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Antonio Monda
Oltre le magnifiche illusioni
«Il desiderio diventa realtà con la fede», spiega il direttore della Festa del cinema di Roma. Un po’ come nei film, dove realtà e illusione hanno confini labili. «Credere? Per me non è semplice substrato culturale, ma il mio essere»
Cattolico da parte di entrambi i genitori, ha studiato a Roma con i Gesuiti dell’Istituto Massimo e poi con i Fratelli delle scuole cristiane all’Istituto De Merode. Ma, quando a quindici anni perde il padre, la reazione non è di fede. «Mi sono rifugiato al cinema, dove di film ne ho visti a centinaia… la mia passione nasce allora, con il cinema americano degli anni Settanta… Coppola, Scorsese, Spielberg, Cimino, De Palma, Lucas. Poi ho scoperto che il cinema è illusione. Però ho scoperto anche che in quelle storie era possibile ricostruire un percorso più alto».«Non potrei che essere una persona che, in qualunque cosa fa, si relaziona alla fede e al magistero della Chiesa. Questo non significa che io la segua sempre – talvolta sono in contrasto, in crisi o angosciato da alcune cose – ma è parte del mio essere, non un semplice substrato culturale». A parlare è Antonio Monda, critico, scrittore e direttore artistico della Festa del cinema di Roma – la kermesse quest’anno si svolge dal 13 al 23 ottobre – uomo di due mondi con un piede a New York (dove è docente universitario) e uno a Capri (dove conduce il Festival letterario “Le Conversazioni”).
ISPIRATO DALLA SCRITTURA
Storie: a Monda non è bastato analizzarle, ha sentito l’esigenza di scrivere le sue, e così eccolo autore di cinque romanzi e una raccolta di racconti. L’indegno, ultimo uscito per Mondadori, porta in scena un sacerdote dalla doppia vita. In altri romanzi i riferimenti alla Sacra Scrittura sono chiari fin dal titolo (La casa sulla roccia, Hanno preferito le tenebre). «Tutti titoli che riflettono quello che sono... la mia fede e le mie fragilità, i miei tormenti e le mie angosce, le mie speranze e i miei aneliti. La Bibbia d’altra parte è il “libro dei libri” anche per i non credenti, mi appoggio su qualcosa di eterno e di solido».
PRIMA MARITO E PADRE
Dire che la famiglia sia importante, per Monda, sarebbe riduttivo. «La mia casa sulla roccia», la definisce in conclusione al volume Nella città nuda. Impossibile immaginarlo senza la moglie Jacqueline e i tre figli: Marilù, Caterina e Ignazio. Un nome, quest’ultimo, che gli è particolarmente caro. «I mei figli hanno studiato alla Saint Ignatius Loyola School di New York. Credo che sant’Ignazio di Loyola sia un titano della storia, e non solo della fede. È il vincitore della Riforma cattolica, grazie a lui un momento di massima crisi per la Chiesa divenne una grande rinascita. Un personaggio a cui mi ispiro, umilmente e indegnamente».
In effetti, alcuni termini ricorrenti nella spiritualità gesuita sono chiavi di volta del cinema e della letteratura. Come “desiderio”. O “immaginazione”. «Nel De bello gallico di Giulio Cesare i desiderantes sono i soldati che vegliano sotto un cielo senza stelle, aspettando il ritorno dei loro compagni morti in battaglia. È un desiderio di vita che nasce dall’alto. Credo che solo l’immaginazione possa trasformare il desiderio in realtà, e questo salto per noi cristiani si chiama “fede”».
I confini si fanno labili, un po’ come nel mondo del cinema, dove realtà e illusione si scambiano i ruoli: «La forza di una persona di fede sta nel capire che, per quanto le illusioni siano una costante, dietro di esse c’è sempre il barlume – per quanto piccolo – di una realtà. In questa vita ci sono soltanto illusioni, ma poi “la Livella”, come Totò chiamava la morte, ci rende tutti uguali: cioè nulla. Occorre scoprire se in queste illusioni ci sono dei segnali di quello che c’è dopo, i segnali del mistero. Come scriveva Tolkien, l’autore di Il signore degli anelli, la vita è una sequela di sconfitte, che però lascia trapelare il barlume della vittoria finale».
CERCANDO IL SENSO DELLA VITA
Antonio Monda non teme le grandi domande dell’esistenza, non ha paura di farsele né di proporle agli altri. Qualche tempo fa le rivolse ad alcuni Nobel della letteratura e a registi del calibro di Scorsese, Lynch o Spike Lee, raccogliendole poi nel volume Tu credi? (Mondadori). Una delle interviste più intense fu quella allo scrittore Elie Wiesel, testimone della Shoah, mancato il 2 luglio di quest’anno. Monda lo ricorda bene: «Un uomo di straordinario fascino e profondità, dove l’elemento religioso era centrale. Era ebreo osservante, ma – come mi ha ripetuto tante volte – pregavamo lo stesso Dio. Mi raccontò che l’abominevole esperienza dei campi di sterminio non lo aveva allontanato dalla fede, ma lo aveva addirittura rafforzato, così come le saldature della fiamma ossidrica possono fondere in maniera ancora più tenace ciò che si era spezzato».
CATTOLICI DELL’ALTRO MONDO
Monda uomo di due mondi ma anche, forse, uomo di due “Chiese”? Come si vive il cattolicesimo in Italia e negli States? «Qui il cattolicesimo è una maggioranza, là una minoranza seguita da un quarto della popolazione. E proprio perché cultura di minoranza, lo senti più forte nella ritualità. In una qualsiasi chiesa cattolica newyorkese – spagnola, irlandese o italiana – si canta di più, c’è più solennità. E poi l’America riconosce l’autorità e riconosce la spiritualità. Quando i Papi sono venuti qui – Benedetto XVI e poi Francesco quest’anno – è stato un trionfo. Perché anche una città secolarizzata come New York riconosce che in quell’uomo vestito di bianco non c’è solo una storia millenaria, ma qualcosa di più. Qualcosa di diverso».
CON LA MOGLIE, UNIONE DELLE DIFFERENZE
Jacqueline Greaves, giamaicana, è la moglie di Antonio Monda. Si sono conosciuti a New York nel 1985. Il 12 ottobre hanno festeggiato 25 anni di matrimonio. Basta vederli insieme per capire quanto sia brillante la loro intesa. Anche grazie alle differenze. «Sono cresciuta in una famiglia battista inglese molto religiosa che ha conosciuto tanti matrimoni misti, sia di razza che di religione», racconta lei. «Così ho imparato che la base di tutto è condividere i nostri pensieri e le nostre idee, parlare sempre, essere aperti e disponibili ad ascoltare, anche se non si è d’accordo. La base è sempre l’amore e la misericordia di Dio». L’unità della famiglia e l’educazione dei figli l'hanno fatta avvicinare alla Chiesa cattolica. «Credo sia importante essere uniti quando si prega, soprattutto mentre i figli sono piccoli. Ancora più importante è non cercare di convertire né di convincere, ma insegnare con le azioni e con la testimonianza della vita».
Testo di Paolo Pegoraro - Foto di Stefano Dal Pozzolo/Contrasto