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Suor Rosemay Nyirumbe
Provo a ricucire la vita alle bambine-soldato
Ha raccolto centinaia di ragazze che non voleva nessuno, quelle che furono costrette a commettere atrocità dai guerriglieri del Nord Uganda. La religiosa ugandese si racconta
Non si stanca di usare «l’arma della parola» perché «il mondo non dimentichi» la guerra civile in Uganda durata 20 anni e le sue conseguenze: 30 mila morti, 100 mila minori schiavizzati come bambini-soldato, oltre due milioni di profughi. Questa l’eredità lasciata in Africa centrale dall’Esercito di resistenza del Signore («hanno un mantello di cristianesimo, dicono di combattere per ristabilire i 10 comandamenti, ma in realtà li violano tutti») e suor Rosemary Nyirumbe continua a ricordarlo: uno dei tanti conflitti dimenticati che i media cancellano rapidamente e smettono di inserire nella scaletta. «È una responsabilità importante sentire quello che il mondo non vuole sentire e invece si deve sapere: non è troppo tardi. Ho sempre voluto accendere i riflettori sul fatto che ci sono le bambine-soldato; molti pensano ancora che ci siano solo i maschi. E le ragazze hanno subìto un doppio trauma: non solo sono state addestrate per la guerra, ma considerate più preziose perché schiave del sesso», denuncia la religiosa ugandese delle suore del Sacro Cuore di Gesù, nei giorni scorsi in Italia per un lungo tour di presentazione del volume che riassume la sua esperienza accanto a oltre duemila ragazze scappate dalla guerriglia e ai loro figli nati dalle violenze subite.
Cucire la speranza, scritto da un avvocato e una giornalista statunitensi e tradotto dalla Emi, sta facendo il giro di parrocchie e associazioni, oltre a essere stato lanciato il 16 settembre al festival letterario Pordenonelegge.
FRA I 100 NOMI PIÙ INFLUENTI
Due anni fa il Time l’ha inserita nell’elenco dei 100 personaggi più influenti al mondo, unica cattolica insieme a papa Bergoglio. Ma a suor Rosemary, molto nota negli Stati Uniti e sostenuta dalla famiglia Clinton, non interessano queste classifiche. A lei preme parlare delle “sue” ragazze e rimboccarsi le maniche per restituirle a una vita serena, a un lavoro onesto. «A parte le atrocità che sono state costrette a commettere (Sharon, per esempio, ha dovuto uccidere la sorellina, altre i genitori), molto spesso si sono trovate a dover scegliere tra la vita e la morte. Sono riuscite a scappare e a tornare a casa con i figli, ma i ribelli le avevano costrette a compiere violenze nei loro villaggi di origine, quindi i parenti e la gente non le hanno accolte di nuovo».
Queste situazioni l’hanno interpellata. Lei, ostetrica, si è trovata a invitare le ragazze a venire nella scuola professionale di cucito “Santa Monica”, che dal 2001 dirige a Gulu, nel nord dell’Uganda. «Ho chiesto loro di venire da noi così com’erano: incinte o con i bambini piccoli. Ma non mi aspettavo di vederne arrivare 240 con i loro figli. Mi ha preso il panico e mi sono chiesta: dove metto i bambini mentre le madri imparano a cucire? Così ho inaugurato il primo asilo sotto gli alberi. Ho chiesto ad altre madri che se ne occupassero e restituissero loro l’infanzia. E proprio perché i loro piccoli ricevevano attenzioni e cure, le ragazze si sentivano a loro volta accettate. Quando si riuniscono, si sprigiona l’amore».
IL PERDONO DÀ NUOVA VITA
La chiave che apre al cambiamento, a una nuova vita, è l’accoglienza senza giudizio, il perdono: «A queste giovani ex soldato voglio far vedere che la società non le ha respinte, ma è disponibile a dimostrare loro quella compassione che Dio dona a tutti. Il fatto di vivere con ragazze addestrate come combattenti poteva scatenare paura, ma ero convinta che dando amore potevano essere persone diverse e non mi sono mai sentita in pericolo con loro». In tanti le chiedono come mai abbia intrapreso questo cammino di riabilitazione: «Non ho studiato da terapista, ma ho pensato che un metodo efficace e indiretto poteva essere quello di ricucire insieme le loro vite come loro fanno con ago e filo. Ho insegnato quello che avevo imparato in famiglia, cucinare, e ho detto che se preparavano buone pietanze potevano venderle e guadagnare qualcosa. Poi siamo passati all’attività di cucire i vestiti. Loro prima usavano le mitragliatrici per distruggere le vite, ora usano le macchine da cucire per ricostruirle».
Questa maternità allargata, a lei che ha sempre amato fare la baby-sitter e sa far venire al mondo i neonati, fa scaturire tante «idee pratiche, come quella di far cucire alle ragazze borse realizzate con materiale di riciclo, che altrimenti sarebbe spazzatura. Queste ragazze sono state rifiutate dalla società e noi usiamo i rifiuti per fare bellissime borse che possiamo vendere: alcuni mi dicono che costano molto, invece si paga l’amore che ci hanno messo per farle. Mi sono concentrata sull’importanza dell’etica del lavoro, perché se non lo avessero trovato si sarebbero dedicate ad altre attività come la prostituzione, oppure sarebbero andate a mendicare. Invece così diventano autosufficienti insieme ai loro figli, in un cammino che ridà loro la dignità; assenti i padri, ribelli, che combattevano ed erano considerati assassini. La sofferenza diventa speranza: queste donne sono le vere vincitrici della guerra».
DIO CI HA SEMPRE PROTETTE
Sister Rosemary testimonia: «Senza la mia fede, senza la mia comunità religiosa, non avrei potuto fare nulla, non ne avrei avuto la forza, la volontà e il sostegno. È stata come una vocazione nella vocazione: ho ascoltato la mia compassione e messo a disposizione il poco che ho. Non siamo mai state minacciate: Dio ci ha sempre protette». Borse e gioielli artigianali si possono acquistare sul sito www.sewinghopefoundation.com; intanto la religiosa sta progettando di costruire un orfanotrofio per 100 bambini, e ha avviato corsi di alfabetizzazione per le ragazze ormai adulte: «Sono una sognatrice e continuo a esserlo».
CHI È SUOR ROSEMARY
Religiosa ugandese della congregazione del Sacro Cuore di Gesù, suor Rosemary Nyirumbe ha dedicato tutta la sua vita ad aiutare le ragazze vittime delle violenze e dei crimini del Lord’s Resistance Army, la milizia di Joseph R. Kony che ha seminato terrore e distruzione nel Nord dell’Uganda. Dal 2001 è direttrice della Scuola professionale di Santa Monica a Gulu (Uganda), dove ha offerto rifugio, sostegno e formazione professionale a più di 2 mila ragazze e ai loro figli. Di recente ha fondato un’altra scuola professionale ad Atiak, 100 chilometri a nord di Gulu, e un’altra in Sud Sudan.
Testo di Laura Badaracchi