N. 45 - 2018 11 novembre 2018
INSIEME di don Antonio Rizzolo

A cento anni dalla fine della guerra chiediamo di operare sempre per la pace

Ancora oggi rifulgono soprattutto le parole di papa Benedetto XV, che definì il conflitto una «inutile strage». L’invito…

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INSIEME di don Antonio Rizzolo

A cento anni dalla fine della guerra chiediamo di operare sempre per la pace

Ancora oggi rifulgono soprattutto le parole di papa Benedetto XV, che definì il conflitto una «inutile strage». L’invito è a cercare ciò unisce, contro ogni forma di violenza

 

Cari amici lettori, lo scorso 4 novembre si è celebrato il centenario della vittoria italiana nella Prima guerra mondiale. Formalmente la Grande guerra finì poi l’11 novembre 1918, quando la Germania firmò l’armistizio con gli alleati. In realtà, scontri e battaglie continuarono ancora in giro per l’Europa e ripresero circa vent’anni dopo con lo scoppio della Seconda guerra mondiale. L’immane tragedia del conflitto del 1914-18 non aveva insegnato nulla.

In questi mesi si sono moltiplicati libri, articoli, documentari sulla Grande guerra. Ma c’è ben poco da festeggiare. Non è una vittoria di cui gloriarsi. Il primo conflitto mondiale ha visto sì tante forme di eroismo, ha costruito in Italia per la prima volta un sentimento di unità nazionale. Ma è stato soprattutto un massacro allucinante, insensato. A cento anni di distanza rifulgono soprattutto le parole del Papa di allora, Benedetto XV, che a quel tempo furono sbeffeggiate e irrise. Egli aveva definito il conflitto come «il suicidio dell’Europa civile». Considerando il dolore, le morti, le sofferenze di tante popolazioni, non solo dei soldati e delle loro famiglie, diceva che la guerra era «un’orribile macelleria». Giunse fino a mandare, il 1° agosto 1917, purtroppo inutilmente, una lettera ai capi di Stato chiedendo di deporre le armi per mettere fine a quella «inutile strage».

Oggi le parole di Benedetto XV devono risuonare ancora più forte nei nostri cuori e indurci a rinnegare non solo la guerra, ma anche ogni forma di violenza. Non possiamo e non dobbiamo più ragionare, come cristiani, con le categorie del «noi» e del «loro», del «nemico» da distruggere. Il centenario della fine della Prima guerra mondiale dovrebbe farci puntare a ciò che unisce, a ricercare sempre la pace, anche nel quotidiano, nei rapporti con chi ci sta accanto. Il Vangelo che annuncia «beati gli operatori di pace» sia il nostro punto di riferimento.

Mi piace concludere con le parole, laiche ma profondamente cristiane, pronunciate domenica 4 novembre dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella: «Bisogna ribadire con forza tutti insieme che alla strada della guerra si preferisce coltivare amicizia e collaborazione, che hanno trovato la più alta espressione nella storica scelta di condividere il futuro nella Unione europea». Il presidente ha poi ribadito che la Costituzione italiana «ripudia la guerra come strumento di risoluzione delle controversie; privilegia la pace, la collaborazione internazionale, il rispetto dei diritti umani e delle minoranze».

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