N. 40 - 2017 1 ottobre 2017
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Dal centro alla periferia, un viaggio salutare

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Bruno Volpi

Il patriarca delle famiglie accoglienti

È morto Bruno Volpi. Alla fine degli anni Settanta con la moglie Enrica e alcuni padri Gesuiti fondò la Comunità di Villapizzone a Milano, un gruppo di famiglie che decisero di vivere insieme per sostenersi e tenere la porta aperta a chi ha bisogno

 

Parlava con parole semplici ma intrise di saggezza. Lo faceva con discorsi appassionati dai quali traspariva una grande fede nella Provvidenza e una straordinaria testimonianza di amore dato e ricevuto. Lo scorso 16 settembre, all’età di 80 anni, Bruno Volpi è stato accolto in cielo dall’abbraccio del Padre. Lui che padre è stato per decine di ragazzi e punto di riferimento per centinaia di famiglie.

Bruno e la moglie Enrica erano stati i primi missionari laici italiani a partire per l’Africa. Di ritorno, nel 1978, avevano dato vita a Milano alla Comunità di Villapizzone. Bruno era una specie di patriarca: come Abramo e Noè aveva una numerosa discendenza di figli e nipoti, naturali e “aggiunti” (come diceva lui), e dall’esperienza di Villapizzone si è generato un movimento chiamato “Mondo di comunità e famiglia” che oggi conta 35 comunità familiari e 40 gruppi di condivisione in tutt’Italia.

LA LEZIONE DELL’AFRICA
Nel 1963 Bruno Volpi aveva lasciato il “posto sicuro” da operaio alla Moto Guzzi di Mandello sul Lario, aveva sposato Enrica e con lei era partito in missione per il Ruanda, inviato dalla Cooperazione internazionale (Coopi). Un’esperienza che cambia loro la vita. «L’Africa è stata la nostra università, il nostro tutto», raccontava Bruno. «La nostra coppia è nata lì, la nostra famiglia pure, perché tutti i nostri figli sono venuti alla luce in Africa». Oltre ai quattro figli, in Ruanda la coppia adotta una bambina. «La porta aperta, nella mia vita è cominciata lì, anche perché le porte di casa mia si chiudevano: le avevo fatte di legna troppo fresca. Avevamo sempre gente in casa e in Africa non si chiede il permesso: si entra e si rimane tutto il giorno. Per i ruandesi il rapporto umano viene prima di tutto», ricordava Bruno.

Il rientro in Italia, nel 1971, è traumatico: «Io tornavo la sera tardi distrutto dal lavoro e non avevo tempo e forza da dedicare alla famiglia. Enrica era sempre sola a crescere cinque figli… Anche il nostro rapporto stava andando in crisi. Non riuscivamo a mettere insieme gli ideali con il quotidiano. Non volevo diventare come quelli che si chiudono nel loro privato e pensano solo a quando andranno in pensione...». Dopo un periodo di travaglio e ricerca, ancora una volta sono i disegni di Dio a precederli. «La nostra fortuna è stato l’arrivo di un’assistente sociale con una ragazzina piena di problemi. È giunta a casa nostra perché la porta era aperta e perché l’assistente sociale si fidava di noi. Dietro di lei si sono infilati in casa tutti i Servizi sociali, il Tribunale dei minori… In poco tempo siamo diventati una ventina fra figli nostri e bambini aggiunti».

NASCE VILLAPIZZONE
Per sostenere un impegno del genere Bruno ed Enrica si rendono conto che non possono fare da soli. E così nel 1978 incontrano alcuni padri Gesuiti (tra i quali Silvano Fausti, il futuro confessore del cardinale Martini) che per stare vicino alla gente vivevano in un’appartamento di periferia ed erano stati sfrattati. Quasi al confine di Milano c’era un’antica villa diroccata. «Il proprietario ce la metteva a disposizione purché fossimo noi a sistemarla». Per i Volpi e i Gesuiti è l’ideale. Quasi subito si unisce un’altra famiglia, i coniugi Nicolai. Nasce la Comunità di Villapizzone. Da subito i pilastri sono chiari: «Cassa comune, il lavoro come strumento di unione e non alienante, l’accoglienza e la porta aperta, la disponibilità a quello che succede». E con una regola chiara che precede tutte le altre: «La sovranità di ogni famiglia», perché Villapizzone non vuole essere una “comune” promiscua come quelle in voga in quegli anni. Presto si aggiungono altre famiglie: la vita insieme permette di sostenersi reciprocamente, di vivere con redditi bassi grazie a economie di scala, di fare discernimento comunitario, di avere abbastanza tempo libero per accogliere altre persone, siano essi minori bisognosi di “una casa d’emergenza” o adulti fragili da sostenere. Ma Bruno teneva a precisare che il primo obiettivo era arrivare a fine giornata e poter dire di essere stati bene: «Non siamo una comunità per fare qualcosa ma una comunità che mi aiuta a realizzare il mio sogno, per essere più felice, più realizzato, senza fughe dal mondo, a vivere nel quartiere e nella parrocchia…».

Negli anni tante famiglie chiedono di poter vivere un’esperienza simile. Sempre più persone hanno bisogno di accoglienza. Così nascono altre comunità: prima quella del Castellazzo a Basiano, nel Milanese, poi quella di Berzano di Tortona, in Piemonte, dove nel 1999 si trasferiscono gli stessi Bruno ed Enrica, e poi ancora molte altre. L’esperienza, nel frattempo, si istituzionalizza con l’associazione “Mondo di comunità e famiglia” fondata nel 2003.

IL MONDO COME UNA FAMIGLIA
«La nostra vocazione è la famiglia, un luogo della tenerezza dove posso farmi amare e amare», ripeteva Bruno ricordando la centralità del Matrimonio con Enrica. «La Provvidenza si è servita di chi accoglievamo per insegnarci che il centro della famiglia eravamo noi sposi. Se noi due non ci accoglievamo, come potevamo accogliere gli altri?».

Dopo un lungo ricovero per la malattia, che lo aveva aggredito da qualche mese, Bruno è voluto tornare nella sua casa di Berzano per trascorrere le ultime ore circondato dalla sua comunità. Così come era sempre vissuto. «Salutiamo Bruno che ci ha indicato percorsi per una fraternità possibile», era scritto sul sito di “Mondo di comunità e famiglia”, mentre nel duomo di Tortona si svolgevano i funerali.

«Il suo sogno», ricordano gli amici, «era il mondo intero come una grande famiglia, in cui le relazioni, lo stile di vita e le scelte siano determinati dalla consapevolezza di essere tutti bisognosi gli uni degli altri».

Testo di Paolo Rappellino

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