N. 42 - 2018 21 ottobre 2018
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Duomo di Milano

La casa di tutti i milanesi

Con il suo cantiere che prosegue da oltre sei secoli e la Madonnina che svetta dalla guglia più alta, la cattedrale è il simbolo della città

 La facciata del Duomo di Milano

Distinto raguaglio dell’ottava maraviglia del mondo, o sia, della Gran metropolitana dell’Insubria volgarmente detta il Duomo di Milano, nuovamente descritto, cominciando dalla sua origine fino alla perfezione dello stato presente, recita il titolo – non proprio discreto – di un volume del 1723. Dal quale si desumono subito due caratteristiche del Duomo: lo smisurato orgoglio che lo lega a doppio filo al cuore dei milanesi, e le smisurate cure che vi profondono da secoli per la sua manutenzione. «E non potrebbe essere diversamente», ci spiega monsignor Gianantonio Borgonovo, raffinato biblista e arciprete del Duomo. «Bisogna tener conto quale fu l’idea chiave del Duomo».

VANTO PER I VISCONTI
Balziamo così indietro, fino all’anno 1386. Sulla piazza del Duomo si ergono due basiliche molto antiche: Santa Tecla, la più ampia, e la basilica invernale dedicata a Santa Maria Maggiore, piccola e parzialmente crollata. Il vescovo Antonio da Saluzzo decide di restaurarla, ma non ha fatto i conti con le ambizioni del suo consanguineo Gian Galeazzo Visconti, duca di Milano, che mira a costruirsi un regno pari a quelli emergenti nell’Europa settentrionale. E quale simbolo migliore dell’edificazione di un Duomo in perfetto stile nordeuropeo? L’intuizione più portentosa, però, è quella di affidarne la costruzione alla città di Milano, o meglio, ai milanesi. Il duca istituisce immediatamente la Fabbrica del Duomo, una sorta di amministrazione comunale ante litteram per gestire le donazioni fatte dai cittadini, ridistribuirle e organizzare i lavori. «In questo modo», puntualizza monsignor Borgonovo, «il Duomo nacque fin dalle sue origini come domus Milanensium, la casa di tutti i milanesi. Fu un’idea geniale, perché legò il Duomo al cuore dei cittadini, facendone il centro non solo religioso, ma civico della città».

OPERA CIVICA
«Non mi risultano altri esempi del genere», riflette l’arciprete, «la stessa Notre-Dame a Parigi fu statalizzata con la Rivoluzione francese, mentre il Duomo non appartiene al Comune, né alla Curia, ma ai cittadini milanesi, che la concedono al vescovo cattolico latino. Sono mutate le forme di governo susseguitesi a Milano da allora a oggi, tuttavia i cittadini hanno sempre versato una sorta di contributo per il Duomo». Ancora oggi è infatti la Veneranda Fabbrica a portare avanti le opere di manutenzione, rifacimento e restaurazione dell’edificio, mantenendolo vivo e splendente nel corso dei secoli. Un impegno senza fine, anche a causa della delicatezza del marmo con cui è costruito, tanto che a Milano si dice: «È come la fabbrica del duomo», per indicare un lavoro mastodontico e dai tempi dilatatissimi.

Certo, la storia della Fabbrica, per quanto “Veneranda”, è fatta pure di grandi moti di spirito, scontri accesi e decisioni improvvise, quasi a specchiare il cuore passionalmente pragmatico dei milanesi. Valga per tutte la vicenda della statua della Madonnina, oggi corona del Duomo e vessillo della città, dopo essere stata al centro di un’acerrima discussione che si trascinò per anni. Fu risolta con un abile colpo di mano, il 27 settembre 1774, venendo installata nel corso di una sola notte. «La mattina i milanesi si svegliarono e la Madonnina svettava lassù, sulla guglia maggiore... e guai a chi lo tocca!». E da allora, «tuta d’ora e piscinina, ti te dominet Milan...».

IL CHIODO DELLA CROCE
Pur impossibilitata dalle infiltrazioni a ospitare cicli pittorici, il Duomo – con le sue vetrate, le sue sculture, le tele e le icone – è una grande Biblia pauperum di arte tipicamente nordica. E al tempo stesso uno scrigno che, tra numerosi misteri, conserva il Santo Chiodo, attribuito alla croce del Signore. Analogamente alla Sindone, del chiodo si hanno le prime notizie in seguito al sacco di Costantinopoli del 1204, quando le case regnanti d’Occidente fecero bottino di reliquie. Posto inizialmente nella basilica di Santa Tecla, fu poi trasportato nel Duomo, dove visse stagioni alterne di culto e oblio. San Carlo Borromeo e il cardinale Carlo Maria Martini ne rilanciarono la devozione, resa ulteriormente suggestiva con il rito della Nivola. Una volta l’anno, per la festa dell’esaltazione della Santa Croce, la reliquia viene prelevata dalla volta del Duomo, dove è custodita, grazie a una struttura di cartapesta in forma di nuvola e adornata con figure di angeli, che viene sollevata da un argano fino a 40 metri di altezza, per poi scendere tra i fedeli per 40 ore, durante le quali tutti possono scrutare le forme inconsuete del Sacro Chiodo. Non si tratta infatti di una singola forma verticale, ma di una struttura composta da più parti e anelli. «Immaginiamo sempre che il condannato fosse inchiodato o legato direttamente sul legno della croce», ci spiega l’arciprete, che alla reliquia ha dedicato un ampio studio. «Questo chiodo, invece, è una struttura ingegnosa, che permetteva di riutilizzare il chiodo con il condannato successivo. Ricordiamoci che i romani eseguirono migliaia di crocifissioni, il che avrebbe comportato un enorme dispendio di ferro».

I 600 ANNI DELL’ALTARE
In questi giorni il Duomo festeggia i 600 anni dalla consacrazione dell’altare maggiore. Correva l’anno 1418 e, come raccontano le cronache, papa Martino V entrò a Milano sul dorso di una mula bianca, come un novello Messia a Gerusalemme. Era visto a ragione come un salvatore per la Chiesa, allora dilaniata dalle lotte fra tre antipapi e le rispettive fazioni. L’imperatore Sigismondo aveva convocato il concilio di Costanza, in Germania, per porre fine allo scisma d’Occidente, e non lesinò nelle maniere forti. Condannò al rogo l’eretico Jan Hus, fece deporre i tre antipapi e appoggiò l’elezione di Martino V. Rientrando in Italia – un lungo viaggio, che durò tre anni –, il nuovo Papa si fermò a Milano, dove, la terza domenica di ottobre, fu invitato a celebrare la Messa nel Duomo in gran parte ancora da costruire, consacrandone l’altare maggiore. Sei secoli dopo, nella seconda campata del deambulatorio del Duomo è ancora possibile ammirare la statua del Pontefice, scolpita pochi anni dopo da Jacopino da Tradate. Solleva le dita, benedicente, memoria e monito di un’unità riconquistata a caro prezzo.

VOCI ANCORA VIVE
Il Duomo vive. E non solo per la sua arte. Le voci dei suoi arcivescovi paiono risuonare ancora una volta al suo interno. «Uomo d’oggi, io ho un messaggio per te!» pare pronunciare, come in quel dicembre 1960, la statua marmorea del neosanto Giovanni Battista Montini. «La tua Parola illumina i miei passi, è luce sul mio cammino» sono invece i versi del salmo 119 sulla tomba del cardinale Martini, meta costante di silenziosa preghiera.
  

ORGANIZZARE LA VISITA
Il Duomo di Milano si raggiunge facilmente con i mezzi pubblici (Mm1 e Mm3 fermata Duomo) ed è aperto tutti i giorni dalle 8 alle 19 (dalle 6.30 solo per i fedeli). Per i singoli fedeli che vogliono pregare, confessarsi o partecipare alle Messe l’ingresso è gratuito ma limitato alla navata sinistra (portone a sinistra sulla facciata). Messe festive alle 7, 8, 9.30, 11, 12.30 e 17.30. 

VISITE TURISTICHE
Turisti e gruppi organizzati
pagano un biglietto (ingresso dal portone destro). Per le visite turistiche c’è un Info point con biglietteria in piazza Duomo 14/A, alle spalle della cattedrale. Un’altra biglietteria è accanto alla facciata, sulla destra. A pagamento si visitano l’interno, l’area archeologica sotto il sagrato (con battistero paleocristiano), le terrazze (salita a piedi o con ascensore), lo scurolo di San Carlo. Molto interessante è la visita al Grande museo del Duomo, in piazza Duomo 12. Biglietto cumulativo a 16 euro, oppure singoli ingressi (si vedano i prezzi sul sito www.duomomilano.it).

 

Testo di Paolo Pegoraro

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