorso, può contribuire ad aumentare ulteriormente l’attenzione di Roma verso l’Asia?
«Speriamo! Il Papa mi ha detto, in una conversazione, che lui vuole mettere l’Asia al centro del suo pontificato».
“Al centro�
«Uno dei centri… (ride). Papa Francesco è molto interessato all’Asia. Non solo per curiosità , bensì per le sfide pastorali e missionarie che vengono di là ».
Tornando da Rio, papa Francesco disse ai giornalisti di essere stato invitato nelle Filippine e in Sri Lanka. Cosa ci può dire di più su un possibile viaggio asiatico di Bergoglio?
«Ancora non si sa quante tappe farà il Papa nel suo viaggio. Avverrà nel 2014? Si vedrà . L’unica cosa che posso dire è che il Papa vuole andare in Asia perché negli ultimi anni – sono parole sue – quel continente non ha avuto l’attenzione di cui ha bisogno».
Lei è figlio di madre cinese, quindi immagino che la situazione della Chiesa in Cina le stia particolarmente a cuore. Benedetto XVI ha dedicato parole e gesti particolarmente significativi alla Cina. Oggi lei vede segnali di apertura da parte di Pechino dopo l’elezione di papa Francesco?
«Il governo cinese è nuovo e mi pare che il Vaticano stia cercando di esaminare se ci sono segnali diversi rispetto al passato. Potremmo dire che c’è speranza e prudenza. La nomina di monsignor Parolin è stata accolta con grande favore in varie parti dell’Asia, perché sappiamo che egli ha lavorato molto in passato nello stabilire relazioni tra Vaticano e Vietnam e aveva cominciato a interessarsi anche del “dossier Cinaâ€. Staremo a vedere».
Le Filippine sono il Paese più cattolico dell’Asia. La Chiesa filippina sente questa responsabilità missionaria?
«La Conferenza episcopale ha dato il via a un itinerario di preparazione di 9 anni, in vista dei festeggiamenti per i 500 anni dell’arrivo dei primi evangelizzatori spagnoli (2021). C’è una responsabilità missionaria specifica per la nostra Chiesa, all’interno del vasto continente asiatico e Giovanni XXIII è stato il primo Papa, in tempi recenti, ad avercelo ricordato. In questi anni è cresciuta la vivacità missionaria: gli stessi filippini migranti, che spesso vanno in Paesi non cattolici, sono coscienti di questo. In Europa ci sono molti religiosi e religiose filippine, ma sono convinto che ci sia ancora tanto da fare per essere missionari in patria: al di fuori delle grandi città , ad esempio, abbiamo molte zone che hanno bisogno di missionari».
Nelle Filippine ci sono ancora missionari italiani, ma in misura via via ridotta. Pensa sia venuto il momento di fare a meno di loro?
«No, la loro è una presenza importante! Essi rappresentano un legame vitale con la Chiesa universale: ogni Chiesa locale, infatti, è veramente tale se si apre alla comunione con tutta la Chiesa. Inoltre, se io dicessi “basta missionariâ€, avrei molte e serie difficoltà pratiche, a cominciare dal fatto che i missionari filippini non potrebbero partire per andare oltre confine. Dire “stop†ai missionari stranieri sarebbe una tentazione ideologica e politica. Un errore».
Testo di Gerolamo Fazzini