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Due donne leader tra popoli in cerca di pace
La premier del Bangladesh è diventata paladina dei profughi, quella di Myanmar è passata dalla parte dei “cattivi”. Ma solo…
Ite, missa est di Enzo Romeo
Due donne leader tra popoli in cerca di pace
La premier del Bangladesh è diventata paladina dei profughi, quella di Myanmar è passata dalla parte dei “cattivi”. Ma solo il dialogo può porre rimedio al dramma
Due donne e tre popoli. Da una parte il poverissimo Bangladesh guidato dalla premier Sheikh Hasina, dall’altra il tormentato Myanmar della Nobel per la pace Aung San Suu Kyi. In mezzo un’etnia di cui nessuno sa che farsene, i Rohingya. Uno strano triangolo, che il mondo ha scoperto per via del dramma di centinaia di migliaia di profughi, sballottati da un confine all’altro dei due Stati. E di cui sentiremo parlare ancora molto, anche per la visita che papa Francesco compirà in quei luoghi dal 27 novembre al 2 dicembre.
Le cronache hanno sparigliato immagini destinate a divenire stereotipi della storia. Hasina – finora nota per avere osteggiato un altro Nobel per la pace, Muhammad Yunus, il pioniere del microcredito – ha vestito i panni di paladina dei rifugiati. All’ultima Assemblea Onu è stata proprio lei, leader di un Paese considerato una filiale della rete jihadista, a pretendere il rispetto dei diritti umani da una nazione non islamica. Ha accusato la Birmania di pulizia etnica della minoranza Rohingya, di origine bengalese e di fede coranica. Quasi un milione gli sfollati, raccolti in campi profughi provvisori in Bangladesh.
La “Lady” per eccellenza, Aung San Suu Kyi, è passata invece dalla parte dei cattivi, costretta com’è a muoversi con cautela: il suo Myanmar sta faticosamente cercando di uscire dalla tutela militare per approdare a un sistema pienamente democratico. Le rivendicazioni indipendentiste di una parte dei Rohingya sono indigeribili per una nazione fragile e in bilico. Tutta l’area rischia di infiammarsi: i monaci buddhisti birmani da una parte e i radicali induisti indiani dall’altra alimentano l’ostilità contro gli “usurpatori” stranieri, che attentano alla loro identità culturale e spirituale.
La crisi coreana mostra invece che anche in Estremo Oriente ciò che serve, a ogni livello, è la capacità di dialogo. Il Papa ricorderà che le religioni hanno una grande responsabilità nel promuovere il rispetto reciproco e la pacifica convivenza.
Illustrazione di Emanuele Fucecchi