N. 40 - 2017 1 ottobre 2017
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Non è facile cambiare la prospettiva con cui guardare al prossimo, ma in questa conversione troveremmo il centro della fede

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Benedetta Rinaldi

Le crisi rafforzano la fede

La nuova conduttrice di Unomattina svela: «Ho vissuto momenti di sofferenza, oggi vivo un cristianesimo convinto e “ho messo da parte la sciabola” perché ho scoperto l’importanza della mediazione»

Benedetta Rinaldi

Della sua fede, Benedetta Rinaldi non ha mai fatto mistero: era la sua cifra distintiva ai tempi di Radio Vaticana e di A Sua immagine, quando il proprio credo rappresentava un elemento di attendibilità, e continua a esserlo ancora adesso, a Unomattina. Dopo una stagione di successi a La vita in diretta Estate, da settembre Rinaldi è infatti approdata alla conduzione del contenitore mattutino di Rai Uno, al fianco di Franco Di Mare. E l’impressione è che dietro a quello stile di giornalismo solido ed elegante non ci sia solo la professionalità maturata in oltre 13 anni di televisione, ma anche uno sguardo diverso sulla vita. Quello sguardo di chi è cresciuto respirando in un ambiente fortemente cattolico per poi riscattare questa eredità di valori, rivendicandola come propria. Di chi non si accontenta di una fede composta, chiusa nelle granitiche certezze, ma ricerca il confronto dialettico lasciandosi appassionare da quell’«equilibrio dinamico che è la vita», come spiega la stessa Rinaldi, «non possiamo programmare l’esistenza: siamo in continuo cambiamento. Quello che conta non è mantenere il controllo su ciò che accade, ma avere chiara la propria meta».

Dunque, lei ha ricevuto una formazione cattolica? 

«Fino alle medie ho studiato dalle suore, poi alle superiori sono passata dai Salesiani e, infine, ho frequentato l’università Lumsa. Sono stati, tutti quanti, degli ambienti molto accoglienti e stimolanti, anche se devo dire che, crescendo, ho particolarmente apprezzato i Salesiani: da loro mi sono proprio divertita! Hanno una mentalità e un’organizzazione stupende: spronano a studiare ma anche a guardarsi intorno e a cercare di scoprire i propri talenti. È stato con loro che ho iniziato a interessarmi di radio e di tv».

Quando ha sentito come propri i valori trasmessi a scuola e in famiglia?

«Periodicamente, a ridosso di grandi cambiamenti esistenziali, ho attraversato profonde crisi: a 8 anni; a 16 anni, quando ero adolescente, e poi a 34 anni, in concomitanza con la decisione di sposarmi. Attraverso questa maturazione sofferta sono passata da una fede un po’ ingenua, credulona, poco inerente alla realtà, a una fede ragionata e più convinta, che si misura con le prove della quotidianità e non è semplicemente l’assorbimento di un’educazione esterna. In particolare ho imparato ad ammorbidire il mio giudizio: anziché brandire la sciabola, ho capito che è importante mediare ed essere più comprensivi verso chi non la pensa come te. Non esiste il bianco e il nero: ci sono anche le sfumature. Il tutto senza però fare un passo indietro rispetto ai valori profondi in cui credo».

La sua terza crisi è avvenuta in concomitanza con il matrimonio: è stato un passo particolarmente travagliato?

«Come coppia, io e mio marito abbiamo dovuto affrontare alcune prove che normalmente accadono molto dopo il matrimonio: prima delle nozze, è venuto a mancare suo padre. Non ero mai entrata in contatto diretto con la malattia e la morte: sono fatti che spaventano, tanto quanto il dire “per sempre”. Entrambi ci siamo quindi interrogati sulla bontà della scelta. Sposarmi è stato anche un atto di grande fiducia nei confronti di mio marito: ho scommesso che sarebbe tornato a essere quello che era prima della morte del padre. In parte è stato così, in parte no perché perdere un genitore ti cambia. Viene meno quella dose di serenità che nasce dal sapere che hai un papà che ti copre le spalle».

C’è chi sostiene che le ferite non si rimarginano con il tempo, ma contribuiscono a renderci quello che siamo. Concorda?

«I grandi dolori segnano e, a volte, ci induriscono. È un po’ come il terremoto: passa, con il tempo in superficie il territorio viene ricostruito ma le macerie rimangono e la morfologia del terreno è comunque mutata. Tuttavia credo che, alla fine, la vita sommerga tutto: per ogni sofferenza c’è anche una bellezza altrettanto grande che contrasta il dolore».

Prima di arrivare a Unomattina e a La vita in diretta Estate, ha a lungo lavorato a Radio Vaticana e A Sua immagine, su Tv2000. Di questa esperienza più dichiaratamente cattolica, cosa ha trattenuto e magari portato all’interno di Unomattina?

«La mia fede e i miei valori mi seguono ovunque, indipendentemente dal taglio del programma. Detto questo, da A Sua immagine ho imparato due cose. La prima è la conoscenza dell’Italia: ho iniziato lavorando come inviata, quindi ho visitato posti e conosciuto città, monumenti, cibi, dialetti che non avrei mai conosciuto altrimenti. Certo, ho sacrificato un pezzo della mia vita (mentre le mie compagne di università si riposavano, io partivo ogni fine settimana!), ma conoscere il territorio italiano è fondamentale perché, quando poi lo racconti in tv, sai quello di cui stai parlando, o almeno lo hai intravisto. L’altro aspetto fondamentale è che A Sua immagine era molto aperta al confronto interreligioso. Erano gli anni a cavallo tra la fine del pontificato di Benedetto XVI e l’inizio di quello di Francesco. Ho conosciuto una Chiesa che non era arroccata sulle sue posizioni, o impegnata a dire quanto fosse bella e brava, ma che si poneva come un banco di prova, di dialogo, misurandosi su temi forti e pensieri diametralmente opposti».

Finché conduceva un programma di fede, essere credente rappresentava un valore aggiunto. Si può dire lo stesso anche adesso oppure sconta dei pregiudizi per il suo credo?

«Non sono stata vittima di pregiudizi. Però – non tanto a Unomattina ma in altri programmi – ho dovuto lottare per vedere rappresentata anche la mia opinione. A volte in tv si rischia di cadere nella trappola del banale, puntando su ospiti molto comunicativi e accattivanti, che fanno ascolto. Credo però che, se si vuole fare informazione seria su temi come il fine vita o l’aborto, non si può censurare l’opinione del mondo cattolico, liquidandola come una voce della minoranza. Bisogna tenere conto anche del punto di vista di chi crede, per esempio, che la vita è un dono e non un bene negoziabile o una proprietà privata. Ecco, talvolta ho faticato a vedere riconosciuta la necessaria presenza di un contrappeso cattolico o comunque cristiano, perché veniva dato come perdente».

Testo di Francesca D’Angelo

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