N. 43 - 2018 28 ottobre 2018
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I sacrari della grande guerra

Mai più l’inutile strage

A 100 anni dalla fine del Primo conflitto mondiale, da Rovereto al Monte Grappa, da Redipuglia all’Altare della patria, i monumenti ai caduti sono un monito in difesa della pace

 La scalinata monumentale del sacrario di Redipuglia, in Friuli Venezia Giulia

Ogni sera, quando si fa buio, sul colle di Miravalle a Rovereto, tra le montagne del Trentino dove si consumò la grande tragedia della Prima guerra mondiale, cento rintocchi di campana ricordano i caduti di tutti conflitti. Attorno alla Campana della pace c’è un santuario laico che rende onore a chi è morto per la patria ma soprattutto è di monito alle nuove generazioni perché sappiano raccogliere il grido inascoltato di san Paolo VI davanti all’Assemblea generale dell’Onu nel 1965: «Non gli uni contro gli altri, non più, non mai!».

RINTOCCHI DI PACE
Il prossimo 4 novembre ricorrono i 100 anni dalla conclusione della Grande guerra ed è da qui che inizia il nostro ideale pellegrinaggio nei luoghi della memoria.

L’idea di una campana dedicata ai morti della guerra si deve a don Antonio Rossaro, un prete che si era battuto con gli irredentisti per l’annessione del Trentino all’Italia. La campana venne fusa nel 1924 con il bronzo dei cannoni delle nazioni partecipanti al conflitto e fu battezzata Maria Dolens, per invocare la protezione della Madonna Addolorata. A causa delle grandi dimensioni che la rendevano particolarmente sottoposta a incrinature, fu rifusa due volte, l’ultima nel 1965 quando fu benedetta da papa Montini e dedicata alla pace. A poche centinaia di metri dalla campana c’è il sacrario di Castel Dante, uno dei più importanti cimiteri della guerra: vi sono sepolti oltre ventimila soldati italiani, austriaci, cecoslovacchi e ungheresi, noti e ignoti. Tra questi monti non è l’unico sacrario importante: altri sorgono al Passo del Tonale e, in Veneto, ad Asiago, Montello, sulla cima del Monte Grappa…

La Prima guerra mondiale in 5 anni ha lasciato sul terreno almeno 20 milioni di morti tra militari e civili (650 mila in Italia) nella contrapposizione tra gli Imperi centrali (Austria-Ungheria, Germania e Impero ottomano) e la Triplice intesa (Francia, Impero britannico e Russia). Allo scoppio delle ostilità, nell’estate del 1914, per qualche mese l’Italia resta a guardare. Poi nel dibattito politico prevalgono le ragioni degli interventisti e il mito della conquista di Trento e Trieste, gli ultimi territori che il Regno d’Italia non era riuscito ad annettere durante le guerre del Risorgimento. E così il 24 maggio 1915 il Paese si butta, a fianco della Triplice intesa, nella prima guerra dell’età contemporanea, combattuta con dispiegamento di mezzi meccanici, nuove armi (tra le quali i gas) e un numero di uomini mai visto nella storia. Il fronte italiano si sviluppa dall’Adamello all’Isonzo, passando per gli altopiani tra Veneto e Trentino: territori difficilissimi, in gran parte montani. Inizialmente gli italiani sembrano riuscire a conquistare qualche posizione, ma presto le operazioni si impantanano nel fango delle trincee e nel ghiaccio dei crinali alpini: diventa chiaro che avanzare di pochi metri costa il sangue di migliaia di uomini, aspetto che non impensierisce più di tanto lo Stato maggiore dell’esercito.

LA GUERRA, UNA FOLLIA
Nell’ottobre del 1917 arriva la tragedia di Caporetto. Gli austro-ungarici riescono a beffare le difese italiane, dilagano fino al Piave, provocano  migliaia di morti e fanno prigionieri i soldati allo sbando. Qui è la nostra seconda tappa: il sacrario di Redipuglia, in provincia di Gorizia, che il 13 settembre 2014 anche papa Francesco ha visitato in occasione delle celebrazioni per il centenario dell’inizio della guerra. «Vicino a questo cimitero, trovo da dire soltanto: la guerra è una follia», aveva detto allora Bergoglio con parole forti. È una follia che si tocca con mano in Friuli Venezia Giulia. Una follia fatta di tanti luoghi e di centinaia di migliaia di nomi: in queste terre c’è, tristemente, l’imbarazzo della scelta. Dalle battaglie ad alta quota sulle Alpi Carniche e Giulie alle dodici battaglie dell’Isonzo, fino, appunto, alla sanguinosissima disfatta di Caporetto (oggi in territorio sloveno).Una carneficina che non risparmiò nessuna delle parti in causa. Tanti i cimiteri dislocati sul territorio (da Oslavia a Brazzano, da Udine a Cave del Predil e Valbruna, da Trieste a Pordenone, per citarne solo alcuni) altrettanti i cippi e le lapidi che, anche nei paesi più sperduti, ricordano il sacrificio di tanti uomini.

Redipuglia, il sacrario più imponente, è un luogo di commemorazione, ma anche di preghiera. E pregare lì, di fronte a quelle 100 mila salme è scolvolgente. Ventidue gradoni pieni zeppi di nomi e di storie spezzate sono un’esperienza che non si dimentica. Tutti uomini. Per lo più giovani. E un’unica donna, Margherita Kaiser Parodi Orlando, crocerossina che scelse di rimanere a fianco dei soldati fino all’ultimo. In cima all’enorme scalinata, una piccola cappella e tre grandi croci. Come su un immenso Golgota. «Caino non ha pianto. Non ha potuto piangere. L’ombra di Caino ci ricopre oggi qui, in questo cimitero. Si vede qui. Si vede nella storia che va dal 1914 fino ai nostri giorni. E si vede anche nei nostri giorni», aveva tuonato ancora Francesco rompendo il pesante silenzio di questo memoriale. Eppure, quattro anni dopo, nel celebrare il centenario della fine della guerra, da questo luogo di dolore c’è chi ha voluto innalzare note di pace: il 16 settembre, sulla piazza delle Pietre d’Italia, ottocento coristi della regione, accompagnati da un’orchestra, hanno intonato canzoni e brani sacri in lingua italiana, friulana, slovena. Per lenire il dolore. Per sperare, insieme, in un futuro di pace.

LE VITTIME SENZA NOME
A molti morti non è stato possibile restituire un’identità. Per questo, nell’ottobre del 1921 furono esumate dai cimiteri di guerra undici salme tra le migliaia rimaste senza nome. Durante una cerimonia nella basilica di Aquileia la mamma di un soldato caduto in guerra scelse a caso una delle bare che fu poi tumulata con tutti gli onori all’Altare della patria a Roma. Il monumento al Milite ignoto da allora è il luogo della memoria per l’intera nazione, vegliato giorno e notte da un picchetto d’onore. Altre centinaia di monumenti minori dedicati ai soldati ignoti si trovano in tanti Comuni d’Italia, perché non c’è borgo della Penisola che non abbia pianto la vita dei suoi figli stroncati in quel conflitto.

Cento anni fa, per vanità di potenza e “orgoglio” nazionalistico, l’Europa ha sacrificato i suoi giovani in quella che papa Benedetto XV definì l’«inutile strage». Questi luoghi della memoria ci aiutino a non ripetere l’errore.
   

ORGANIZZARE LA VISITA
Una presentazione completa dei luoghi della memoria del Primo conflitto mondiale in Italia si trova sul sito www.itinerarigrandeguerra.it.

I LUOGHI PRINCIPALI
La Campana della pace si trova a Rovereto (Trento) sul colle di Miravalle. In inverno si visita dalle 9 alle ore 16.30 (ingresso, 4 euro). Con l’ora solare la campana suona alle 20.30 e la domenica anche alle 12. www.fondazioneoperacampana.it. Il sacrario sulla cima del Monte Grappa (Treviso) è sempre aperto e si raggiunge con la Statale 141. Il sacrario di Redipuglia si trova a Fogliano (Gorizia). È sempre accessibile anche se in questi mesi in modo limitato a causa di lavori di ristrutturazione. L’annesso museo si visita da martedì a sabato con orario 9-12 e 14-17. A Roma il Vittoriano con la tomba al Milite ignoto si trova in piazza Venezia. All’interno (biglietto 5 euro) si visita il Museo del Risorgimento.
   

Testo di Paolo Rappellino e Luisa Pozzar

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