N. 44 - 2018 4 novembre 2018
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Ite, missa est di Daniele Rocchetti

Il coraggio di accendere una luce

La “Rosa Bianca”, un cenacolo di amici di diverse confessioni cristiane che si opposero alla notte che il regime nazista…

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Ite, missa est di Daniele Rocchetti

Il coraggio di accendere una luce

La “Rosa Bianca”, un cenacolo di amici di diverse confessioni cristiane che si opposero alla notte che il regime nazista aveva fatto calare sulla Germania

 Illustrazione di Emanuele Fucecchi

«Quando i nazisti presero i comunisti, non aprii bocca: io certo non ero un comunista. Quando rinchiusero i socialdemocratici, rimasi in silenzio: non ero un socialdemocratico. Quando arrestarono i cattolici, neanche allora ho protestato: non ero cattolico. Quando hanno preso me, non c’era più nessuno che potesse dire qualcosa».

Così il pastore protestante Martin Niemöller rievocava, con efficacia, la tragedia della resistenza tedesca nei dodici tragici anni della dittatura hitleriana. Durante quegli anni, tanti tedeschi scelsero di essere, più o meno consapevolmente “volenterosi carnefici”; molti preferirono tacere, in attesa di tempi migliori; altri, e tra questi parecchi cristiani, furono sedotti da quello che il grande teologo luterano Dietrich Bonhoeffer, con lucidità, chiamò non il Führer, il “capo”, ma, piuttosto, il Verführer, il “seduttore”.

Non fu così, invece, per Hans e Sophie Scholl e un gruppo di studenti, membri della “Rosa Bianca”. Un cenacolo di amici di confessioni cristiane diverse che ebbero il coraggio di accendere una luce nella notte che il regime nazista aveva fatto calare sulla Germania. Ragazzi comuni, normali, quasi a dire anche a noi che per attraversare da uomini il nostro tempo non servono supereroi, uomini eletti. Ragazzi che scelsero di scrivere sui muri «Viva la libertà» e distribuire volantini nelle case, in Università. La gran parte di loro pagò con la vita l’obbedienza alla loro coscienza.

Sono stato per molti anni amico di Franz Müller, l’ultimo esponente della Rosa Bianca ancora vivente. Passavo sempre a trovarlo quando ero a Monaco. Müller stette due anni in prigione, diciotto mesi in cella d’isolamento. Ogni volta che ricordava quel periodo era orgoglioso di dire che la lotta della Rosa Bianca era stata per la libertà e la dignità dell’uomo e che i valori non sono mai astratti, vanno sempre incarnati nelle scelte. Finiva l’incontro con i miei studenti con questa domanda: «Vale più la vita o le ragioni per le quali si vive e si è disposti a morire?».

  

Illustrazione di Emanuele Fucecchi

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