N. 40 - 2017 1 ottobre 2017
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La statua di Cristo a Maratea

Il Redentore è in mezzo a noi

Costruita nel 1965 per volontà del conte Stefano Rivetti di Val Cervo come simbolo di riscatto di quelle terre, ancora oggi accoglie il pellegrino con le braccia aperte in segno di misericordia e con i piedi sulla nuda terra

La statua di Cristo a Maratea

Sulla cima del monte San Biagio il vento spira sempre gagliardo. Intorno il panorama è un inno alla bellezza del creato mentre si ammira la costa del Golfo di Policastro e la vista spazia dalla Cala degli affreschi fino oltre all’isola di Dino verso la Calabria. Seicento metri più in basso si estende l’abitato di Maratea con le sue celebri spiagge. Lì, su questo sperone roccioso elevato sul Tirreno, la mole candida della statua di Cristo Redentore quasi abbaglia il visitatore.

Immediatamente il pensiero corre a un’altra scultura colossale: il Cristo sulla cima del Corcovado a Rio de Janeiro. E il collegamento non è sbagliato. Il conte Stefano Rivetti di Val Cervo si ispirò proprio alla celebre statua ammirata in terra brasiliana e alla fine degli anni Cinquanta volle realizzare qualcosa di simile in questo angolo di Basilicata su cui aveva scommesso e investito con la fondazione di una nuova fabbrica laniera per il suo marchio di tessuti.

SIMBOLO DI REDENZIONE
Così racconta la figlia, Chiara Rivetti Elek, che oggi presiede la Fondazione Cristo Redentore di Maratea: «La famiglia di mio padre aveva attività tessili e laniere in Piemonte, in Toscana e in Sud America. Nel 1953, a seguito delle opportunità date dalla Cassa del Mezzogiorno e nonostante le perplessità di mio nonno, Stefano Rivetti decise di fondare un grande complesso industriale a Maratea e di realizzare in zona anche strutture turistiche», tra le quali il Santavenere Hotel, frequentato in quegli anni da vip e divi del cinema. «Il suo entusiasmo, il suo pensare in grande, la sua fede, il suo desiderio di lasciare un segno, gli fecero maturare il desiderio di donare a quei luoghi la statua del Cristo Redentore, simbolo anche della profonda fiducia che nutriva nelle capacità di riscattarsi delle genti del Sud Italia».

Nel 1957 il conte Rivetti affidò la realizzazione dell’opera allo scultore Bruno Innocenti, docente all’Istituto d’arte di Firenze. La commissione era precisa ed esigente: osservata da lunga distanza, la statua doveva sembrare rivolta verso il mare. Ma in realtà il Cristo doveva guardare verso terra, per accogliere frontalmente i visitatori che sarebbero arrivati ai suoi piedi lungo la strada «perché Dio si è fatto uomo per noi», e non voltare le spalle all’antica basilica di San Biagio che da secoli si trovava a poca distanza dalla cima del monte. Fu sempre il committente a non volere un piedistallo perché «Gesù è venuto tra noi con umiltà per stare con noi e insieme a noi». Perciò il Redentore doveva appoggiare i piedi direttamente sulla terra, perché «Gesù è venuto povero e ci indica la via». Infine Rivetti di Val Cervo voleva le braccia aperte e rivolte verso il cielo, «perché Cristo, nella sua infinita misericordia, ci unisce a Dio onnipotente» e un viso sereno, senza sofferenza, «un Cristo di risurrezione che annuncia la via, l’amore e la pace».

Dopo la realizzazione di studi e bozzetti, lo scultore Innocenti mise a punto il progetto per una statua di 21 metri con un apertura delle braccia di 20 metri e la testa alta 3. La struttura portante è un’armatura di ferro e calcestruzzo fissata alle fondamenta scavate nella roccia della montagna, la cui progettazione fu affidata all’ingegner Luigi Musumeci. Su quello scheletro, attraverso calchi in gesso, è stato gettato un amalgama di cemento e scaglie di marmo di Seravezza, cavato sulle Alpi Apuane, rifinito a mano dallo scultore, che conferisce alla statua un colore bianco rilucente. All’interno il colosso è cavo. Per permettere il trasporto sulla vetta del monte San Biagio di così tanto materiale, il conte finanziò anche la realizzazione della strada che tutt’ora consente di salire con l’auto fino al piazzale antistante la statua.

IL PARERE DI PADRE PIO
I lavori procedettero, tra progettazione e realizzazione, per otto anni. «In quel lungo periodo di tempo a mio padre sopraggiunsero dei dubbi sull’opportunità di erigere il monumento colossale», racconta Chiara Rivetti, «e per questo decise di rivolgersi per un parere a padre Pio. Non ho mai saputo di preciso cosa si dissero a San Giovanni Rotondo, ma pare che il santo di Pietrelcina si sia espresso favorevolmente».

Poi vennero alcune tensioni con l’amministrazione comunale e, quando nel 1965 l’opera giunse a conclusione, non ci fu nessuna inaugurazione. Ma il conte Stefano Rivetti non ha mai smesso di amare quei luoghi e alla sua morte, avvenuta nel 1988, ha voluto che le sue ceneri riposassero in una grotta non molto distante dalla statua.

Di recente, però, l’immagine del Cristo di Maratea ha guadagnato notorietà e anche le amministrazioni pubbliche hanno iniziato a promuoverne la diffusione. Nel 2015 sono state organizzate manifestazioni civili in occasione dei 50 anni della statua alla presenza di tanti sindaci del circondario. Intenso raccoglimento e preghiera ai piedi del Redentore invece ci sono stati nella notte tra il 27 e 28 luglio 2013, in contemporanea alla Giornata mondiale della gioventù di Rio de Janeiro, quando sul monte di Maratea si è svolta la veglia dei giovani delle diocesi lucane, in collegamento con quella presieduta da papa Francesco sulla spiaggia di Copacabana.

IL REDENTORE DI RIO, MODELLO PER LA STATUA DI MARATEA
La statua di Cristo Redentore di Maratea è ispirata a quella omonima di Rio de Janeiro. Quest’ultima si trova sulla cima della montagna del Corcovado, e fu inaugurata nel 1931. Costruita in cemento e pietra, è opera dello scultore francese Paul Landowski e dell’ingegnere Heitor da Silva Costa. La costruzione fu finanziata dalla diocesi di Rio con una colletta popolare. La statua, ispirata allo stile Art decò in voga a quel tempo, rappresenta Gesù risorto con le braccia allargate a forma di croce. Dai piedi al capo misura 30 metri (nove metri in più di quella di Maratea), cui vanno aggiunti 8 metri di piedistallo.

LA BASILICA DI SAN BIAGIO
Risale all’VIII secolo dopo Cristo la basilica di San Biagio, il santuario che dà il nome al monte del Cristo Redentore, che si trova a poca distanza dalla statua e che fu edificato all’arrivo a Maratea delle reliquie del santo. L’aspetto attuale della chiesa risale al 1700. All’interno, nel presbiterio, un sacello fatto realizzare nel 1619 da Filippo IV d’Asburgo, re di Spagna e di Napoli, custodisce le reliquie di san Biagio e per questo fu dichiarato «regia cappella» nel 1622. Biagio è un vescovo armeno martirizzato nel III secolo all’epoca delle persecuzioni dovute ai contrasti tra l’imperatore d’Occidente Costantino e quello d’Oriente Licinio. Il suo corpo fu portato a Maratea nell’VIII secolo, probabilmente da mercanti armeni. È popolarmente considerato il protettore dalle malattie della gola. La ricorrenza è fissata il 3 febbraio, ma a Maratea, di cui è patrono, si festeggia per otto giorni dal primo sabato di maggio, anniversario della traslazione, quando la statua del santo viene portata in processione dalla basilica al centro della cittadina e poi riaccompagnata sul monte.

ORGANIZZARE LA VISITA
La statua di Cristo Redentore si raggiunge da Maratea al termine della carrabile che sale alla vetta del monte San Biagio. Non ci sono orari di chiusura. Nei pressi del colosso vi sono i resti dell’antico castello di Castrocucco, una struttura di difesa abbandonata da almeno quattro secoli e purtroppo non adeguatamente tutelata e valorizzata. Poco distante si può visitare anche la basilica di San Biagio.

LA FONDAZIONE
La scultura colossale è di proprietà del Comune di Maratea. La Fondazione Cristo Redentore di Maratea, presieduta da una delle figlie del fondatore, ne cura la divulgazione e la conservazione. Per ulteriori informazioni sulla storia e contatti con la fondazione consultare il sito www.cristodimaratea.it.

LA PRO LOCO
Per informazioni turistiche ci si può riferire alla Pro Loco di Maratea www.marateaproloco.it, nota come “città delle 44 chiese”.

Testo di Paolo Rappellino

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